domenica 27 marzo 2016

LA GRIGLIATA



La cottura alla griglia può essere considerata la variante moderna di una delle tecniche più antiche, quella realizzata direttamente sul fuoco. L’alimento viene cotto su una graticola preriscaldata, posta sopra una sorgente di calore a grande potere riscaldante (la temperatura può raggiungere anche i 600 °C), che emette una notevole quantità di radiazioni infrarosse, principali responsabili della cottura degli alimenti. La quantità elevata di calore consente una rapida rosolatura dell’alimento, anche se, quando non viene dosata alla perfezione, rischia di colorare la parte esterna senza cuocere quella interna. La difficoltà maggiore della cottura alla griglia risiede nella capacità di raggiungere il giusto equilibrio tra quantità di calore e distanza tra sorgente e vivanda, in rapporto allo spessore e al tipo di alimento da cuocere; non esistono purtroppo termostati o sonde termiche che possano facilitare questo compito, come invece accade per la cottura arrostita. Gli aspetti peculiari di questa cottura riguardano la preparazione dell’attrezzatura, il grado di cottura degli alimenti e i vari ingredienti utilizzati per insaporirli.

La cottura alla griglia può essere realizzata all’interno del camino, sfruttando le braci della legna, sul barbecue a carbonella, oppure mediante altre fonti di alimentazione: griglia a gas con lava vulcanica e griglia elettrica. Nei primi due casi la preparazione richiede un impegno particolare.

Per cucinare alla griglia all’interno del camino, è preferibile utilizzare il fuoco di legna, che risulta più adatto della carbonella, poiché quest’ultima sprigiona una notevole quantità di ossido di carbonio. è bene scegliere legna che sia aromatica e non scoppietti eccessivamente: la scelta ideale sono i ceppi di quercia, olivo, ciliegio, melo e vite. Non sono invece adatti i legni teneri, poiché tendono a bruciare con eccessiva rapidità, né quelli resinosi, che producono aromi sgradevoli. Occorre infine avere l’accortezza di utilizzare sempre legna ben stagionata e asciutta, al fine di evitare un’eccessiva produzione di fumo.

Ogni tipo di carne richiede accorgimenti particolari, che dovrebbero essere presi in esame singolarmente; esistono tuttavia regole e procedure comuni da tenere in considerazione per ottenere buoni risultati. Le carni bianche devono essere sempre cotte “al punto” (agnello, vitello) oppure “ben cotte” (vitello, maiale, pollo, tacchino, coniglio), ma non devono mai essere cotte eccessivamente. Le carni rosse invece (manzo, montone, cavallo, anatra, piccione e cacciagione) dovrebbero essere servite “al sangue” o “al punto”, mai ben cotte. In base ai gusti individuali, le carni rosse possono essere cotte anche “al bleu”.

La carne di manzo è indubbiamente quella da preferirsi per come sopporta le cotture ad alte temperature. Il taglio da scegliere apre una discussione infinita: fiorentina o tagliata?

Le costine rendono felice tutta la comitiva: il risultato è ottimale. Il segreto per una carne saporita è il grasso: se sceglierete carne di maiale magra una volta cotta sarà poco stopposa, dura e poco saporita.
A Pasqua e Pasquetta non manca l’agnello: per la grigliata è consigliato il costato che può essere grigliato intero e diviso in parti una volta cotto.

Pollo e vitello possono naturalmente essere aggiunte alla grigliata, ma saranno saporite e non seccheranno solo con un’adeguata marinatura.
Salamelle e salsicce in gran quantità.
Gli spiedini sono indubbiamente pratici, ma per far sì che siano perfetti è meglio che li realizziate con le vostre mani: eviterete in questo modo di accostare carni che richiedono cotture diverse o inserire verdure che non gradite.
Tenerezza e sapore della grigliata dipendono dalla marinatura. Per ogni carne esiste la marinatura perfetta e i sapori che si possono creare sono naturalmente infiniti. La marinatura deve essere grassa, oleosa, speziata e leggermente acida: senza queste caratteristiche le alte temperature della brace renderanno la carne dura.

La più classica delle marinature prevede olio di oliva, trito di erbe aromatiche (rosmarino, salvia e alloro), spicchio d’aglio e vino: niente sale!

Il tempo di permanenza della carne nella marinatura determinerà il suo sapore: in genere  almeno 4 ore la carne di manzo, dalle 2 alle 4 invece quelle di maiale e di pollo (oltre a questo tempo di marinatura la carne si sfalderà)

Il barbecue a gas è più facile da pulire, ma la carne non sarà perfettamente croccante. Il vero barbecue è sicuramente quello a legna: permette infatti di assaporare tutto il rituale completo di preparazione della grigliata e garantisce alla carne la cottura ottimale-

Un sacco da tre chili potrebbe bastare per una grigliata di 4 persone: oltre le sei procuratevi il sacco da 5 chili.

In genere il fuoco si accende circa 30 minuti prima: questo è infatti il tempo necessario alla carbonella per diventare brace in grado di cuocere e non abbrustolire la carne.

Disponete un fondo di carbonella alta circa 3 centimetri e utilizzate dei rametti sottili per accendere il fuoco. In alternativa ai rametti potete utilizzare la diavolina, che velocizzerà questo procedimento.
Dopo un po’ la brace si spegnerà un po’ alla volta e se la quantità di carne da abbrustolire è tanta avrete bisogno del rabbocchino. Create un braciere staccato in cui far arrivare alla corretta temperatura la brace da aggiungere.
Il sale elimina l’acqua dalla carne e mettendolo a inizio cottura si rischia di far diventare la carne durissima.
Vale la regola che la prima carne da mettere sulla brace è quella di manzo che con la brace ben calda avrà un crosta croccante e un cuore tenero e al sangue. Proseguite quindi con le salamelle e terminate con pollo, agnello e altri carne che richiedono temperature inferiori per poter cuocere completamente.
Togliete la carne dal fuoco e mettetela a riposare in un piatto coperto con la carta stagnola, che ne preservi il calore. La carne sarà più morbida.



La difficoltà della cottura alla griglia risiede nello stabilire il giusto equilibrio tra il calore della graticola e quello della sorgente riscaldante, in base allo spessore e al tipo di carne da cuocere:
un calore eccessivamente elevato tenderà a cuocere solo in parte l’interno dell’alimento, mentre una graticola troppo calda rischia di bruciacchiare le parti che si trovano a contatto con essa;
un calore troppo basso non conferirà sapore alla carne, mentre una graticola poco calda non riuscirà a formare la caratteristica quadrettatura.
Le carni non devono mai essere completamente sgrassate, poiché il grasso le mantiene tenere e saporite. è inoltre consigliabile pennellare frequentemente con un rametto di rosmarino intriso di olio di oliva le carni di vitello e quelle molto magre. La salsiccia, prima di essere posta sulla griglia, deve essere bucata con i rebbi di una forchetta, per facilitare la fuoriuscita del grasso in eccesso. Se il pezzo di carne da cuocere ha un discreto spessore, è consigliabile lasciarlo riposare un paio di minuti prima di servirlo in tavola, affinché la temperatura interna si uniformi ed eventuali liquidi possano fuoriuscire.

Esiste una nomenclatura specifica relativa al grado di cottura delle carni, utilizzata in particolar modo per le bistecche alla griglia, che deve essere conosciuta e soprattutto “riconosciuta” nel corso della cottura. L’abitudine di praticare una piccola incisione al centro della carne per stabilirne il grado di cottura non è corretta: è invece preferibile utilizzare un termometro a sonda, da inserire nel punto centrale dell’alimento. Il sistema più utilizzato dai cuochi esperti è la prova tattile: premendo la carne con il polpastrello e valutando la sua elasticità è infatti possibile stabilire con buona approssimazione il grado di cottura. Esiste un trucco infallibile per valutare il grado di cottura: con la punta del pollice toccate la punta di un altro dito della stessa mano, quindi con la mano opposta saggiate la consistenza del muscolo alla base del pollice; cambiando il dito a contatto con il pollice proverete sensazioni differenti, che vanno dal molle (contatto tra pollice e indice), al sodo (pollice e mignolo).
Cottura al bleu: cottura veloce della carne a temperatura molto alta. Al tatto la carne si deve presentare molle (come quando si uniscono pollice e indice); nel cuore deve essere rossa e appena tiepida (40 °C).
Cottura saignant (al sangue): cottura leggermente più prolungata, con formazione di una crosta più spessa e resistente alla pressione (come quando si uniscono pollice e medio); nel cuore la carne deve essere ancora rossa e abbastanza calda (50 °C).
Cottura al punto: facilmente riconoscibile nella cottura alla griglia e al salto, poiché la carne viene voltata quando appaiono fini goccioline sulla parte superiore e deve essere tolta quando la stessa situazione si ripropone sull’altro lato; a cottura ultimata la carne deve essere lasciata riposare per 2-3 minuti, affinché la temperatura si uniformi (la sua consistenza è simile a quella che si può rilevare unendo pollice e anulare). Al taglio la carne deve essere di un colore rosa uniforme e ben calda (60 °C).
Cottura bien cuit (ben cotta): cottura lenta e prolungata; al tatto la carne è dura (come quando si uniscono pollice e mignolo), bruna all’interno e ben calda (70 °C).

La brace è un tipo di cottura particolarmente indicato per pesci grassi e semigrassi quali l’anguilla, il cefalo, il salmone, la sarda e lo sgombro, poiché scioglie parte del loro grasso insaporendo le carni e rendendo al contempo il pesce più leggero. Si prestano a questo tipo di cottura anche pesci magri come il branzino, il dentice, la coda di rospo, il merluzzo, l’orata, il persico, il pesce spada, il rombo, la sogliola, la maggior parte dei crostacei (gamberi, scampi, astici) e alcuni molluschi (seppie, calamari, polipetti).

Pulite e asciugate accuratamente il pesce e, se ne avete la possibilità, lasciatelo marinare per almeno mezz’ora in una marinatura adatta al tipo di preparazione; questa pratica non è necessaria per i crostacei, che sono già teneri e il cui aroma delicato rischierebbe di essere sopraffatto dalla marinatura. Non appena la griglia ha raggiunto la temperatura ideale e il pesce è pronto, strofinate sulla graticola un panno leggermente unto, quindi appoggiatevi delicatamente il pesce, con l’accortezza di cuocere prima la parte da presentare al commensale, che per i pesci piatti è quella con la pelle chiara, mentre per i pesci rotondi è il filetto sinistro. Trascorso qualche minuto, salate leggermente il pesce e giratelo, aiutandovi con una spatola quadrata sottile e facendo attenzione a non rovinare la pelle. A cottura ultimata, salate il pesce, pennellatelo leggermente con un’emulsione a base di olio e limone e servite in tavola guarnendo con spicchi di limone.

La temperatura di cottura ideale varia in base al tipo di pesce: la sogliola e i pesci magri in genere (a eccezione della coda di rospo) devono essere cotti a fuoco medio-basso; i pesci grassi (e la coda di rospo) vanno invece cotti a fiamma più viva, senza tuttavia eccedere. Occorre prestare un’attenzione particolare alla cottura dei crostacei, che spesso vengono cotti troppo a lungo, seccandone le carni delicate. Per riconoscere il grado di cottura dei pesci da porzione (per esempio, le sogliole), occorre controllare se la carne si stacca dalla lisca: è sufficiente introdurre la punta della lama di un coltello e muoverla leggermente. Nel preparare gli spiedini, non mescolate mai i gamberetti con seppie o calamari, poiché i primi hanno tempi di cottura inferiori. Dal momento che la parte terminale dei gamberetti è più sottile, è buona norma lasciare intatto l’ultimo anello del guscio (la frangia caudale) per proteggere la polpa dall’eccesso di calore. Per cuocere gli scampi, praticate un’incisione lungo tutto il loro dorso, senza dividerli in due. Prima di cuocere seppie e calamari, potete farli marinare per circa 1 ora con olio extravergine di oliva, prezzemolo e un po’ di aglio tritato.

La frutta viene raramente cotta alla griglia, anche se ananas, mango, nettarine e banane plantano consentono di ottenere pietanze squisite. La frutta grigliata può costituire un gustoso contorno di piatti esotici, mentre i frutti più dolci (come, per esempio, i fichi cotti con la buccia) possono accompagnare un gelato o una crema dolce ed essere serviti come un insolito dessert. L’accortezza principale da adottare riguarda il tipo di taglio, che deve essere sempre piuttosto spesso: le nettarine devono essere semplicemente tagliate a metà e private del nocciolo, l’ananas può essere tagliato a spicchi o a grossi dischi, mentre le banane vanno sbucciate e lasciate intere. Il calore della griglia deve essere sempre medio-basso, mentre la graticola deve risultare sufficientemente calda per lasciare la caratteristica quadrettatura.

Le verdure che si prestano maggiormente alla cottura alla griglia sono i funghi, le melanzane, i peperoni, i pomodori, il radicchio di Treviso e le zucchine, ma sono ottimi anche le patate affettate, i finocchi e le pannocchie di mais precedentemente sbianchite.

Ungete leggermente le verdure, disponetele sulla graticola già calda, quindi ruotatele di 90° per dar loro la caratteristica quadrettatura. Voltate infine le verdure per cuocerle anche dall’altra parte. Per la cottura delle verdure che tendono a seccarsi, come per esempio le melanzane, potete precedentemente farle marinare, quindi cuocetele a una temperatura moderata coperte con un foglio di alluminio, per impedire un’evaporazione eccessiva. Se avete il camino, per deliziare i vostri commensali potete cuocere le verdure sotto la cenere: condite gli ortaggi, avvolgeteli in un foglio di alluminio e ponete il cartoccio in un angolo del camino, completamente ricoperto di ceneri e braci, lasciando cuocere lentamente il tutto. Con questa tecnica si possono preparare patate, cipolle, funghi, tartufi e mele.



La carne alla brace può essere cancerogena, perché quando cotta ad alte temperature converte le proteine in ammine eterocicliche, prodotti chimici potenzialmente legati allo sviluppo di tumori. Inoltre il grasso che sgocciola sulla fonte di calore, genera degli idrocarburi policiclici aromatici nel fumo, che può aderire alla superficie della carne e contaminarla, aumentando il rischio di renderla cancerogena.

La cottura alla griglia può essere di due tipi: per irraggiamento o per contatto. Nel primo caso la trasmissione del calore avviene per irraggiamento senza che vi sia diretto contatto tra l'alimento e la fonte di calore. E' il caso per esempio dei classici barbecue in cui la brace si trova a distanza di qualche centimetro dalla griglia e trasmette il calore ad un solo lato dell'alimento.
Nel caso di grigliatura a contatto si utilizzano invece delle piastre arroventate che vengono fatte aderire direttamente all'alimento.

L'uso della griglia per preparare gli alimenti non è ben visto dai nutrizionisti, anche se in proposito vi sono opinioni contrastanti.Il ridotto uso di condimenti la renderebbe particolarmente salutare se non fosse per le elevatissime temperature raggiunte durante la cottura. Il calore è infatti in grado di alterare le sostanze organiche presenti nelle pietanze. Se si considera che durante la cottura si possono raggiungere temperature prossime o addirittura superiori ai 1000 gradi è facile immaginare quanto tale alterazione sia consistente.
In particolare l'attenzione dei nutrizionisti è rivolta non solo all'importante perdita del patrimonio vitaminico delle verdure ma soprattutto alla formazione di sostanze cancerogene derivanti dalla bruciatura delle parti esterne ed in particolare di quelle più grasse. Nelle caratteristiche strisce bruciacchiate si possono trovare derivati del benzopirene e dell'antracene, entrambi fortemente cancerogeni. Basti pensare che un kg scarso di carne alla griglia contiene lo stesso quantitativo di benzopirene presente in 600 sigarette.
Per questo motivo è importante pulire accuratamente la griglia all'inizio e al termine del suo utilizzo, in questo modo si allontana la possibilità che residui tossici della precedente cottura vadano ad aderire ai nuovi alimenti alterandone caratteristiche e sicurezza.
Per lo steso motivo è meglio la griglia tradizionale della piastra, poiché le superfici di contatto sono inferiori. Anche l'inversione del cibo durante la cottura aiuta a limitare i tempi di contatto con la griglia rovente. Questi ultimi punti non si sposano però molto bene con le regole della buona cucina che prevedono in molti casi la marinatura e/o l'ungitura delle pietanze e poche inversioni durante la cottura. Gli oli e tutti i grassi in genere hanno un limite massimo di sopportazione del calore oltre il quale la loro struttura molecolare viene alterata e si producono dei residui tossici per il nostro organismo. Le temperature raggiunte durante la cottura alla griglia superano di gran lunga tale limite ed è quindi bene evitare di cospargere la carne di olio durante la cottura. D'altro canto l'elevata temperatura della griglia è necessaria per formare un sottile strato esterno che impedisce la fuoriuscita dei liquidi contenuti dalla carne mantenendo intatta la sua naturale morbidezza.
Se da un lato la temperatura esterna raggiunge temperature elevatissime, dall'altro quella interna, visto il ridotto tempo di esposizione al calore, rimane relativamente bassa. In particolare può accadere che per tagli di carne molto spessi, la parte interna rimanga eccessivamente cruda e al di là del sapore non da tutti gradito, eventuali germi patogeni potrebbero sopravvivere.
Dunque la cottura alla griglia non rientra tra i metodi più salutari per cucinare, tuttavia se ne possono limitare gli aspetti dannosi adottando alcune precauzioni:
innanzitutto scegliere carne di buona qualità e di provenienza garantita, in questo modo si scongiurano almeno in parte i pericoli che ai residui tossici di cottura si associano anche residui di ormoni o altre sostanze cancerogene utilizzate nell'allevamento del bestiame;
evitare i tagli di carne più grassa poiché è proprio il grasso a subire le alterazioni più dannose con il calore; in alternativa, allontanare dalla carne il grasso visibile prima della cottura;
per lo stesso motivo limitare l'ungitura delle pietanze durante la cottura;
evitare di consumare alimenti chiaramente carbonizzati o almeno raschiare via le parti abbrustolite;
bere molta acqua ed evitare l'associazione con alcolici per facilitare l'eliminazione delle tossine;
associare alla carne alimenti ricchi di fibre e antiossidanti come le verdure, che vanno consumate preferibilmente crude;
evitare di salare eccessivamente le pietanze.



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mercoledì 23 marzo 2016

IL CASATIELLO



La diffusione del casatiello, così come della pastiera, altro piatto napoletano tipicamente pasquale, risale almeno al '600. Lo testimonia la seguente citazione tratta dalla favola La gatta Cenerentola di Giambattista Basile (1566–1632) che descrive i festeggiamenti dati dal re per trovare la fanciulla che aveva perso lo scarpino:

« E,venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato. »
(Giambattista Basile, La gatta Cenerentola.)

È preparato a partire da una pasta da pane, conciata con formaggio, strutto, ciccioli e altri salumi e rilievitata, quindi cotta, preferibilmente in forno a legna.
Mentre il tortano si consuma tutto l'anno, il casatiello è specifico del periodo di Pasqua. A Pasqua molte panetterie vendono pasta da pane lievitata naturalmente che poi i consumatori avranno cura di conciare come da tradizione e cuocere nei forni di casa.

Esistono anche diverse versioni dolci. Una versione dolce del casatiello è preparata con uova, zucchero, strutto e glassa, e decorata in superficie con confetti colorati (in lingua napoletana diavulilli): tale variante è diffusa a Caserta ed è l'unica conosciuta nell'area vesuviana costiera. Altre versioni dolci sono diffuse a Monte di Procida e nel nolano.

Nel casatiello le uova vengono posizionate intere, crude e con il guscio, e vengono cotte insieme al rustico. Le uova sono parzialmente sporgenti e ben visibili sul casatiello, spesso ricoperte da una sottile croce di impasto.

La decorazione e la forma del casatiello sono pregne di simboli religiosi. La superficie del casatiello napoletano viene punteggiata da uova racchiuse in una croce di impasto: questa croce sta anche a ricordare la corona di spine della Passione; la forma ad anello del casatiello sta ad indicare  continuità, così come la Pasqua è raccordo tra  la morte e la nascita, la fine e l'inizio: è proprio in  questo aspetto, che le feste pagane legate a questo periodo dell’anno si sono perpetuate nella Pasqua cristiana.

Il casatiello viene preparato anche come pranzo al sacco durante le gite fuori porta, tipiche del giorno di Pasquetta. Le uova e la farcitura rendono questa preparazione un pranzo pressoché completo.



Per un casatiello napoletano gustosissimo, cominciate con lo stemperare i due cubetti di lievito di birra in una ciotolina di acqua tiepida.

Su una spianatoia versate la farina a fontana, con il vostro pugno fate un buco al centro e lì metteteci lo strutto, un pizzico di sale, molto pepe e il lievito che si sarà sciolto nell’acqua. Aggiungendo due dita di acqua tiepida, cominciate a impastare con le mani finché non otterrete una pasta morbida ed elastica che lavorerete per circa 10 minuti. Mentre la lavorate, battetela anche sul tavolo e continuate a impastare energicamente.

A questo punto, prendete il composto e mettetelo in un recipiente con uno straccio umido sopra che la copra. Posizionate il recipiente in un luogo tiepido e lasciate riposare l’impasto per 2 ore in modo che raddoppi il suo volume.

Mentre aspettate che il casatiello napoletano lieviti, tagliate tutti i formaggi che avete, riducendoli in dadini dalle dimensioni variabili. Fate lo stesso anche con il salame tipo Napoli, tagliandolo a piccoli cubetti e mettete tutto in una ciotola.

Passate le due ore, prendete l’impasto e staccatene una piccola pagnottella, delle dimensioni di una mano, e conservatela da parte.

Stendete il resto dell’impasto sulla spianatoia di legno e, con le mani, stendetelo finché non raggiungerà lo spessore di circa 1 centimetro. Ora disponete su tutta la superficie, senza lasciare zone vuote, il ripieno di formaggio e salame. Arrotolate la pasta in modo che sia il più stretta possibile.

Ungete con lo strutto uno stampo con il buco al centro, di quelle che si utilizzano per fare i ciambelloni, e adagiatevi il rotolo di pasta unendone le estremità con cura. Coprite di nuovo lo stampo con un panno umido e lasciatelo riposare in un luogo tiepido per altre due ore.

Una volta che il suo volume sarà ancora raddoppiato, disponete le uova fresche sulla sua superficie a intervalli regolari. Per fermarle, utilizzate le striscioline di pasta che realizzerete da quella parte di impasto che avete conservato prima di stendere il casatiello.

Infornate il tutto in forno preriscaldato a 180 gradi per un’ora. A cottura conclusa, lasciatelo raffreddare nel forno e toglietelo solo quando sarà tiepido.


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martedì 22 marzo 2016

IL COCCO



La noce di cocco è il frutto della palma di cocco (Cocos nucifera), una pianta arborea appartenente alla famiglia delle Arecaceae, definita “albero della vita” dagli abitanti dei paesi produttori in quanto tutte le sue parti possono essere utilizzate: l’acqua, il latte, la polpa, lo zucchero, l’olio, ma anche il guscio e le foglie che sono usati come materiali di arredamento e decorazione. Attualmente coltivata in tutti i paesi tropicali, oltre che in Asia, in America centrale e meridionale e in Africa, la palma da cocco è riuscita a diffondendosi in modo naturale, trasportata dalla correnti marine, soprattutto grazie alla capacità di mantenere a lungo la propria germinabilità. Furono gli esploratori spagnoli a coniare il nome di cocco (muso di scimmia) perché, a loro dire, le tre tacche presenti sulla noce con sfondo peloso, ricordavano una scimmietta.

La noce di cocco è una buona fonte di minerali come potassio, fosforo, sodio, calcio, magnesio e ferro; mentre le vitamine sono presente in proporzione inferiore anche se le più rappresentate sono: i folati, la Vitamina C, la Vitamina E e la Vitamina B3. I componenti nutrizionali della noce di cocco si differenziano a seconda se sono presenti nella polpa oppure nell’acqua. I benefici dell’acqua di cocco L’acqua di cocco è un liquido altamente rinfrescante e rappresenta una gustosa alternativa alle bevande energetiche e tonificanti, proprietà che la rende l’alimento perfetto per gli sportivi in quanto fornisce moltissimi minerali che vengono persi con la sudorazione e vanno quindi reintegrati, ma può anche essere assunta quotidianamente ad esempio come ingrediente di gustosi frullati. Ogni cocco può contenere circa 200-1000 ml di acqua a seconda del tipo e della dimensione. Un litro di acqua di cocco apporta 1500 mg di potassio contro gli appena 300 mg delle bevande pensate per gli sportivi, ha simili quantità di magnesio e carboidrati, ma è anche ricco di antiossidanti e viene venduto a un prezzo simile rispetto alle bibite per lo sport. Riduce la pressione sanguigna grazie al suo contenuto di potassio; allevia l’acidità gastrica; migliora la digestione ed è un’ottima bevanda energetica naturale.

Per noi il cocco rappresenta un alimento esotico, un cibo fresco tipico della stagione estiva che possiamo trovare in alcuni supermercati e che riusciamo ad avere più facilmente a disposizione quando ci troviamo in spiaggia. Durante un viaggio all'estero però potremmo avere la possibilità di gustare noci di cocco locali.
Quando apriamo una comune noce di cocco, ecco che possiamo gustare la sua polpa. Dalla noce di cocco ancora verde viene ricavata l'acqua di cocco, una bevanda particolarmente dissetante e ricca di sali minerali.

Dal cocco si ottengono anche il latte di cocco, una bevanda vegetale che possiamo affiancare al latte di riso o al latte di mandorle, e l'olio di cocco, che viene utilizzato come prodotto di bellezza ma anche come ingrediente per cucinare e condire, soprattutto in Oriente.

Il cocco contiene fibre vegetali e acqua, ma anche una parte grassa, che lo rende un frutto molto nutriente e che nello stesso tempo fa salire il conteggio delle calorie. Infatti è bene ricordare che 100 grammi di polpa di cocco, considerando dunque soltanto la parte commestibile, apportano 360 calorie.

Il cocco secondo la medicina naturale ha la capacità di regolare gli zuccheri nel sangue, di abbassare il colesterolo e di aiutare l'organismo a mantenere la corretta idratazione, in particolare se oltre alla polpa di cocco si consuma anche l'acqua di cocco.

Il consumo di cocco inoltre aiuta a migliorare la digestione, supporta il sistema immunitario, è utile nella difesa da virus e infezioni e contribuisce a regolare il metabolismo e a mantenere un peso del corpo corretto.



Il consumo di cocco inoltre supporta lo sviluppo di ossa e denti forti e sani, aumentando la capacità del nostro corpo di assimilare il calcio e il magnesio. Si ritiene inoltre che il cocco aiuti a prevenire l'osteoporosi, una condizione in cui le ossa diventano fragili e perdono la loro densità.

Dunque il cocco può essere considerato un alimento importante per chi vuole proteggere le proprie ossa ma nello stesso tempo non assume o preferisce non consumare latte e latticini perché vegan o intollerante al lattosio. Infine, per il suo contenuto di acido laurico, il cocco è considerato benefico sia per il sistema nervoso che per il cervello.

L'olio di cocco (o margarina), di elevata rilevanza economica, è ricavato dalla mandorla (copra) del frutto: questa rappresenta la matrice per la produzione dell'olio, dato il suo elevato contenuto in termini lipidici (65% di grasso).
Talvolta, l'olio di cocco viene utilizzato anche come mangime per animali: dalla copra, si ottengono infatti sottoprodotti, noti come pannelli di copra, utili a questi fini.
Attraverso l'incisione delle infiorescenze, si ricava una linfa utile per la produzione di aceto di palma, vino, zucchero ed acquavite. Anche le gemme giovani (o cavoli di palma di cocco) possono essere utilizzate per l'alimentazione.
A Tahiti, si ritiene che il latte di cocco sia particolarmente indicato per i malati ed i convalescenti, poiché nutre senza appesantire lo stomaco.
Ad ogni modo, il cocco non viene sfruttato solamente in ambito alimentare: infatti, le fibre del mesocarpo sono utili per realizzare tappeti, corde, cappelli, spazzole e canestri.
L'olio ricavato dal cocco viene utilizzato anche nell'industria cosmetica per la produzione di saponi, schiume e creme da barba, grazie al suo potere schiumogeno. Ancora, il latte di cocco applicato sulla cute sottoforma di creme od unguenti, esplica proprietà emollienti e lenitive, rendendo la pelle morbida ed elastica: a tal proposito, è particolarmente indicato per le pelli secche ed aride.
Della palma da cocco, si utilizza anche il tronco: il legno è utilizzato per la produzione di mobili o, addirittura, per la costruzione di case tipicamente rurali. Anche le foglie sono utilizzate in ambito “edilizio” per la copertura di tetti di capanne.
L'olio di cocco viene utilizzato anche in ambito fitoterapico, per la realizzazione di prodotti antivirali, antifungini, antiprotozoari, antimicrobici ed antisettici (disinfettanti).



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LA PAPAYA



La pianta della papaya si presenta come un piccolo albero poco ramificato, potrebbe ramificare in caso di ferite, con un fusto alto sino a 5–10 m. Il tronco, anche negli esemplari maturi, ha una consistenza tenera, poco legnosa, e presenta cicatrici prodotte dalla crescita e caduta delle foglie superiori. La linfa è di consistenza lattea e tossica allo stato naturale per l'essere umano, potendo produrre irritazioni allegiche al contatto con la pelle.

Le foglie, disposte a rosetta all'apice del tronco, sono larghe, palmato-lobate, 50–70 cm di diametro.

I fiori sono prodotti all'ascella delle foglie.

I frutti hanno una consistenza delicata e una forma oblunga e possono essere di color verde, giallo, arancio o rosa. Possono pesare fino a 9 kg. Per esigenze di commercializzazione nella maggior parte dei casi non devono pesare più di 500 o 600 g, specialmente nelle varietà di piante nane, molto produttive e destinate generalmente alla esportazione, per essere più trasportabili e durare di più dopo la raccolta fino al momento del loro consumo. La dimensione dei frutti diminuisce in funzione della età della pianta. I frutti e i fiori si trovano in grappoli subito sotto la inserzione dei piccioli delle foglie palmate. La pianta non è esigente in quanto ai suoli, potendo svilupparsi in qualunque terreno abbandonato o perfino in grandi vasi. È una delle piante più produttive in relazione alla sua dimensione perché fiorisce continuamente e ha sempre allo stesso tempo fiori e frutti. Lo sviluppo dei frutti causa la caduta delle foglie inferiori, quindi i frutti sono sempre allo scoperto rispetto alle foglie, esposti alla luce solare.
La specie si presenta naturalmente dioica, però la selezione artificiale ha prodotto specie ermafrodite.

È una pianta originaria del Centroamerica, conosciuta e utilizzata in tutta l'America da molti secoli, per quanto oggi si coltivi in molti Paesi di altri continenti, principalmente in Asia e Africa. Prima dell'arrivo degli Europei, in Messico era chiamata Chichihualtzapotl, che in nahuatl significa "frutto dolce (da) balia", ed era un frutto particolarmente connesso con la fertilità.
Vive in ambienti tropicali (America Centrale e Meridionale e Asia Pacifica) a temperature che non devono mai scendere sotto 0 °C per evitare marciumi.

Nelle Filippine il frutto della papaya è oggetto di coltivazioni industriali di grande rilievo per l'economia del Paese: di particolare pregio le coltivazioni sull'isola di Guimaras, nota per la grande varietà e qualità delle piante da frutta.

La papaia prende nomi diversi a seconda del luogo in cui viene coltivata: capote (Messico), mamao (Brasile), fruta bomba (Cuba), lech (Portorico), passiflora delle Molucche ecc.. Le varietà più conosciute sul mercato italiano sono: Solo, Hortus Gold, Cera, Kagdum, Semangka.
La papaia è un frutto tropicale, apprezzato in tutto il mondo per il suo sapore, succoso e rinfrescante, a metà strada tra l'albicocca ed il melone. E' meno dolce ed un po' più insipida se si tratta di papaia italiana. Se acerba va conservata a temperatura ambiente poiché l'elevata concentrazione di papaina impedisce al frutto, colto acerbo, di raggiungere in fretta un'adeguata maturazione.
La papaia può essere consumata cruda, cotta, come ingrediente base per preparare conserve e marmellate oppure dare, per fermentazione, una specie di acquavite.



Dal punto di vista nutrizionale il frutto è un'ottima fonte di antiossidanti, grazie al buon contenuto di licopene e Vitamina A, C ed E. Discreta anche la presenza di folati, fibre e potassio.

Il frutto, di grandi dimensioni, ha un uso simile al melone. In Thailandia il frutto acerbo, tagliato a julienne, serve come base per il Som Tam nota come "papaya salad". Nelle Filippine, dove gli alberi di papaya sono spesso coltivati nei pressi delle abitazioni, il frutto viene regolarmente consumato fresco e utilizzato come ingrediente per la preparazione di numerosi piatti locali come l'atchara, i lumpia e in diverse ricette di pollo e maiale. Il frutto della papaya è inoltre utilizzato come frutta secca.

Dalla papaia si estrae in medicina la papaina, principio attivo con funzione proteolitica. Contrariamente alla credenza popolare esso non favorisce il dimagrimento, ma la semplice digestione delle proteine. Di questo enzima se ne producono più di 1000 tonnellate annuali nel mondo e viene usato nella fabbricazione di birra, cosmetici e nell'industria alimentare. La papaina è impiegata anche per ammorbidire le carni: nei barbecue si usa il succo che fluisce tagliando la corteccia della papaia verde per versarlo sopra la carne, rendendola molto tenera e succosa.

Le proprietà della papaya lo rendono un frutto appetibile sotto molti punti di vista.  Nonostante venga da lontano si trova piuttosto facilmente nei nostri supermercati; per essere certi di acquistare una papaya di buone qualità e maturata naturalmente è, però, più indicato prenderla nei negozi specializzati in frutta esotica. La papaya matura soprattutto nei mesi più caldi; in realtà, però, l’albero produce i frutti anche nelle altre stagioni, ecco perché possiamo trovarla quasi sempre. Dolce e soffice come il burro, la papaya è composta principalmente da acqua; ha, inoltre, una buona quota di carboidrati. Contiene tanta vitamina C e poi ancora vitamina A, vitamina E, vitamina K, acido folico, magnesio, potassio, rame, acido pantotenico, flavonoidi. Anche i semi sono edibili; alcune delle proprietà della papaya dipendono proprio dalla composizione dei semi. La papaya, specie quando completamente matura, contiene una buona quota di sostanze con proprietà antiossidanti, note per la capacità di proteggere l’organismo dall’invecchiamento cellulare. L’assunzione regolare di alimenti antiossidanti aiuta a proteggersi meglio da tutte quelle malattie che hanno tra le cause proprio l’invecchiamento cellulare, soprattutto tumori e disturbi cardiovascolari. La papaya, dunque, è una valida alleata della salute del cuore. Le sostanze antiossidanti della papaya aiutano a prevenire l’ossidazione del colesterolo. Il colesterolo, ossidandosi, si inspessisce e può formare quelle placche aterosclerotiche che sono spesso causa di infarti e ictus. Inoltre, la papaya è un’ottima fonte di fibre; è stato dimostrato che una dieta ricca di fibre aiuta a ridurre i livelli di colesterolo LDL (quello “cattivo”) nel sangue. Nella dieta che protegge il cuore non può quindi mancare questo frutto. Salute dell’apparato gastrointestinale La papaya, specie quando non è completamente matura, contiene papaina, un enzima che agisce allo stesso modo dei succhi gastrici aiutando, quindi, la digestione; questa caratteristica lo rende un frutto indicato, per esempio, alla fine di un pasto abbondante. Le fibre contenute nella papaya aiutano la regolarità dell’intestino. Inoltre, secondo studi scientifici, queste fibre si legano alle tossine cancerogene del colon tenendole lontane dai tessuti sani; grazie a questa qualità e alle già citate proprietà antiossidanti, possiamo considerare la papaya un valido aiuto nella prevenzione del tumore al colon. I semi di papaya, assunti quotidianamente dall’uomo, sono considerati un ottimo contraccettivo naturale utilizzato da secoli in molte culture, specie in diversi Paesi asiatici. Secondo alcuni studi scientifici condotti sugli animali, l’uso prolungato di semi di papaya potrebbe però portare a infertilità maschile; da ricerche condotte sui conigli sembra, comunque, che si tratti di un’infertilità reversibile; i conigli, infatti, una volta smessa l’assunzione, tornavano fertili dopo 45 giorni. Le donne in gravidanza devono stare attente al consumo di papaya; il frutto completamente maturo non è considerato rischioso, ma la papaya acerba contiene molta papeina, una sostanza che, oltre alle proprietà digestive, può indurre le contrazioni uterine. La papaya contiene lattice, può quindi provocare reazioni, anche gravi, nelle persone allergiche a questa sostanza. Curiosità Cristoforo Colombo definì la papaya il frutto degli angeli per la sua dolcezza. La papaya può essere degustata in vari modi; uno dei più semplici e forse anche più piacevoli è mangiarla come si farebbe con un melone, cioè semplicemente tagliandola e fette e privandola della buccia.
La papaia è conosciuta come frutta da consumo, tanto come frutto intero che come frullato e dolce (elaborati con frutta verde bollita con zucchero), e ha alcune proprietà notevoli per facilitare la digestione degli alimenti di difficile assimilazione.

In fitoterapia la droga è costituita dal lattice essiccato o papaina bruta, ricavato per incisione dai frutti immaturi (un frutto di dimensioni medie fornisce circa 100 grammi di lattice). Da questo si ottiene, per dissoluzione nell'acqua e precipitazione in alcol, la papaina purificata, chiamata anche papaiotina. Questa sostanza ha una forte attività proteolitica e viene per questo utilizzata nelle insufficienze gastriche e duodenali. Ha infatti le medesime proprietà della pepsina, un enzima gastrico fondamentale per la digestione delle proteine.  A differenza di questo, che per espletare la propria funzione richiede la presenza di acido cloridrico, la papaina è attiva anche in ambiente neutro o basico.
La Papaina, che si può ricavare anche da altre parti della pianta come le foglie o i semi, ha proprietà antielmintiche e come tale viene tradizionalmente utilizzata contro i parassiti intestinali. Oltre che nella cura di problemi digestivi, questa sostanza viene impiegata come detergente nella rimozione dei depositi proteici dalla superficie delle lenti a contatto.


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lunedì 21 marzo 2016

LA CUCINA CRUDISTA



L'assunzione di cibi crudi come trattamento dietetico fu sviluppato per la prima volta in Svizzera dal medico Maximilian Bircher-Benner, celebre per essere l'inventore del muesli. Dopo essere guarito dall'ittero grazie ad una dieta a base di mele crude, Bircher-Benner condusse esperimenti sugli effetti sulla salute umana di una dieta a base di vegetali crudi. Nel novembre del 1897 aprì a Zurigo una casa di cura chiamata Lebendige Kraft (Forza Vitale). Il nome si rifaceva ad un termine chiave di un movimento tedesco per la riforma dello stile di vita, che affermava che le persone dovrebbero modellare la loro vita seguendo la logica determinata dalla natura. La casa di cura è ancora attiva.

Weston Price, nel suo lavoro del 1939 dal titolo Nutrition and Physical Degeneration (Nutrizione e Degenerazione Fisica), osserva la degenerazione dentaria che subì la prima generazione di bambini che abbandonarono i cibi tradizionali, densi di nutrimenti, ed in particolare il latte crudo non lavorato. Price osservò che i genitori dei bambini della prima generazione presentavano un ottimo sviluppo della mascella e denti in salute, mentre i loro figli presentavano malocclusioni e carie. Price attribuì tale peggioramento alle nuove abitudini alimentari, che non apportavano i sufficienti nutrimenti.

Il libro di Leslie Kenton dal titolo Raw Energy - Eat Your Way to Radiant Health, pubblicato nel 1984, sostiene un'alimentazione a base di germogli, semi, verdure e succhi freschi. Il libro riunisce una ricerca sul crudismo col suo supporto alla salute umana. Nel libro viene citata una dieta ricca di semi germogliati come segreto della lunga vita degli Hunza e la dieta a base di succo di frutta che, accoppiata a metodi di disintossicazione, era usata dal medico Max Gerson per curare il cancro nei suoi pazienti. Nel libro si sostiene che una dieta che comprenda un 75% di cibi crudi consenta di prevenire malattie degenerative, rallentare gli effetti dell'invecchiamento, aumentare l'energia e migliorare l'equilibrio emotivo del singolo.

Altri importanti sostenitori della dieta crudista vissuti all'inizio del XX secolo furono Ann Wigmore, Herbert Shelton, e Norman Walker.

I pionieri del crudismo furono St. Louis Estes, Edmund Bordeaux Szekely, Johnny Lovewisdom, Ann Wigmore e Viktoras Kulvinskas (co-fondatori della Hippocrates Health Institute), Arnold Ehret (autore e sostenitore del digiuno), Aris Latham (della Sunfired Foods, Inc., noto come il padrino dei cibi crudi), Arshavir Ter Hovannessian e Norman Walker (sostenitore del consumo di succhi di vegetali).

Il movimento crudista contemporaneo vanta numerosi sostenitori, inclusi molti celebri chef, studiosi e docenti, come il Dr. Douglas Graham, Rene Oswald, Matthew Kenney, Tonya Zavasta, Alissa Cohen, Aris La Tham, Aajonus Vonderplanitz e Joy Elia.

Molte personalità del mondo dello spettacolo sono crudisti, tra cui Demi Moore, Woody Harrelson, Jason Mraz, Ben Vereen e Carol Alt. Woody Harrelson ha pubblicato libri sulla dieta crudista, recitato in film a sfondo crudista, è il creatore di un sito web dedicato al crudismo ed è il proprietario di O2, un ristorante che serve solo piatti crudisti. La modella e attrice Carol Alt è una crudista onnivora e ha scritto diversi libri a riguardo della sua scelta alimentare e del suo stile di vita.

L'interesse per il movimento crudista è in continua crescita ed è particolarmente diffuso in Australia e negli stati della zona occidentale degli Stati Uniti d'America, come la California. In Europa rimane una novità, anche se alcuni ristoranti crudisti hanno aperto nel Regno Unito, in Germania ed in diverse grandi città di altri stati. Numerosi sono i libri di cucina crudista pubblicati finora.

Supercharge Me! 30 Days Raw è un documentario sul crudismo girato da Jenna Norwood, un'ex-consulente di pubbliche relazioni diventata regista indipendente, ausiliaria socio-assistenziale e chef crudista. Nel film, ispirato a Super Size Me di Morgan Spurlock, la Norwood si sottopone ad un regime alimentare strettamente crudista per 30 giorni, documentandone l'effetto sulla sua salute.

Il più noto studio recente è stato raccolto nel libro "The China Study" dello scienziato americano T. Colin Campbell. In questo studio durato 27 anni  si evidenziano i danni di una alimentazione troppo ricca di proteine animali. In Italia i professori Umberto Veronesi e Franco Berrino spingono a questo tipo di consapevolezza alimentare evidenziando l'aspetto salutistico di questo stile di vita. Se il crudismo può sembrare una interpretazione estrema di questi testi certamente un periodo di alimentazione crudista aiuta a disintossicare corpo e mente e regala momenti di nuovo benessere. 

I primi fondamenti della dieta crudista sono riconducibili al "Vangelo della Pace", testo sacro appartenente al ceppo ebraico degli Esseni, mentre nell'ultimo secolo la sua diffusione è da imputarsi soprattutto ai medici "indipendenti o naturisti" come H.M. Shelton.
Una citazione molto importante per i sostenitori della dieta crudista è quella di Gandhi, nel suo ultimo libro del 1949, "Regime e riforma alimentare":
Per liberarsi da una malattia, occorre sopprimere l'uso del fuoco nella preparazione del pranzo.
Attualmente, la dieta crudista o Raw Food è uno stile alimentare che va molto di moda negli USA, grazie alla sua diffusione tra le celebrità di Hollywood; il suo successo è riconducibile soprattutto ad una presunta azione anti-età (anti-aging) degli alimenti crudi e alla divulgazione di un principio secondo il quale l'alimentazione umana nasce cruda e tale deve rimanere, in quanto il calore, come tecnica di lavorazione del cibo, rappresenta un'innovazione recente, di scarsa utilità o addirittura di dubbia salubrità.
Secondo la dieta crudista, l'utilizzo del fuoco in cucina inibisce la percezione della sazietà, induce un'eccessiva palatabilità e conferisce ai cibi una consistenza "morbida", rendendoli poco naturali; alla cottura vengono imputate la distruzione vitaminica, enzimatica, degli auxoni e la coagulazione proteica.

In definitiva, la dieta crudista rinuncia al trattamento termico tradizionale delle vivande, considerando il cibo cotto alla stregua di una sgradevole zavorra per l'organismo.

I crudisti possono essere divisi tra coloro che sostengono il crudismo vegano o quello vegetariano, quelli che auspicano una dieta onnivora e quelli che sostengono una dieta crudista di sola carne.

La dieta crudista vegana è costituita da alimenti di origine vegetale non trasformati. I cibi non possono essere esposti a temperature superiori a 40 °C (104 °F). Alcuni crudisti vegani come Douglas Graham ritengono che i cibi cotti al di sopra di questa temperatura perdano molto del loro valore nutrizionale e siano meno salutari o addirittura dannosi per l'organismo. Essi sostengono che i cibi crudi abbiano enzimi naturali, fondamentali per la costruzione di proteine e per la ricostruzione del corpo, e che il riscaldamento di questi alimenti uccida tali enzimi e produca tossine. I piatti tipici di questa dieta comprendono frutta, verdura, noci, semi, cereali germogliati e legumi.



Esistono diversi sottogruppi della dieta crudista vegana, come i fruttariani, i juicearians e gli sproutarians. La dieta fruttariana prevede principalmente o esclusivamente frutta, bacche, semi e noci. I Juicearians (da juice, termine inglese per succo di frutta) assumono i cibi vegetali crudi in forma di succo. Gli Sproutarians invece praticano una dieta a base principalmente di semi germogliati.

Il vegetarianismo è una dieta che esclude la carne (compresa la selvaggina e sottoprodotti come la gelatina animale) ed il pesce (compresi crostacei e altri animali marini), ma permette l'assunzione di derivati quali latte e uova. L'alimentazione comune comprende frutta, verdura, germogli, noci, semi, cereali, legumi, latticini, uova e miele. Esistono diverse varianti di questa dieta.

Il crudismo onnivoro comprende ogni alimento che possa essere mangiato crudo, come carne, frattaglie e uova non lavorate, latticini crudi, alimenti invecchiati come l'uovo centenario, piatti fermentati a base di carne, pesce, frutti di mare o Kéfir, così come verdure, frutta, germogli, noci e miele. In genere sono esclusi cereali crudi, fagioli crudi e soia non lavorata. Tutti i cibi consumati non vengono riscaldati a temperature superiori a 40 °C (104 °F). I crudisti onnivori ritengono che i cibi cotti al di sopra di questa temperatura perdano molto del loro valore nutrizionale ed anzi siano dannosi per l'organismo. Sostengono anche che le carni crude dovrebbero essere di animali allevati allo stato brado o di selvaggina e non di animali provenienti da allevamento intensivo.

Esempi di diete crudiste onnivore sono la Primal Diet, l'anopsology (altrimenti nota come Istinctive Eating o Instincto) e una versione crudista della paleodieta (nota anche come Raw Meat Diet).

La Primal Diet è una dieta composta da carni grasse, frattaglie, latticini, miele, quantità minime di succhi di frutta, verdura, crema di cocco e ad altri cibi crudi. L'ideatore della Primal Diet è Aajonus Vonderplanitz. Vonderplanitz ha stimato che nel solo Nord America sono circa 20.000 i seguaci della sua dieta. Vonderplanitz ha scritto diversi libri legati alla sua dieta, tra cui The Recipe for Living Without Disease (La ricetta per vivere senza malattie) e We Want To Live (Noi vogliamo vivere).

La Raw Meat Diet, altrimenti nota come Raw, Paleolithic Diet, è una versione crudista della paleodieta (che invece ammette anche cibi cotti) e ammette grandi quantità di alimenti crudi di origine animale, in particolare sono consumati crudi carne, frattaglie, frutti di mare e uova. Sono ammessi vegetali, ma vanno evitati alimenti non paleolitici, come il latte crudo, i cereali ed i legumi.

Un certo numero di diete tradizionali di popolazioni indigene consisteva di grandi quantità di carni crude, frattaglie e bacche. Esempi di questo tipo di alimentazione sono la dieta tradizionale dei Nenci e degli Inuit.

Per avvicinarsi al crudismo la prima cosa da fare è aggiungere alla nostra alimentazione molta frutta nei momenti strategici: perfetta al mattino come colazione, durante tutto il giorno come spuntini e mai dopo il pranzo (se si tratta di un pasto cotto) per evitare fermentazioni. Aumentare anche il consumo di verdura cruda, soprattutto all'inizio del pasto ci aiuterà ad aumentare la quantità di fibre ingerite (a garanzia di una buona salute intestinale) e a sentirci più sazi  introducendo così meno calorie. Si può iniziare essendo crudisti una volta alla settimana o magari per brevi periodi. Ognuno di noi ha dei livelli diversi di tossine nel corpo, dipende dalla vita che facciamo, dal nostro modo di alimentarsi, dalle abitudini che abbiamo ma spesso sono sufficienti pochi giorni per sentire già i benefici del consumo di cibi vivi.
Vengono considerati solo cibi naturali: senza processi industriali, raffinazione, aggiunta di additivi e conservanti. Ciò accresce la nostra consapevolezza alimentare anche nella scelta degli alimenti: leggiamo sempre molto bene le etichette ma più spesso facciamo shopping in cascine di agricoltori biologici o biodinamici per avere prodotti sempre di stagione e freschissimi. Escludiamo, per esempio, lo zucchero raffinato, le farine, il latte e i derivati, ma anche tutti i cibi industriali (merendine, bevande gasate, prodotti da forno).

 Numerosi sono i potenziali vantaggi derivati dall’assunzione di alimenti rigorosamente crudi:
Introduzione di generose quantità di antiossidanti nella dieta: in questo modo viene sfruttato al meglio l’effetto antiaging delle sostanze presenti negli alimenti;
Costante sensazione di sazietà, fornita dalle fibre presenti negli alimenti;
Percezione di contatto diretto con la natura e benessere;
Alimentazione detossinante;
Dieta ipocalorica, veloce, economica.
Uno dei principi cardine della dieta crudista ci riconduce ad uno studio condotto nel 1937 dal medico svizzero dott. Kouchakoff; egli dimostrò che il cibo cotto induce una risposta organica di leucocitosi (aumento dei globuli bianchi) a livello sistemico. Nel 1934, il medico italiano dott. Lusignani ne seguì la falsa riga e scoprì un'ulteriore caratteristica della reazione ai cibi cotti, la vasocostrizione; successivamente, il medico dimostrò che consumando ESCLUSIVAMENTE cibi crudi l'organismo tende a ridurre i globuli bianchi circolanti (leucopenia) e rilassa la muscolatura liscia dei capillari con effetto di vasodilatazione.
Secondo la dieta crudista, le suddette reazioni "di difesa" attuate dall'organismo in seguito all'assunzione di cibi cotti incidono significativamente sullo stato di salute generale. Ovviamente, quest'affermazione prescinde totalmente dai risultati di molte altre sperimentali che hanno valutato la leucocitosi post-prandiale una condizione assolutamente FISIOLOGICA.

Dal punto di vista alimentare, la dieta crudista si associa pienamente alla nutrizione convenzionale, suggerendo di incrementare le frequenze di consumo di frutta e soprattutto degli ortaggi crudi, mirando alla conservazione di alcuni principi nutritivi termolabili come le vitamine (non tutte) e gli antiossidanti. Ovviamente, questo è un principio che subordina alla DISPONIBILITA' e alla TIPOLOGIA alimentare, nonché alla stagionalità dei cibi. 

Inoltre (citazione di chi l'ha provata), pare che la dieta crudista induca spesso reazioni intestinali avverse, come tensione addominale, meteorismo e flatulenza gassogena; praticamente, l'esatto contrario di ciò che si potrebbe aspettare un potenziale consumatore nei confronti di un regime alimentare "naturale".

Soprattutto nelle donne, la dieta crudista NON migliora la resistenza alle basse temperature, anzi, l'abolizione dei cibi caldi favorisce la percezione del freddo riducendo ulteriormente la praticabilità di questo regime alimentare nella stagione invernale.

Dal punto di vista igienico, la dieta crudista è un vero disastro. I seguaci di questo stile alimentare si appigliano a concetti un po' bislacchi, demonizzando il cibo pastorizzato o sterilizzato; ovviamente, secondo i crudisti questo vale ANCHE per l'alimentazione animale e negli appositi spazi web è possibile leggere vaneggiamenti su eventuali speculazioni economiche nel campo della veterinaria. Se questo può sembrare un atteggiamento potenzialmente rischioso per la diffusione di malattie negli allevamenti, si dovrebbe stendere un velo pietoso in merito alla salubrità dei cibi destinati all'alimentazione umana. La presenza INEVITABILE di parassiti (Entamoeba histolytica/dispar, Giardia lamblia, Trichuris trichiura, Strongyloides stercoralis, Ancylostoma duodenale, Ascaris lumbricoides, Hymenolepis nana, Taenia solium, Taenia saginata, Echinococcus granulosus, Enterobius vermicularis), delle muffe (Aspergillus, Penicillium, Fusarium, Alternaria) e dei batteri (Clostridium botulinum e perfringens, Bacillus Cereus, Salmonella typhi e paratiphi, Staffilococcus aureus ecc.) negli alimenti è un'incognita da non sottovalutare. Basti pensare che per una donna gravida, l'adesione alla dieta crudista significherebbe aumentare vertiginosamente il rischio di complicazioni per il nascituro, quali malformazioni fetali o aborto. Lo stesso vale per i pazienti immuno-depressi come i chemio-terapizzati e i soggetti affetti da AIDS.
Ricordiamo inoltre ai seguaci della dieta crudista che gli enzimi contenuti negli alimenti vengono comunque denaturati dal pH gastrico e successivamente scissi dalle peptidasi pancreatica e intestinale; pertanto, la presenza o meno di queste molecole attive negli alimenti è un incognita che non ci tocca minimamente. 
Al contrario di quanto sostiene la dieta crudista, la cottura è un procedimento che, se svolto adeguatamente, facilita la digestione e, in alcuni casi, favorisce anche l'assorbimento dei principi nutritivi (come la biotina contenuta nell'albume d'uovo).
La dieta crudista può comportare dei pericoli. La cottura è infatti in grado di evitare patologie come la toxoplasmosi e gastroenteriti; essa elimina o rende inattivi diversi microorganismi, alcaloidi tossici e tossine. Fra i microorganismi patogeni resi innocui dalla cottura del cibo si ricordano Entamoeba histolytica, Giardia lamblia, Clostridium botulinum, Bacillus cereus, Salmonella typhi e paratyphi, Staphylococcus aureus. Delle tossine possono per esempio essere contenute dai cereali non cotti, mentre degli alcaloidi tossici si trovano, sempre ad esempio, nelle melanzane.

L'ingestione di cibi crudi può inoltre rendere più difficile l'assimilazione dei nutrienti, come nel caso del betacarotene, che viene assimilato più facilmente dopo la cottura.

L'intossicazione alimentare è un pericolo per la salute di chiunque si alimenti di cibo crudo e l'incremento della domanda di cibi crudi si accompagna a una maggiore incidenza di malattie dovute al cibo, specialmente per carne, pesce e frutti di mare crudi. Insorgenze di gastroenterite tra i consumatori di prodotti animali crudi e sottocotti (compresi affumicati, sottaceto o essiccati) sono ben documentati e includono carne cruda,  interiora crude, pesce crudo (sia di mare che d'acqua dolce), frutti di mare, latte crudo e prodotti fatti con latte crudo, e uova crude.

L'avvelenamento alimentare attribuito a prodotti crudi contaminati è aumentato dieci volte a partire dagli anni 1970. Insalata, lattuga, succo, melone, germogli e bacche erano i più frequentemente implicati nelle insorgenze.

Molti prodotti crudi da piante sono stati contaminati da microorganismi pericolosi e perfino mortali,, compresi il pepe jalapeño e serrano, germogli di alfalfa e altri semi germogliati, cipolle verdi, spinaci, lattuga,succo d'arancia, succo di mela e altri succhi di frutta non pastorizzati.

La richiesta di latte non pastorizzato, o crudo, è in aumento fra i consumatori preoccupati da sostanze chimiche, ormoni e farmaci. Alcni credono che la pastorizzazione denaturi enzimi e proteine e uccida batteri benefici. Secondo la FDA, alcuni dei benefici proclamati da alcuni fautori del latte crudo non esistono.
Fautori della casearia cruda hanno affermato che le agenzie governative sono pesantemente parziali contro i prodotti caseari crudi, fornendo fatti incompleti o statistiche erronee.

La pianificazione di una dieta crudista vegana richiede cura estrema, specialmente nel caso dei bambini. I crudisti credono che, con abbastanza valore energetico, acidi grassi essenziali, amminoacidi essenziali, vitamine e minerali, varietà e densità, gente di tutte le età possono mangiare cibi crudi con successo. Il Dr. Joel Fuhrman, autore di Disease-Proof Your Child, ritiene che una dieta completamente crudista e vegana potrebbe non contenere abbastanza vitamina B12, vitamina D e calorie per un bambino in crescita. Fuhrman nutrì i suoi quattro figli con verdure cotte e crude, frutta, noci, cereali, legumi e, occasionalmente, uova.

Nonostante nella dieta crudista il cibo non venga sottoposto a cottura, gli alimenti possono comunque essere assunti sottoforma di frullato, centrifugato, purea, pezzi o succo, e possono essere sottoposti a disidratazione, germinazione o marinatura. 
Gli alimenti possono inoltre essere essiccati alla temperatura massima di 42°C.
In tutti questi modi, il cibo conserva al meglio le proprietà nutritive di cui è composto e, nel caso della germinazione, si arricchisce di maggiori sostanza nutritive.

Non si cucina con il fuoco ma i piatti possono essere anche molto elaborati. Alcune preparazioni richiedono tecniche piuttosto complesse e lunghe. 
Per esempio, la fermentazione che si rivela molto interessante soprattutto per il risultato finale sui piatti: le verdure risultano morbide e croccanti e sembrano scottate, i semi acquistano leggerezza e si ottengono consistenze simili ad alcuni formaggi tradizionali. Ovviamente le preparazioni di tutti i giorni possono essere più semplici: dai frullati ai latti vegetali, per attraversare il mondo variopinto e strabiliante delle insalate condite con salse deliziose come la maionese di mango e arrivare a dolci meravigliosi come il gelato di banana.

Molti degli alimenti previsti dalla dieta crudista sono semplici da preparare, come frutta, insalata, carne e latticini. Altri alimenti possono invece richiedere un'avanzata preparazione prima di poter essere consumati. Il riso ed alcuni altri cereali, ad esempio, devono essere germogliati oppure stare in ammollo una nottata per essere ammorbiditi e quindi più digeribili. Molti crudisti sostengono che sia meglio tenere in ammollo anche noci e semi, così da attivare i loro enzimi e disattivare gli inibitori. La quantità di tempo in ammollo varia a seconda del tipo di noci e semi.

La preparazione di ricette crudiste richiede di solito un frullatore, un robot da cucina, uno spremiagrumi ed un disidratatore. A seconda della ricetta, alcuni alimenti (come crackers, pane e biscotti) potrebbero richiedere la disidratazione. Questo processo, che produce cibi crudi con il sapore e la consistenza di quelli cotti, è lungo. Molti crudisti preferiscono fare a meno di queste ricette, in quanto non è sentita l'esigenza di emulare le diete tradizionali né di aumentare la vendita di elettrodomestici da cucina.

Il congelamento degli alimenti è accettato solo da taluni, in quanto riduce l'attività enzimatica. Questo ha portato la maggioranza dei crudisti a ritenere il congelamento una pratica nociva, anche se non quanto la cottura. Poiché i semi crudi e le noci sono vulnerabili alla muffa ed all'irrancidimento, i prodotti crudi a base di questi ingredienti possono essere conservati in frigorifero per mantenere ottimale il loro valore nutrizionale ed il gusto, nonché per ridurre al minimo l'ossidazione causata da noci e semi irranciditi.




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domenica 20 marzo 2016

IL RAGU'



Con il termine di origine francese "Ragout" si identificano generalmente preparazioni di carne, pesce o verdura tagliate a pezzi, a cottura "in umido" relativamente lunga.
La parola "Ragù", della stessa derivazione francese, indica ricette abbastanza diverse tra loro ma accomunate dall'uso di carne cotta in un sugo di solito destinato a condire la pasta. Fondamentalmente i tipi di ragù sono due: uno a base di carne tritata e l'altro con un pezzo di carne intera cotta molto lentamente. Al primo genere di ragù (carne tritata) appartengono quelli emiliani (bolognese) e altri come il sardo o il barese. Al secondo tipo di ragù (carne intera) si associano quelli di alcune regioni meridionali. Esistono poi preparazioni così dette "al ragù" (involti grossi o piccoli di carne al ragù, braciole al ragù ecc.), prepararate con una fetta di carne disposta attorno ad elementi aromatici, che appartengono di solito alla tradizione delle regioni meridionali.
In ogni caso di tutti i tipi di ragù esistono diverse varianti in ogni area.
Di particolare fama è la versione del ragù cantata da Eduardo De Filippo in “Sabato, domenica e lunedì” e da Giuseppe Marotto ne “L’oro di Napoli”, ricetta dall'interminabile cottura servita sia di condimento alla pasta che come secondo.
«Fin dalle primissime ore del mattino un tenero vapore si congeda dai tegami di terracotta in cui diventa bionda la cipolla ed esala le sue nobili essenze il rametto di basilico appena colto sul davanzale». Così inizia il poemetto in prosa che Don Peppino dedica all'impareggiabile salsa con la quale a Napoli si condisce il vero cuore del convivio: la pasta. Perché il risultato sia quello ideale, e non comune carne col pomodoro, il ragù non deve mai essere abbandonato a se stesso durante le varie fasi della cottura, perché «un ragù negletto cessa di essere un ragù e anzi perde ogni possibilità di diventarlo».
Scelto con cura il pezzo di carne (né magro né grasso) che sta alla base della ricetta, lo si mette nel tegame sorvegliando la rosolatura e poi spalmando «a scientifici intervalli» strati di conserva. Entrano quindi in gioco il fuoco e il cucchiaio: lentissimo il primo, sensibile il secondo a capire il momento in cui intervenire.
La lunghissima cottura necessaria alla ricetta, reclamando una vigile sorveglianza, faceva si che i migliori ragù fossero ritenuti quelli “dei portieri”, cioè i portinai, che dalla guardiola potevano svolgere la doppia funzione di controllo, sia della casa che della cucina dove il ragù “pipiava” (sobbolliva).
Questa preparazione è una vera golosità se vi si ricopre una fetta di pane.

Secondo la leggenda, a Napoli alla fine del Trecento esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia che percorreva la città a piedi invocando "misericordia e pace". La compagnia giunse presso il "Palazzo dell'Imperatore" tuttora esistente in via Tribunali, che fu dimora di Carlo, imperatore di Costantinopoli e di Maria di Valois figlia di re Carlo d'Angiò. All'epoca il palazzo era abitato da un signore nemico di tutti, tanto scortese quanto crudele, e che tutti cercavano di evitare. La predicazione della compagnia convinse la popolazione a rappacificarsi con i propri nemici, ma solo il nobile che risiedeva nel "Palazzo dell'Imperatore" decise di non accettare l'invito dei bianchi nutrendo da sempre antichi e tenaci rancori. Non cedette neanche quando il figliolo di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce ed incrociandole gridò tre volte: "Misericordia e pace". Il nobile era accecato dall'ira, serbava rancore e vendetta, ed un giorno la sua donna, per intenerirlo gli preparò un piatto di maccheroni. La provvidenza riempì il piatto di una salsa piena di sangue. Finalmente, commosso dal prodigio, l'ostinato signore, si rappacificò con i suoi nemici e vestì il bianco saio della Compagnia. Sua moglie in seguito all'inaspettata decisione, preparò di nuovo i maccheroni, che anche quella volta, come per magia, divennero rossi. Ma quel misterioso intingolo aveva uno strano ed invitante profumo, molto buono ed il Signore nell'assaggiarla trovò che era veramente buona e saporita. La chiamo' così "raù" lo stesso nome del suo bambino.

Originariamente costituiva il piatto unico della domenica, in quanto il sugo veniva utilizzato per condire la pasta, e la carne consumata come seconda portata. I tipi di carne impiegati nella preparazione del ragù sono numerosi, e possono variare anche da quartiere a quartiere, ed inoltre, questa non è macinata ma è cotta a pezzi grossi, da 500 g fino a un kg, tagliati a mo' di grossa bistecca, farcita con ingredienti vari (uvetta, pinoli, formaggio, salame o lardo, noce moscata, prezzemolo) e legata con uno spago. Generalmente viene utilizzato un misto di carne di manzo (tagli anteriori e poco pregiati, che necessitano di lunga cottura) e di maiale. Troviamo il muscolo di manzo (gamboncello o colarda), le spuntature di maiale (tracchie), l'involtino di cotenna (cotica), la polpetta e la braciola, termine che viene usato però per indicare un involtino di carne di manzo ripieno con aglio, prezzemolo, pinoli, uva passa e dadini di formaggio.

Tradizionalmente, la preparazione del ragù inizia di buon mattino, se non il sabato sera, in quanto la salsa deve addensarsi molto, cuocendo a fuoco lento, fino a diventare di una consistenza molto cremosa, prima di poter condire degnamente una buona pastasciutta. In molte varianti del ragù napoletano viene impiegato anche un cucchiaio di concentrato di pomodoro.

Il ragù non è la carne c''a pummarola, come recita la poesia di Eduardo. Non è di facile realizzazione ed inoltre per essere saporito come quello della mamma del de Filippo richiede una lunghissima cottura. Attualmente si usa chiamare ragù un sugo di pomodoro nel quale si è cotta della carne. Il ragù, come recita Eduardo, veniva cotto su di una fornacella a carbone e doveva cuocere per almeno sei ore.

La pentola in cui si dovrebbe cuocere è un tegame di rame, e per rimestarlo occorre la cucchiarella (il cucchiaio di legno). Il ragù napoletano è il piatto tipico domenicale e base per altre pietanze altrettanto saporite, come ad esempio la tipica lasagna che a Napoli viene preparata con una grande quantità di ingredienti durante il periodo di Carnevale.

Ingredienti:
1 kg di spezzatino di vitello
2 cipolle medie
2 litri di passata di pomodoro
un cucchiaio di concentrato di pomodoro
200 g. di olio d'oliva
6 tracchiulelle (costine di maiale)
1/4 di litro di vino rosso preferibilmente di Gragnano
basilico
sale q.b.
È consigliabile prepararlo il giorno prima mettendo la carne nel tegame, unitamente alle cipolle affettate sottilmente e all'olio. Carne e cipolla dovranno rosolare insieme: la prima facendo la sua crosta scura, le seconde dovranno man mano appassire senza bruciare. Per ottenere questo risultato, bisogna rimanere ai fornelli, pronti a rimestare con la cucchiarella di legno,e bagnare con il vino, appena il sugo si sarà asciugato: le cipolle si dovranno consumare, fino quasi a dileguarsi. Quando la carne sarà diventata di un bel colore dorato, sciogliete il cucchiaio di conserva nel tegame e aggiungete la passata di pomodoro. Regolate di sale e mettete a cuocere a fuoco bassissimo, il ragù dovrà, come si dice a Napoli, "pappuliare", parola onomatopeica che ben descrive il suono del ragù che cioè dovrà sobbollire a malapena. A quel punto coprirete il tegame con un coperchio, senza chiuderlo del tutto. Il ragù dovrà cuocere per almeno tre ore, di tanto in tanto rimestatelo facendo attenzione che non si attacchi sul fondo della pentola.



Uno dei ragù più classici è quello alla bolognese, che tradizionalmente condisce le tagliatelle e, insieme alla besciamella, anche le famose lasagne alla bolognese. È perfetto con tutte le paste fresche, anche ripiene, come i tortellini.

Un uso molto comune all'estero del ragù è per condire gli spaghetti (erroneamente chiamati spaghetti alla bolognese), piuttosto comuni nel Nord Europa e venduti perfino in lattina: tale piatto, ormai diffuso anche in Italia, non è certamente da attribuirsi alla cucina bolognese, in quanto gli spaghetti non fanno parte della tradizione emiliana che ha sempre preferito la sfoglia all'uovo, solitamente fresca, rispetto alle paste di semola di grano duro, più tipicamente meridionali e generalmente secche.

Il ragù potentino, noto come ndrupp'c, è il ragù tipico tradizionale della città di Potenza, capoluogo della Basilicata.

Il ragù all'intoppo, "'ndrupp'c" appunto, si prepara facendo rosolare, almeno, carne bovina (muscolo di manzo) e suina (il cosiddetto salame pezzente), ma spesso anche di altri animali (es. agnello o carni bianche come coniglio o pollame), in olio di oliva insieme a spicchi di aglio, per poi ricoprire il tutto di salsa di pomodoro e far sobbollire per tre ore. Il sapore caratteristico di questa preparazione deriva dal salame pezzente, un salume artigianale molto grasso, aromatizzato con peperone secco in polvere, semi di finocchio e conservato previa leggera affumicatura. Il nome richiama il gesto di inciampare in qualcosa, è dovuto all'uso di presentare, nel piatto, la pasta insieme ai pezzi di carne e di salame, che vengono così ad ostacolare la forchetta durante l'infilzata. È tradizione aggiungere peperoncino fresco, secco o sott'olio in quantità e, nel periodo di Carnevale, rizoma di rafano grattugiato al momento.

Questo tipo di ragù viene accostato a paste fresche, preparate secondo la tradizione tipica della pasta secca meridionale, confezionata in forme tipiche della cucina lucana. In particolare, lo "'ndrupp'c" viene utilizzato per condire i cosiddetti fusilli, detti anche ferretti, sorta di corti e grossolani bucatini, 10 cm di lunghezza per 6–7 mm di diametro, realizzati facendo arrotolare pezzi di pasta fresca attorno a uno spiedo in ferro. Soprattutto, lo "'ndrupp'c" viene usato per condire gli strascinati, sorta di orecchiette pugliesi, ma più grandi e "aperte", preparati trascinando con tre dita un po' di pasta fresca: il pezzo singolo assume così la forma di una sottile e larga pizzetta, liscia su di un lato e rugosa sull'altro. Degli strascinati esistono varianti da quattro fino a otto dita, in cui il singolo pezzo viene trascinato con la punta delle dita di entrambe le mani. È un'abitudine della cucina lucana condire con lo "'ndrupp'c" un piatto misto di ferretti e strascinati.



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