tag:blogger.com,1999:blog-11615972594963674592024-03-05T15:07:58.407-08:00COSA SI MANGIA DOMANI ?RICETTE , DIETE , CIBO ALTERNATIVO , LA NONNA DICE ,Barbara Mezzenzanahttp://www.blogger.com/profile/14292125177674142992noreply@blogger.comBlogger555125tag:blogger.com,1999:blog-1161597259496367459.post-27632049439894358612019-08-11T13:15:00.001-07:002019-10-02T09:49:07.761-07:00IL FRAGOLINO<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://cipiri11.blogspot.com/2017/08/pane-e-frutta.html" target="_blank"><img border="0" data-original-height="184" data-original-width="274" height="268" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjU3Gm6_nw0Wv3az3ZzG8gQQIqVxcFI8rTNAgeZt9pjF_35yheRCq5ysIlrHaccjs_sfMcMDneWyqgJgdRVmzZWmmijGZs_bRZXomZwfvdnPjW6rBqS0pJUoaQVfSw16b92W6-FIVpselE/s400/fragolino.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<br />
Il fragolino è una bevanda, ferma o frizzante, diffusa nel Nord Italia, ottenuta dalla vinificazione di uva della specie Vitis labrusca (o dei suoi ibridi con la europea), conosciuta come uva fragola, detta anche uva americana, Isabella, Raisin de Cassis (uve non europee).<br />
<br />
Una legge dell'Unione europea, tesa a contrastare la concorrenza al mercato vinicolo europeo da parte di vini prodotti con uve non europee, spesso di minori qualità e costo, ne ha reso illegale la vendita (ma non la produzione per uso personale). La normativa europea peraltro ricalca pressoché esattamente le normative nazionali preesistenti, che avevano lo stesso scopo.<br />
<br />
A fattore concomitante e giustificativo delle norme restrittive, è sempre stato evidenziato, nel fermentato di uva fragola, il maggior contenuto di metanolo, che ha attività tossica, e/o di tannino, rispetto alle viti europee. Tale fatto è oggettivamente vero, ma le differenze rispetto alla vite europea sono marginali e si riducono o si annullano se la vinificazione avviene avendo cura di non coinvolgere in fermentazione le bucce, i vinaccioli e soprattutto il graspo.<br />
<br />
Sono stati fatti collegamenti a sofisticazioni alimentari (scandalo del vino al metanolo) in cui effettivamente i produttori di fragolino non furono mai coinvolti. In realtà, da misurazioni comparative tra vini da Vitis vinifera e da V. labrusca non sono mai risultate quantità di metanolo che giustificassero misure di divieto al consumo nei confronti della seconda, che infatti non esistono.<br />
<br />
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<a href="https://cipiri11.blogspot.com/2017/08/pane-e-frutta.html" target="_blank"><img border="0" data-original-height="173" data-original-width="291" height="237" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzWOfPC876lAuwlzHcFQDKyqXfn0TC_WBHnvr4lwdMyZJq_ADjoICjnwDXRX3PzREGb8c9884Sd4tLpirbzHeqojXgXQqZVdbeqsSEmr4B5hEso0aqyL6Sc5ysP_dVWK8HreCTAUxlgyM/s400/fragolinoo.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<br />
La storia del Fragolino è la storia dell’uva fragola, detta anche Isabella perché donata alla Regina da Colombo in persona di ritorno dalle Americhe. Il modo in cui è arrivata in Italia è decisamente bizzarro: già presente in larga misura all’inizio dell’Ottocento in Francia, viene portata nel Triveneto per combattere l’Oidio, una malattia della vite.<br />
<br />
Il problema è che, essendo anche portatrice di Fillossera, un insetto che si mangia la pianta dalle radici, ha letteralmente distrutto i vitigni autoctoni italiani.<br />
I contadini avevano notato che questa pianta americana era di fatto immune a quasi tutte le malattie, per cui hanno deciso di piantarla in misura massiccia lungo tutto il territorio.<br />
<br />
L’unico problema è che se si vinifica sulle bucce dell’uva fragola, le pectine presenti producono metanolo oltre al consueto etanolo. E con il metanolo si diventa ciechi e poi si muore.<br />
<br />
Per questo come motivo principale, unito alla paura che le nuove varietà americane prendessero il sopravvento su quelle europee perché indistruttibili, già nel 1936, in piena epoca fascista, venne varata una legge che permetteva di possedere viti di uva fragola con la sola condizione che sia l’uva, sia un’eventuale bevanda venissero consumate esclusivamente a uso personale. Si poteva mangiarla e si poteva anche farci del vino, anche se non si poteva chiamare vino perché denominazione ristretta alla sola varietà europea.<br />
<br />
Il fragolino che si trova in commercio in Italia, è in realtà una bevanda a base di vino, zucchero e aromi al gusto fragola. Gli amanti del vero vino fragolino possono però acquistarlo fuori dall’Unione Europea (Svizzera, Usa, Australia) oppure nel Burgenland, in Austria. Questa è infatti l’unica regione europea dove per motivi storico culturali è possibile produrre e vendere vino ottenuto da uva fragola.<br />
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.Barbara Mezzenzanahttp://www.blogger.com/profile/14292125177674142992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1161597259496367459.post-12253876388198870132017-08-18T07:26:00.002-07:002017-08-18T07:26:19.553-07:00PANE E FRUTTA<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://cipiri11.blogspot.it/" target="_blank"><img border="0" data-original-height="1063" data-original-width="1600" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMGtPJFJzhmyt915-e6o-0X6d859A2pdRslemLRPLL40o-3D9-GCW-JZ9xd_C4HKCAyHDtPa3HS7oyiuEU5v52V52FOHyP_h87D1bsdwrK1tJlBza3ay0DFnwX3NEAbsQpxC4YcPDupSI/s400/frutta.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<br />
Il pane unito a confettura, miele, ecc. non viene digerito bene; ogni amidaceo infatti male si trasforma qualora sia associato a dello zucchero. La digestione amidacea (pane), ad esempio, inizia nella bocca e continua nello stomaco, gli zuccheri invece vengono digeriti esclusivamente nell'intestino. Quando gli zuccheri prolungano la loro permanenza nello stomaco, a causa della digestione del pane, essi fermentano rapidamente coadiuvati dal calore e dall'umidità, e tutta la massa entra in fermentazione provocando così acidità, indigestione, bruciori e gas. Il melone è indigesto per molti, ma se preso solo e lontano dai pasti esso è facilmente digeribile, per tutti. I frutti acidi (limone, pomodoro ecc.) ostacolano la digestione e consumano i minerali dell'organismo, se vengono ingeriti unitamente agli amidacei (pane, patate ecc.). La frutta deve essere consumata da sola in unico pasto, associandola se si vuole con altri tipi di frutta di gusto uguale.<br />
Ogni alimento proteico deve essere preso associato a della verdura e basta, senza olio, poiché i grassi ostacolano la digestione delle proteine.<br />
Gli amidacei devono essere ingeriti unitamente alla verdura con olio se si vuole e nulla d'altro. <br />
<br />
Occorre evitare che la frutta trovi sul suo cammino cibo indigerito e residui putrefattivi di pasti precedenti e di digestioni prolungate oltremisura, mandando se stessa e il resto in putrefazione, e creando gas e rigonfiamenti intestinali. Se mangi due fette di pane e poi una porzione di frutta, rovini un meccanismo perfetto. La porzione di frutta è pronta per andare direttamente nell’intestino tenue, nel duodeno, ma viene impedita di fare quel percorso e viene trattenuta nello stomaco da quelle fette di pane, per cui l’intero pasto, sia il pane che la frutta, si trasforma in un bolo acido carico di fermentazione, per cui tutto è da considerarsi compromesso e rovinato.<br />
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<br />
<br />
La digestione avviene ad opera di sostanze particolari, chiamate enzimi, che scindono gli alimenti nei loro costituenti fondamentali. Nell’organismo ci sono numerosi enzimi ed ognuno specifico per ogni sostanza.<br />
<br />
La frutta può essere divisa in frutta dolce, frutta semiacida e frutta acida.<br />
Frutta acida: ananas, arance, clementine, limoni, mandarini, melagrane, pompelmi, ribes.<br />
Frutta semiacida: albicocche, ciliegie, fragole, mele, pere, pesche, prugne, uva.<br />
Frutta dolce: banane, datteri, fichi, mele dolci, uva dolce.<br />
Melone e anguria.<br />
<br />
Possiamo mangiare diversi tipi di frutta insieme rispettando la combinazione: Frutta acida + semiacida; Frutta dolce + semiacida. Evitare invece di mescolare frutta dolce con frutta acida.<br />
<br />
Il melone e l’anguria vanno mangiati da soli altrimenti fermentano con grossa facilità dato l’elevato contenuto di glucidi (zuccheri). Ma c’è un lato positivo: impiegano solo 10 minuti per essere digeriti quindi l’ideale è mangiarli prima di iniziare il pasto.<br />
<br />
Una buona combinazione è data invece dalla frutta acida con quella oleosa, soprattutto se mangiate prima quella acida. Un buon abbinamento, quindi, sono le arance e le noci. Se vogliamo abbinare la frutta dolce, invece, possiamo preferire della frutta amidacea, come le castagne e le banane.<br />
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<a href="http://cipiri11.blogspot.com/" target="_blank"><img border="0" data-original-height="302" data-original-width="480" height="251" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEis2d0eOuChoja3iFLdhdIOTEjmEir99kJ4I50MPQJ-7tEmJci7UnVZUEYMjmM7Xc3GrrAfNfsHWs8ah2ebYrtSdz1ahZebn32Ab4pbNTO0-xw-uq3esAnM3kWEj7RwbUOza9Vx9kgmaMY/s400/gallette.png" width="400" /></a></div>
<br />
<br />
Le gallette di riso vengono prodotte a partire da un impasto di riso soffiato e collante alimentare, modellato e poi essiccato.<br />
Il riso soffiato per le gallette è realizzato riscaldando al vapore e in ambienti ad alta pressione i semi del cereale, anche se il metodo può differire in base al prodotto specifico.<br />
La galletta di riso americana (quella diffusa anche in Italia) è rotonda, con un diametro di circa 4-5 pollici. Alcuni produttori ne fanno di minuscole, adatte come snack.<br />
Nel formato commerciale più diffuso, una galletta di riso pesa circa 10g, contiene 8g di carboidrati e fornisce circa 30-40kcal; le gallette di riso possono essere anche da riso integrale, mentre in commercio non mancano gallette preparate dai semi di altri cereali, come il mais.<br />
<br />
Estremamente popolari in America Settentrionale e in altri paesi occidentali, le gallette di riso si mangiano come sostitutivo del pane, sia ai pasti principali, sia ai pasti secondari.<br />
Le gallette di riso sono molto utilizzate nella dieta dei bambini e nei regimi alimentari dimagranti, in quanto vengono considerate meno energetiche di qualunque altro derivato dei cereali.<br />
<br />
Alcune gallette di riso sono aromatizzate; all'estero, i gusti più comuni sono: di formaggio cheddar bianco, di popcorn al burro, di cioccolato, di miele, di mais al caramello e di mela alla cannella.<br />
<br />
Le gallette di riso così come le conosciamo sono uno dei vari prodotti che rientrano nella categoria delle rice cake. Queste, possono essere ricavate da un impasto modellabile a base di farina, chicchi macinati o interi, ma non necessariamente “soffiati”; al contrario, la maggior parte delle rice cake tradizionali costituiscono delle vere e proprie polpettine di riso che, generalmente, vengono cotte al vapore.<br />
Di rice cake ne esistono moltissime tipologie, rientrano in moltissime culture alimentari e sono diffuse prevalentemente in Asia (Cina, Taiwan, Corea, Giappone, India, Indonesia, Filippine e Vietnam).<br />
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<br />
<br />
I Wor Bar (Guoba in lingua mandarina, tradotto "pot's burnt") non sono altro che parti di riso che rimangono attaccate al fondo dei vasi di argilla durante la cottura. Dopo la caramellizzazione, i chicchi si aggregano in un unico pezzo e acquisiscono un leggero sapore di bruciacchiato. Possono essere serviti con il tè, o come parte di un pasto principale accompagnando i sughi di carne.<br />
In Italia, un alimento analogo (piuttosto antico) è costituito dalla polenta che rimane attaccata al paiolo.<br />
<br />
Le gallette di riso, a differenza del pane, non contengono lieviti e non causano gonfiore addominale ma hanno un elevato valore glicemico.<br />
<br />
Negli ultimi anni le gallette di riso stanno spopolando e sostituendo sempre più il pane, perché si pensa che siano più leggere, facciano bene alla salute e abbiano gusto, anche se in realtà, molti sostengono che “sappiano di polistirolo”.<br />
La tecnica per produrle è la stessa che si usa per produrre la plastica, ossia estrusione, solamente che la materia prima non sono composti chimici da plastificare, bensì chicchi di riso (o altri tipi di cereali e semi). Quest’ultimi, posti nell’estrusore, sono sottoposti ad un’elevata temperatura sui 200 gradi e ad un’enorme pressione: il passaggio nella macchina è rapido e poi il cereale stritolato, viene spinto fuori attraverso minuscoli fori. La differenza di pressione tra l’interno e l’esterno della macchina fa gonfiare il cereale e la galletta è fatta: un composto molto povero di umidità, molto croccante e ricco di aria, alcune insaporite con sale prima della produzione, altre addizionate con aromi.<br />
<br />
Questo procedimento però, fa perdere la lisina presente nel cereale (un amminoacido essenziale per l’organismo) e distrugge anche molte sue vitamine, senza dimenticare che a parità di peso, le gallette hanno 370 kcal ogni 100 grammi, quasi il doppio delle calorie del pane integrale. Non sono certo un alimento dimagrante di per sé, quindi, e se le si mangiano sperando di perdere peso, il risultato sarà deludente; di positivo c’è che hanno un elevato potere saziante poichè a parità di volume, danno una sensazione di maggior pienezza rispetto ad un altro alimento nelle stesse quantità, e che a differenza del pane non contengono lievito e non creano quindi, gonfiore addominale.<br />
<br />
L’estrusione rende perciò l’amido più digeribile, ma con ciò può avere un alto indice glicemico e quindi è da mangiare moderatamente, e pare anche che formi una sostanza cancerogena, chiamata acrilamide. Fate attenzione quindi all’impatto glicemico che nel caso del riso raffinato risulta piuttosto alto: scegliete delle gallette (e del riso) integrali e abbinate alle gallette delle proteine, in modo da ridurre l’indice glicemico.<br />
<br />
E’ quindi consigliabile non abusarne perché gonfiano e danno una sensazione immediata di sazietà che tende a svanire dopo poco tempo.<br />
<br />
Spesso le gallette di riso vengono inserite nelle diete dimagranti anche per un discorso di intolleranza al glutine e al lievito, in questi casi esistono molte altre alternative, sicuramente più salutari, come acquistare o meglio ancora prepararsi a casa del pane o delle schiacciatine mischiando tra loro le farine di mais, di riso, di miglio o aggiungendo dei falsi cereali come il grano saraceno o l’amaranto.<br />
<br />
Ultima considerazione è l’elevato costo, pari a circa 10 euro al chilo, vale a dire molto di più di una pagnotta di un soffice pane.<br />
<br />
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<a href="http://cipiri11.blogspot.it/" target="_blank"><img border="0" data-original-height="191" data-original-width="265" height="229" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgchixUvylqmalEEMpSlvn1hYWhFAOj1o9g0m6FC3B15L5GwG4VqrpiGlg7eJBdKa7u7Zj6I2aYq-bTbskTvqWglrkIuiu0ND6yctWntXn3JoxPaS4H-iwic4nY97AatpuO2KDpq6e7tpQ/s320/olio.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
Olio di Oliva, pane, pasta, legumi, latte e formaggi, frutta, verdure ed ortaggi, pesce e carni alternative sono i cibi più rappresentativi della tradizione alimentare mediterranea, tradizione che anche nei Paesi più industrializzati viene oggi proposta come modello ideale di alimentazione nella dieta mediterranea l'olio d'oliva occupa un posto di primaria importanza perché è la principale fonte di lipidi, l'energia di riserva che serve al nostro corpo per svolgere le funzioni vitali.<br />
Assumere grassi è essenziale per una buona alimentazione, ma bisogno saper selezionare il tipo di grasso migliore per il nostro metabolismo. L'olio d'oliva è composto essenzialmente di acidi grassi monoinsaturi i quali sono estremamente digeribili aiutano a mantenere alto il livello di colesterolo “buono” HDL e riducono gli effetti del colesterolo “cattivo” LDL provengono la occlusione delle arterie.<br />
<br />
La dieta mediterranea può definirsi veramente un modello ideale di alimentazione, perché fornisce carboidrati, proteine e grassi rispettivamente sottoforma di - cibi a base di amido, - carni magre e pesce - olio d'oliva cioè con cibi altamente salutari e digeribili, che non appesantiscono l'organismo. L'olio d'oliva in particolare, fornisce grassi nella forma migliore per l'organismo, cioè sottoforma di acidi grassi monoinsaturi.<br />
<br />
L’olio d’oliva rispetto ad altri grassi animali o vegetali apporta lipidi in un modo assai più salutare: è composto in gran parte di acidi grassi monoinsaturi, e per questo garantisce una serie di benefici per la salute del nostro corpo - un sostanziale equilibrio tra colesterolo “buono” (quello trasportato dalle lipoproteine HDL, che funziona come “spazzino delle arterie”) e quello “cattivo” (che invece è trasportato dalle lipoproteine LDL). - un apporto di acidi grassi estremamente digeribili - una fonte di vitamine e un aiuto per l’assimilazione delle vitamine contenute negli altri cibi. L’olio d’oliva è inoltre validissimo come grasso di cottura, proprio perché ricco di acidi grassi monoinsaturi che resistono meglio al calore.<br />
<br />
Le diete con olio extravergine d’oliva hanno un effetto benefico per il trattamento dell‘insulinoresistenza associata ad obesità addominale fattori che entrano nella patogenesi del diabete di tipo 2 che costituisce una piaga enorme nei paesi industrializzati e un forte fattore di rischio per malattie ischemiche cardiovascolari. L’olio d’oliva è altamente digeribile, contribuisce alla regolare funzionalità gastrica, promuovendo il benessere del fegato, aumentando le secrezioni della bile, regolarizzando la pressione sanguigna e combattendo la stitichezza se consumato a digiuno. L’olio d’oliva proteggerebbe l’organismo dal tumore alla mammella, svolgerebbe un’azione antinvecchiamento, grazie ai polifenoli e alla vitamina E, insieme ai carotenoidi (soprattutto betacarotene), contrastando i radicali liberi, lo stress ossidativo e l’infiammazione. I pediatri consigliano di inserire l’olio d’oliva nello svezzamento sia per la sua digeribilità che per la presenza di acidi grassi essenziali, importanti per la sintesi degli ormoni, per la crescita dell’organismo in genere e del cervello in particolare. L’olio d’oliva contrasta il cancro colon-rettale e rappresenta una cura efficace contro la dermatite seborroica, funziona da Viagra naturale, privo pertanto di controindicazioni, favorendo la circolazione sanguigna se usato nell’alimentazione quotidiana.<br />
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<br />
Importanti sono anche le sue funzioni cosmetiche: i grassi monoinsaturi presenti nell’olio d’oliva ristabiliscono la composizione del film idrolipidico (protettore della pelle), favorendo il ricambio cellulare dell’epidermide. L’olio d’oliva, apporta nutrimento acidificando la pelle e non aumenta la produzione di sebo. Basta un’impacco di olio d’oliva applicato in testa per 30 minuti o per una notte intera per ridurre la forfora e ridonare lucentezza a capelli sfibrati e secchi. E’ un ottimo idratante per la pelle, rendendola morbida e riparando i tessuti cutanei. L’ideale sarebbe utilizzare creme e bagnoschiuma a base di olio d’oliva intorno ai 30 anni come trattamenti quotidiani. Intorno ai 40 anni, invece, aiuta a rassodare e a ricompattare i tessuti se arricchito con 3-4 gocce di rosmarino, mentre a 50 anni, basta aggiungere qualche sua goccia nelle crema viso- notte per avere un effetto anti-rughe o unirlo alla crema-corpo in modo che possa fungere da anti-smagliature. E’ utile inoltre per sciogliere il cerume. Basta semplicemente mettere qualche goccia di olio d’oliva nelle orecchie, aspettando qualche ora in modo che esso si sciolga, per poi ripulire con carta igienica. Per togliere le tracce di trucco, basta bagnare leggermente un batuffolo o un dischetto struccante con qualche goccia di olio e passarlo sul volto.<br />
<br />
Come dimostrato dagli studiosi, non è la quantità di grassi consumata nella dieta, ma è la qualità che fa la differenza. E’ per questo che l’olio di oliva è diventato l’alimento grasso principale della Dieta Mediterranea: i grassi che esso fornisce hanno effetti benefici sull’organismo in quanto controllano il rischio cardiovascolare.<br />
L’olio d’oliva è l’unico degli alimenti grassi che deriva da un frutto, e l’essere ottenuto da un frutto gli conferisce particolari proprietà salutistiche e gastronomiche. L’olio d’oliva, in particolare nella varietà ‘extra-vergine’, è costituito per la maggior parte da una molecola grassa che contiene acido oleico in larga percentuale. Presenta inoltre un rapporto ottimale tra acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi. Queste caratteristiche biochimiche fanno sì che l’olio d’oliva:<br />
• sia ben digeribile;<br />
• inibisca la secrezione acida dello stomaco;<br />
• stimoli la secrezione del pancreas;<br />
• favorisca l’assorbimento del calcio e l’accrescimento delle ossa lunghe.<br />
Infine, i composti detti polifenolici presenti nell’olio d’oliva hanno una spiccata qualità antiossidante: cioè contrastano lo stress ossidativo del corpo umano dovuto ai radicali liberi che provoca invecchiamento e malattie. Questo fa sì, in pratica, che l’olio d’oliva funga da antinfiammatorio e prevenga le malattie cardiovascolari e l’arteriosclerosi.<br />
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<a href="http://cipiri11.blogspot.it/" target="_blank"><img border="0" data-original-height="280" data-original-width="550" height="202" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL3l2gEyZk8cNOrLQzfzQgt8zb-c9mbY6F7NIQj37GZtyJYTuc2Mjwl0jMo3w1y7zdEQxB0Gt5GbeG48MKLu-_soOD7Uzi9rf2e9iZOHTgv9ZMW61SkHfeMXHnhEsd5j3cHs9Sqekwc9A/s400/amaro.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<br />
Per trarre migliori benefici dal caffè è assolutamente necessario prendere il caffè amaro, ossia senza l'aggiunta di zucchero o altri dolcificanti che ne inficerebbero una serie di proprietà positive, ad iniziare dalle note proprietà termogeniche.<br />
Si tratta di quelle proprietà che permetterebbero di bruciare i grassi più velocemente. Tuttavia, questa caratteristica può essere messa a rischio dallo zucchero del caffè non perché lo zucchero produce grassi, ma perché genera picchi di insulina che attenuano la possibilità del caffè di intervenire con la sua azione termogenica.<br />
<br />
Dal punto di vista scientifico, infatti, le sostanze che permettono di accelerare il metabolismo dei grassi e quelle che si liberano con la formazione dell'insulina, entrano in contrasto tra di loro, annullando le une l'azione delle altre.<br />
Per questo motivo, se si intende bere il caffè per trarne effetti benefici e non solo per sorseggiare una bevanda in compagnia, esso deve essere assunto completamente amaro. Non solo: se lo scopo dell'assunzione del proprio caffè è soprattutto quello di bruciare grassi, allora esso non solo dovrebbe essere preso amaro, ma anche in particolari contesti. Ad esempio, per trarre il massimo dei benefici termogenici da questa bevanda, l'assunzione ideale è al mattino, a stomaco vuoto. Inoltre, effettuare un'attività fisica entro un'ora dall'assunzione garantisce la formazione di condizioni metaboliche ed ormonali perfette per accelerare le possibilità di bruciare grassi.<br />
Prendere il caffè amaro, inoltre, è un ottimo stimolante che permette di migliorare la sensazione di vigore e di energia disponibile. Anche in questo caso è necessario sottolineare il ruolo dello zucchero in relazione all'energia. Ancora una volta, l'assunzione di zucchero alza il livello dell'insulina che, oltre a contrastare il metabolismo dei grassi, genera sonnolenza e stanchezza generale che vanno proprio a contrastare gli effetti stimolanti del caffè.<br />
E' quindi errato pensare che aggiungendo zucchero al caffè si può ottenere una sferzata di energia: semmai è il contrario.<br />
Naturalmente, per quanti sono abituati a bere il caffè dolce, può essere difficile eliminare del tutto lo zucchero in un'unica volta. Per questo motivo si consiglia di diminuire la quantità di zucchero un poco alla volta, dando così il tempo al proprio palato, di abituarsi a questo nuovo sapore che, poi, è il vero gusto del caffè.<br />
<br />
Chi prende il caffè amaro saprà riconoscere ed apprezzare meglio i diversi aromi, tipici delle differenti miscele o dei diversi processi di torrefazione, potendo quindi imparare a scegliere, anche a seconda delle proprie esigenze di palato, la miscela più idonea al proprio gusto.<br />
Tra l'altro, il caffè amaro permette di mantenere più a lungo il proprio calore, diventando una bevanda perfetta per combattere il freddo e, conservando maggiormente la propria temperatura più calda, permette di poter essere sorseggiato con calma e senza stress.<br />
L'elevato consumo di caffè nelle società occidentali e non solo, ha portato molti scienziati a cercare di comprendere, al di là degli effetti immediati come quelli fino ad ora descritti, se il caffè potesse anche essere caratterizzato da effetti di lunga durata, che ne giustificassero un uso continuativo nel tempo. Gli studi hanno rivelato una serie di interessanti risultati che fanno del caffè amaro non solo una bevanda consigliata, ma in certi casi una vera e propria cura per mitigare il rischio di alcune malattie.<br />
Uno dei primi risultati inerenti le proprietà e i benefici del caffè amaro è quello di poter abbassare il rischio di diabete di tipo II, ossia il diabete che si contrae solitamente da adulti a causa, nella maggior parte dei casi, di una scorretta alimentazione a base di assunzione eccessiva di zuccheri.<br />
Questa malattia è aumentata moltissimo negli ultimi anni, proprio in concomitanza dell'incremento della sedentarietà che, come conseguenza, ha portato ad un aumento dei casi di obesità, sia tra bambini che tra adulti. Una serie di studi condotti sui bevitori di caffè amaro ha portato ad evidenziare che questi hanno una minore incidenza di casi di diabete ossia hanno minore possibilità di diventare diabetici rispetto a quanti non fanno uso di caffè o bevono regolarmente caffè dolce.<br />
Un ulteriore studio condotto per accertare la relazione tra l'assunzione di caffè e la maggiore possibilità di non contrarre il diabete, ha addirittura messo in evidenza, studiando un campione di oltre 400mila persone, che una tazzina al giorno di caffè amaro permette di abbattere la percentuale di rischio di ammalarsi di diabete del 7%.<br />
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<br />
Lo stimolo mentale che scaturisce dall'assunzione di caffè amaro permette inoltre di abbassare anche il rischio di ammalarsi di Alzheimer. Questa malattia degenerativa rappresenta ad oggi una delle cause maggiori di demenza, soprattutto senile. Anche in questo caso, gli studi condotti da equipe di scienziati di tutto il mondo sono stati condotti su un elevato numero di campioni per i quali è stato stimato che l'uso di caffè permette di abbattere il rischio di Alzheimer fino al 65%.<br />
Ma il caffè amaro sembra avere buoni effetti non solo sull'Alzheimer, ma anche su un'altra importante malattia degenerativa: il Parkinson. Il caffè amaro, e in particolare la caffeina, si sono rivelate un'ottima arma contro il Parkinson ed è stato stimato che chi fa regolare uso di caffè amaro ha il 33% di possibilità in meno di contrarre questa malattia.<br />
Oltre ai risultati positivi che si sono riscontrati nelle malattie di tipo degenerativo, ulteriori studi hanno messo in evidenza che il caffè presenta delle caratteristiche che permettono di migliorare la protezione contro il cancro al fegato. I risultati che sono stati ottenuti da questo particolare tipo di studio hanno messo in evidenza che chi assume due tazzine di caffè amaro al giorno ha il 30% di possibilità in più di non contrarre un tumore al fegato, anche se già caratterizzato da precedenti patologie relative a questo organo.<br />
E il tumore non è l'unico problema del quale il caffè sembra una buona soluzione. Anche il rischio cirrosi epatica, infatti, è più bassa nei regolari bevitori di caffè. Anche se non è ben chiaro quali siano i meccanismi e le molecole del caffè che entrano in gioco nel contrastare la cirrosi, gli studi condotti in questo senso hanno potuto evidenziare che l'assunzione di caffè ha un'elevata incidenza sull'abbassamento della possibilità di ammalarsi di cirrosi al fegato: con quattro tazzine al giorno, infatti, si può ridurre il rischio di contrarre la cirrosi epatica fino all'80%.<br />
Un altro punto a favore del caffè è legato alle malattie cardiovascolari, tra le principali cause di morte nelle nazioni Occidentali. Anche se i primi studi sul caffè sembravano accusare questa bevanda di essere causa di incremento di malattie cardiovascolari, le nuove ricerche sembrano, invece, dimostrare il contrario. Così come hanno dimostrato il contrario i recenti studi che hanno rivalutato la relazione tra assunzione di caffè ed ictus.<br />
Le cause per cui il caffè amaro risulta prevenire e non favorire queste due malattie sono da ricercare soprattutto nell'elevata presenza di antiossidanti che questa bevanda contiene. Infatti esso rappresenta uno degli alimenti della dieta Occidentale più ricchi di antiossidanti, presenti in quantitativi maggiori rispetto alle tanto apprezzate frutta e verdura.<br />
<br />
Tra i vari studi dell’Università di Innsbruck c'è ne uno che riguarda la “bevanda nera” amata da molti. Chi lo beve infatti senza zucchero e quindi amaro potrebbe essere un narcisista o addirittura uno psicopatico.<br />
<br />
Il numero di amanti del caffé preso a campione non è elevatissimo. Si parla di oltre 1000 persone sulle quali gli studiosi hanno approfondito la ricerca. Certamente, vista la popolazione che ne fa uso, non una quantità destinata a portare dubbi negli abitanti che lo amano zuccherato ma certamente una piccola porzione che, alla fine, hanno dato risposte davvero inaspettate.<br />
<br />
L’università di Innsbruck spiega, al termine dei vari studi effettuati, quindi che: “forniscono la prova empirica che la preferenza per un gusto amaro è legata a tratti delle personalità malevoli, ambigui e con scarsa empatia verso il prossimo”.<br />
<br />
Sull’argomeno caffé amaro o caffé zuccherato molti sono intervenuti dando la propria spiegazione sull’utilizzo migliore della prima o della seconda soluzione. C’è chi dice che lo zucchero elimini il sapore e il gusto della bevanda colorata di nera e che quindi sia meglio berlo amaro per assaporarne maggiormente le capacità e chi invece pensi che non cambi il gusto anche aggiungendovi lo zuccero o un qualsiasi altro dolcificante.<br />
<br />
Alcuni studi in tal senso hanno determinato come il caffè sia un piacere e vada bevuto come meglio si crede, va vissuto per far piacere a se stessi e quindi, essendo versatile, lo si può fare in svariate maniere (con la panna, con il latte, insieme ad altri elementi come alcoolici oppure cacao, ad esempio).<br />
<br />
Di fatto lo zucchero non nasconde affatto, secondo altri studiosi, il gusto del caffé manentendone inalterate le caratteristiche. Resta il fatto che bere il caffé sia un fatto personale e che ognuno possa gradirlo come meglio crede.<br />
<br />
Magari lo studio austriaco accentuerà la paura che, davanti ad una persona che lo prende amaro, ci si possa imbattere in un psicopatico o in un narcisista ma alla fine anche questi studi vanno presi non completamnete alla lettera perché, nel mondo, persone che amano il caffé al naturale sono moltissime e non sempre queste hanno problematiche così gravi.<br />
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<br />
<br />
Le nutrie vengono mangiate da sempre in Sudamerica. La loro carne è infatti reputata talmente prelibata che la si associa spesso a quella di lepre e coniglio, tanto da spingere alcuni ad allevarle e commercializzarle.<br />
Nella Germania in crisi dopo il primo conflitto mondiale era presente sulla tavola delle popolazioni rurali, tant’è che ancora oggi la carne di nutria è venduta nel centro Europa.<br />
<br />
Pure l’Italia, in passato, non è stata estranea a questa discutibile pratica alimentare. Importata negli anni ’20 per allevarla e ricavarne materiale per pellicce, dell’animale che vive lungo le sponde e gli argini dei corsi d’acqua si sono cibati un po’ tutti durante il secondo conflitto mondiale.<br />
Crollato successivamente il mercato delle pellicce, molti esemplari vennero poi rilasciati in natura, dove si sono riprodotti a velocità record causando (per alcuni) consistenti danni alla vegetazione.<br />
<br />
Ultimamente se ne parla soprattutto in quanto specie alloctona: si pone il problema della sua gestione visto che, riproducendosi a tassi molto elevati, è in grado di modificare in maniera consistente gli equilibri degli ecosistemi e provoca anche danni ingenti alle coltivazioni agricole<br />
<br />
In Germania e in Francia oggi la carne della nutria è commercializzata e infatti la normativa europea prevede un iter preciso per far sì che le carni arrivino al dettaglio con tutte le tutele sanitarie del caso. A proposito di questo in Italia esiste un grande pregiudizio, ha spiegato il dottor Ferri: la nutria è infatti assimilata, per il suo aspetto, ad un grande topo, e a questo si associa l’impressione che sia un possibile vettore di malattie pericolose per l’uomo.<br />
<br />
In realtà, spiega il dottor Ferri, “le cose non stanno così in quanto i tanti studi epidemiologici e monitoraggi sanitari nell’area di origine della specie e nelle area di espansione, anche in Italia, illustrano una situazione che è analoga in tutte altre specie per il consumo umano che sono gestite in tutta sicurezza, grazie a norme precise a tutela dei consumatori. Pertanto da questo punto di vista si tratta di animali normalmente gestibili in una filiera di lavorazione per il consumo umano come la selvaggina minuta.” “Ricordo”, continua Ferri, “che nei paesi d’origine la nutria è considerata una specie dalla carne pregiata. La FAO la considera fra le specie più adatte per l’allevamento a scopo di integrazione alimentare delle famiglie rurali dei paesi poveri. Va detto anche che oggi in Italia la nutria viene abbattuta e poi smaltita da ditte specializzate nella distruzione delle carcasse animali con produzione di emissioni.” Per la destinazione alla lavorazione e al consumo, gli attuali piani di controllo dovrebbero essere integrati dislocando sul territorio delle celle frigorifere di sosta per l’invio successivo alla lavorazione. Inoltre il personale dovrebbe essere adeguatamente formato sulle misure adatte per garantire la sicurezza alimentare.<br />
<br />
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<br />
<br />
La possibilità di aprire una filiera del consumo di questo animale potrebbe rappresentare un modo conveniente per gestire la presenza di questa specie alloctona nel nostro paese aprendo di pari passo un’interessante prospettiva economica a fronte di una riduzione o annullamento delle spese di smaltimento, ha spiegato Ferri. Tanto più che secondo il veterinario ci sarebbe la possibilità che il consumo delle nutrie avvenga già in alcuni casi, ma per vie non legali. Dunque prima che il consumo di carne di nutria passi per vie non monitorate, sarebbe possibile cominciare a discutere negli ambiti opportuni della possibilità della messa in commercio delle carni di questo animale, già possibile per le norme vigente. Inoltre una quota di popolazione rappresentata da cittadini di origine sudamericana, sarebbe già un potenziale consumatore di questo tipo di prodotto. Ma non si esclude, secondo Ferri, che anche gli Italiani possano essere curiosi di assaggiare una carne simile a quella di altri roditori, come coniglio e lepre.<br />
<br />
Con due Circolari, la n. 17 del 20 gennaio 1959 e la n. 144 del dicembre 1959, l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità Pubblica presso il Ministero degli Interni (il Ministero della Sanità non era ancora stato istituito) liberalizzò l’utilizzo delle carni di castorino, a patto che le stesse fossero «sottoposte a vigilanza veterinaria, messe in vendita ad animale intero e individuate con apposito bollino a cura dell’allevatore».<br />
<br />
La nutria è un roditore prettamente vegetariano con una dieta che si basa su piante acquatiche, varie erbe, radici, tuberi e frutta. Ne sanno qualcosa gli agricoltori che ogni anno devono fare i conti con i danni arrecati alle coltivazioni. Proprio la sua dieta, ne fa un animale dalle carni con contenuti nutrizionali molto buoni. È assimilabile o migliore di tacchino, pollo e manzo in termini di contenuti di proteine (22.1%), di bassa percentuale di grasso (1.5%) e colesterolo. La carne rossa è molto magra e assomiglia a quella del coniglio, con un gusto accomunabile a quello del tacchino.<br />
Lo stato della Louisiana, nel sud degli Usa, attraverso il proprio dipartimento della fauna selvatica e della pesca ne fa una raccolta per lanciare il consumo di questa carne.<br />
<br />
La ricetta più semplice è quella di cucinarla in umido. Si toglie la pelle della nutria, poi la si disossa e la sua carne tagliata a spezzatino.I tranci vanno posti in una terrina e ricoperti completamente con una marinatura cruda di verdure, erbe aromatiche, aceto e vino bianco per almeno dodici ore. In una padella si mette poi olio e cipolla con sedano e carota, si fa soffriggere, si mette la carne con sale, peperoncino e spezie varie a piacimento, si aggiungono i pomodori e si lascia cucinare a fuoco lento. Né più né meno come un coniglio. Un'altra ricetta aggiunge peperoni verdi e rossi e fagioli rossi. E se negli Usa si trova anche nei supermercati, da noi ci vuole un bel coraggio ed uno stomaco di ferro per provarla.<br />
<br />
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<br />
<br />
La quinoa, Chenopodium quinoa, definita dagli Inca la “madre di tutti semi” e pianta sacra era già coltivata da diversi secoli avanti Cristo sugli altipiani delle Ande. Per la civiltà Inca e per gli Atzechi, la quinoa era l’alimento principale, grazie al suo alto valore nutritivo. Essa racchiude in sé molte proprietà utili all’organismo umano.<br />
<br />
I maggiori produttori ed esportatori di quinoa sono ancora oggi i territori del sud America, la Bolivia, il Perù, l’Ecuador, anche se parte della produzione arriva dall’Africa e dall’Europa. Si possono contare oltre 200 tipi di quinoa, che variano in base alle zone di coltivazione e al colore del seme, che può essere rosso, giallo o nero. Questa differenza estetica non coinvolge le sue proprietà nutritive, che restano di alta qualità in tutte le specie. La quinoa è una pianta erbacea annuale, appartiene alla stessa famiglia delle barbabietole e degli spinaci e non è una graminacea, anche se viene spesso definita pseudocereale, poiché si cucina e si utilizza nello stesso modo dei cereali. La quinoa in alcuni terreni cresce spontaneamente e in altri si coltiva con successo, senza necessità di trattamenti, sia in zone a livello del mare sia in aree montuose, fino a 4000 metri di altitudine, con diversi tipi di climi e di terreni, anche aridi. La pianta ha steli che possono arrivare anche fino a tre metri di altezza, ricchi di semi tondeggianti. La tipologia di quinoa dal seme rosso, in particolare, si distingue dalle altre per il suo alto contenuto di fibra, un sapore che ricorda quello della noce e una consistenza che rimane più croccante dopo la cottura.<br />
<br />
Per quanto riguarda le caratteristiche nutrizionali, 100 g di Chenopodium quinoa (il suo nome tra gli esperti) contengono circa 64g di carboidrati, di cui 52g di amido. Per questo viene erroneamente considerata un cereale alternativo, ma in realtà è un pseudo-cereale, non appartenendo alla famiglia delle graminacee. É molto adatta ai chi soffre di celiachia, per l’assenza di glutine. Inoltre, è ricca di proteine (ben 14g) e di lisina, un aminoacido essenziale per la nostra alimentazione. Contiene circa 6g di grassi, soprattutto polinsaturi e 7g di fibra, fondamentale per il buon funzionamento intestinale. Infine, fornisce minerali importanti come fosforo, potassio, magnesio, ferro e zinco. L’apporto calorico è di 368 kcal ogni 100 g.<br />
<br />
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<br />
<br />
La quinoa rossa cuoce in circa 40 minuti e ottima per le insalate e in abbinamento ad altre preparazioni.<br />
<br />
Negli anni però, o forse sarebbe meglio dire nei secoli, la quinoa è stata quasi completamente dimenticata, ed è stata recuperata soltanto di recente quando, studiando l’alimentazione delle popolazioni storicamente consumatrici di quinoa rossa, si è capito che questo pseudocereale potesse in qualche modo apportare straordinari nutrienti e benefici per l’organismo. Per questo motivo la sua importanza è andata via via crescendo essendo appunto un ingrediente straordinario che può essere impiegato in un gran numero di ricette e può fare bene praticamente a tutti, anche a coloro che seguono una dieta già di per sé equilibrata e salutare.<br />
<br />
Si tratta di un alimento estremamente nutriente, molto saziante e che a dispetto della preponderanza dei carboidrati può essere considerato anche equilibrato. L’apporto calorico è importante (100 grammi contengono circa 350 kcal) e si posiziona all’interno di quella fascia che è propria dei cereali, anche se, come abbiamo ribadito in apertura, questo ingrediente non è assolutamente un cereale.<br />
<br />
A rendere questo alimento ancora più interessante per chi sta seguendo una dieta o vorrebbe comunque recuperare un buono stato di salute, troviamo le fibre. Sono presenti in quantità interessanti (circa 6 grammi per 100 di prodotto secco) e sono di fondamentale importanza soprattutto per chi sta seguendo una dieta particolarmente restrittiva. Le fibre alimentari infatti non vengono digerite dagli esseri umani, ma raccogliendo liquidi si gonfiano e permettono di avere feci più consistenti e più soffici.<br />
<br />
La quinoa rossa può essere cucinata in mille modi, anche se il fatto che è molto resistente alle cotture la rende perfetta per:<br />
<br />
le insalate fredde: si può far cuocere a lungo e poi condire con verdure fresche, verdure cotte, mais e anche qualche affettato magro. Ottima, in questa circostanza, anche con feta e le olive;<br />
i risotti: dato che è capace di resistere alle cotture lunghe, si può utilizzare anche per avere dei risotti particolarmente al dente. In questo caso si può utilizzare come perfetto sostituto del riso o del farro, senza alcun tipo di problema;<br />
bollita, per accompagnare altri piatti: cucinare un po’ di carne e mettere la quinoa al posto del pane è un ottimo modo per aumentare il senso di sazietà senza andare ad aggiungere molte altre calorie.<br />
<br />
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<br />
<br />
Un famoso detto recita “Consuma una colazione da re, un pranzo da principe e una cena da povero” non a caso, i proverbi hanno sempre ragione, infatti anche oggi tutti i nutrizionisti sottolineano l’importanza di iniziare la giornata con una colazione completa, che sia in grado di ristorarci dopo il digiuno notturno e ci dia l’energia necessaria per iniziare la giornata. Questo ci permette non solo di arrivare al pranzo non eccessivamente affamati portandoci a mangiare in maniera eccessiva e disordinata ma anche di evitare a metà mattina di infilarci in un bar e consumare brioche e dolciumi ipercalorici, cappuccini…portandoci inevitabilmente ad ingrassare. Malgrado ciò, una grossa percentuale di italiani salta questo appuntamento quotidiano, mentre altri si affidano a scelte e combinazioni alimentari spesso sbagliate.<br />
<br />
Per una dieta corretta è necessario rispettare i ritmi biologici del nostro organismo. La scelta degli alimenti, quindi, dovrebbe infatti essere finalizzata alle reali necessità fisiologiche. Il nostro organismo è regolato naturalmente, nelle sue funzioni biologiche e metaboliche.<br />
<br />
Nelle 24 ore, attraverso il ritmo circadiano, vengono regolati molti fenomeni dell’organismo come il ritmo cardiaco, le secrezioni ormonali, la pressione sanguigna e l’escrezione renale. Il corretto equilibrio dei ritmi circadiani è direttamente condizionato da ciò che si mangia e dall’ora nella quale vengono ingeriti i cibi.<br />
<br />
Il consiglio di distribuire il cibo nella prima parte della giornata, riassunto efficacemente dall’aforisma, trova conferma in alcune ricerche che hanno documentato un maggior consumo energetico nelle ore del mattino fino ad un minimo nel corso della notte.<br />
<br />
Il nostro metabolismo, ovvero l’energia indispensabile al corpo per mantenere in funzione le nostre attività basilari come respirare, dormire, mangiare, digerire ecc, ha la sua massima funzionalità al mattino e tende a ridursi nel corso della giornata fino ad arrivare alla sua minima “carica”, che si verifica intorno alle 18. Questo è dovuto principalmente all’intervento di due ormoni: il Cortisolo e l’Insulina. Entrambi, vengono sintetizzati proprio alle prime ore del mattino in gran misura, per poi scemare a poco a poco, fino al loro picco minimo di produzione che si registra infatti verso le 18.<br />
<br />
La Colazione dovrebbe essere il pasto più abbondante della giornata e dovrebbe essere composta da una fonte di Carboidrati a cui aggiungere una fonte proteica: cereali integrali o pane integrale a lievitazione naturale, marmellata senza zucchero o miele, accompagnati da frutta fresca (anche secca come qualche noce o mandorla, per l’apporto proteico); yogurt vegetale (di soia). Per gli amanti delle colazioni salate si possono aggiungere una fetta di fesa di tacchino o un uovo. Da bere ottimo il tè (verde specialmente), il caffè anche d’orzo, gli infusi e le spremute di frutta, il latte vegetale (riso, avena, soya, mandorle, ecc.).<br />
<br />
L’Italia e la Francia sono fra i pochi paesi al mondo, dove al mattino si consumano prevalentemente carboidrati. La maggior parte delle altre culture, invece, preferisce uova, carne e pesce, assicurandosi la giusta quantità di energie per tutta la giornata. Al contrario, la brioche contiene in prevalenza zucchero raffinato, farina bianca e grassi idrogenati. Il tutto causa un aumento vertiginoso della glicemia e come reazione una produzione massiccia di insulina. L’insulina abbassa gli zuccheri molto rapidamente (ipoglicemia reattiva) e quindi, dopo un paio d’ore, l’energia è già consumata. Si cerca allora altro zucchero, con il caffè delle 10 e la merendina, alimentando un vero e proprio circolo vizioso. Se a colazione ovvero alla mattina, quando il nostro metabolismo e la sintesi degli ormoni (Cortisolo e Insulina) sono alla massima produzione, non forniamo al corpo un corretto e generoso “carburante” per far fronte a tutte le azioni che svolgeremo nel corso della giornata, l’organismo sarà costretto ad attingere dai nostri muscoli la quota proteica di cui necessita e preleverà dal fegato il glucosio immagazzinato (cioè il glicogeno. Il tutto al fine per ottenere zuccheri disponibili, ovvero energia pronta. Rinunciare al cappuccio, biscotti e brioche e preparare una ricca colazione come sopradescritto è fondamentale ed il corpo lo richiede. Se si pensa di perdere peso, tralasciando la colazione, è un grosso errore; al contrario, è il modo migliore per ingrassare, come documentano le ricerche scientifiche a causa della mancata attivazione metabolica.<br />
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A metà mattinata è buona norma assumere uno spuntino a base esclusivamente di frutta.<br />
<br />
A pranzo si possono assumere carboidrati abbinati sempre ad una fonte proteica (uova, pesce, carne, formaggio) e a verdure sia cotte che crude Queste ultime è preferibile consumarle prima del pasto.<br />
<br />
Un pranzo così impostato consente di dare al corpo una buona dose di energia sino al pomeriggio inoltrato, momento in cui sarebbe nuovamente consigliabile assumere uno spuntino come quello indicato per la metà mattina, sempre se si sente il bisogno, finalizzato a non costringere mai l’organismo ad attingere dalle proprie riserve.<br />
<br />
La cena è invece costituita prevalentemente da proteine di prima qualità e verdure in moderate quantità.<br />
<br />
Al contrario, un pasto ricco di carboidrati a cena interferirebbe con le normali funzioni fisiologiche, riducendo il recupero muscolare e disturbando il riposo notturno.<br />
<br />
La giornata nutrizionale organizzata secondo la biochimica e la fisiologia del nostro organismo, non permette di giungere a cena affamati. Questo è il momento in cui il metabolismo è ai minimi termini; ecco perchè mangiando tanto di sera, soprattutto carboidrati, avremo un eccesso di zuccheri che non verranno adeguatamente tenuti sotto controllo dall’azione dell’insulina, perchè concentrazione in queste ore è bassissima, con la conseguenza di un accumulo di grassi.<br />
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.Barbara Mezzenzanahttp://www.blogger.com/profile/14292125177674142992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1161597259496367459.post-90138000108389855102017-04-12T06:21:00.003-07:002017-04-12T06:21:54.346-07:00LA COLAZIONE<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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Al risveglio, il metabolismo ha bisogno di una sferzata di energia per riattivarsi e svegliare, così, l'intero organismo. La colazione diventa quindi il pasto più importante della giornata e, se proprio non può essere principesca, che almeno sia calibrata secondo le esigenze soggettive e la routine quotidiana.<br />
<br />
Fornire al corpo la giusta energia, al mattino, è fondamentale per nutrire anche il cervello e rendere sia nello sport sia nelle attività intellettive come studio e lavoro. Inoltre, trovare la colazione giusta e ideale fa sì che anche l'umore sia al top sin dalle prime ore della giornata.<br />
<br />
In linea generale, la colazione ottimale dovrebbe prevedere carboidrati, proteine e grassi in combinazione equilibrata o calibrata sull'attività fisica. Da non dimenticare, poi, che le calorie assunte (circa il 25% del fabbisogno giornaliero) dovrebbero essere piene (nutrienti e vitamine) e non vuote (zuccheri semplici).<br />
<br />
Qualsiasi sia la giornata che ci aspetta, la prima buona e salutare abitudine del mattino (e lo consigliavano anche le nostre nonne) è bere un bicchiere di acqua tiepida (o a temperatura ambiente) con limone spremuto al momento.<br />
<br />
Questa bevanda, all'apparenza semplice, è in realtà un concentrato di vitamine e benessere. I benefici del bicchiere di acqua e limone si notano sia a livello di intestino sia sulla pelle. Quest'ultima, infatti, dopo pochi giorni di trattamento appare visibilmente più luminosa e purificata e l'intestino, invece, riacquista la sua regolarità.<br />
<br />
Inoltre, non dimentichiamo il ruolo della vitamina C sul sistema immunitario nonché quello degli agrumi sullo smaltimento dei grassi corporei. Insomma, per fare il pieno di salute e bellezza basta davvero poco.<br />
<br />
Il primo mito da sfatare fa tremare dalle fondamenta un caposaldo della tradizione italiana: la colazione al bar, una delle più diffuse nel nostro bel paese, non è una colazione che si può proprio definire salutare. <br />
Il classico cornetto e cappuccino, oltre ad essere spesso ingurgitato in tempi record, è un pasto poco equilibrato, con basso potere saziante e decisamente troppo calorico: pensate che con un cornetto non farcito e un cappuccino è facile raggiungere 500 Kcal, per lo più provenienti da grassi saturi e zuccheri semplici; tutto ciò per trovarsi a distanza di poco tempo di nuovo con una fame da lupi, quindi favorendo un introito di calorie eccessivo a pranzo o al momento dello spuntino. È facile capire che questo vada a discapito della linea e del benessere. Ma peggio ancora della colazione al bar è saltarla.<br />
Saltare la colazione fa male perché:<br />
- l'organismo soffre una mancanza di energia;<br />
- il metabolismo rallenta;<br />
- aumenta il senso di fame durante la giornata.<br />
<br />
Una recente ricerca americana dell'Università del Minnesota condotta su un campione di 2000 persone in età attiva e tenute sotto osservazione per 5 anni, è giunta alla conclusione che il gruppo dei rinunciatari della prima colazione (il 25% del campione, tra cui soprattutto ragazze che speravano così di non ingrassare) di fatto alla fine dell'esperimento ha visto uno spostamento verso l'alto dell'ago della bilancia, calcolato in un aumento medio di 2-3 chili in più rispetto a coloro che invece hanno continuato o cominciato a iniziare la giornata con un tête-a-tête con il cibo.<br />
<br />
Questo perché mangiare dopo il risveglio, e quindi dopo un periodo di digiuno, fornisce all'organismo le energie necessarie per essere più attivo ed efficiente, cosa che invece non succede a chi affronta le incombenze della giornata con la pancia vuota; e inoltre, la prima colazione stimola il metabolismo e fa sì che non si arrivi troppo affamati al pasto successivo, né che durante la mattina si cada nella tentazione di colmare il "buco nello stomaco" con ogni genere di snack.<br />
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<br />
<br />
Una buona colazione deve iniziare, in tutte le stagioni, con la spremuta di arance: meglio prepararla in casa con uno spremiagrumi perché le spremute confezionate sono povere di vitamine e ricche di conservanti. La spremuta non va filtrata, lasciando che nel bicchiere finisca anche parte della polpa che è ricca di fibre e quindi stimola il senso di sazietà e aiuta il lavoro dell'intestino. Vietato anche aggiungere lo zucchero, che neutralizza i principi attivi delle arance: se la spremuta risulta troppo acida, basta stemperarla con un po' di acqua.<br />
<br />
Buona norma introdurre lo yogurt al posto del latte (è più digeribile e non rischia di restare sullo stomaco), optando per quello naturale e non zuccherato, al quale aggiungere un mix di frutta di stagione tagliata al momento, preziosa per stimolare anche l'intestino più pigro.<br />
<br />
È importante poi non trascurare i carboidrati, che essendo una fonte di energia permettono di avere un buon rendimento nella prima fase della giornata. Allora, allo yogurt (o al latte di riso o soia) si può abbinare un cucchiaio di fiocchi di riso, muesli o di cereali integrali, facendo attenzione a non esagerare con le dosi e resistendo alla tentazione di prendere le versioni più golose e arricchite con frutta secca o cioccolato. <br />
<br />
Non devono mancare due fette biscottate integrali o ai cereali o una fetta di pane integrale (meglio ancora se ricco di semi e molto consistente), ricoprendoli a piacere con un velo di marmellata o di miele. E perché no, anche con un po' di ricotta: a fronte di un basso contenuto calorico, la ricotta di latte vaccino fornisce una dose elevata di proteine sazianti. <br />
<br />
Al posto del caffè espresso, che in molti casi crea acidità, si può optare per quello all'americana, preparando la bevanda con la classica moka e allungandola con un po' di acqua calda.<br />
<br />
Oppure si può alternare il caffè con il tè verde o un tè alla menta: gli infusi sono benefici per la circolazione, sono meno "eccitanti" del caffè e garantiscono anche un'azione disintossicante e drenante. L'acqua calda, inoltre, stimola la peristalsi intestinale. <br />
<br />
Il pane con una fetta di bresaola, alternativa più salutare e meno calorica rispetto al bacon fritto o alle salsicce che compaiono sulle tavole inglesi e tedesche. L' uovo di prima mattina va bene, a patto di non esagerare con la frequenza (meglio ad esempio mangiarlo a colazione in previsione di un pranzo di metà giornata povero di proteine) e optando per cotture light: si possono preparare le uova strapazzate ricorrendo al forno a microonde oppure si opta per l'uovo alla coque, in assoluto il più leggero da digerire.<br />
<br />
Per chi non sa rinunciare alla classica colazione italiana, alla quale tanti siamo abituati fin da bambini, l'importante è fare attenzione ai prodotti che si scelgono; se amate l'idea di inzuppare un fragrante biscotto nel latte, quindi assicuratevi di scegliere biscotti che abbiano un ridotto apporto calorico e valori nutrizionali bilanciati: molti biscotti industriali disponibili in supermercato, infatti, contengono ingredienti poco salutari (ad esempio, l'olio di palma), hanno valori nutrizionali poco equilibrati, con prevalenza di zuccheri semplici e grassi. I biscotti dietetici invece sono spesso degli ottimi prodotti ben bilanciati nel loro apporto fra carboidrati, proteine e grassi; l'uso di farine integrali non raffinate, e il maggior contenuto di fibre, rendono i biscotti dietetici più adatti ad una colazione perfetta e salutare, sia che si stia seguendo una dieta dimagrante, sia che si tenga alla propria forma e al proprio benessere.<br />
La crusca d'avena è un altro ottimo prodotto, grazie al suo sapore naturalmente dolce, al suo alto potere saziante, all'alto contenuto di beta-glucani e al suo potere di assorbire fino al 10% delle calorie ingerite, tutto senza innalzare l'indice glicemico.<br />
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<br />
<br />
Il sushi rappresenta il cibo perfetto, teoricamente non fa ingrassare, è decisamente chic nella forma con cui viene servito e i ristoranti giapponesi, solitamente, hanno un arredamento minimal-chic.<br />
<br />
E' pressoché impossibile spendere meno di 40€ a testa mangiando decentemente; ma da un po' di tempo una nuova formula ha fatto il capolinea in alcuni ristoranti giapponesi un po' più cheap: All you can eat mangi quello che vuoi e senza limiti ad un prezzo fisso.<br />
<br />
Sushi, sashimi, tartare di tonno sono una tentazione irresistibile, sempre più di moda nei happy hour italiani e nei ristoranti giapponesi, ormai molto affollati. L'aumento di consumo di pesce crudo è la tendenza gastronomica del momento, anche tra i più giovani.<br />
<br />
Il pesce crudo può essere contaminato da diversi microrganismi, che provocano infezioni gastrointestinalii, causate non solo da Escherichia coli o Salmonella, ma anche dai più pericolosi Anisakis o Opisthorchis, diffuse fino a poco tempo fa solo in alcune aree geografiche.<br />
<br />
L'Anisakiasi è provocata dall'ingestione di pesce poco cotto o crudo contaminato dalle larve di un parassita, l'Anisakis simplex, che può infestare diversi pesci, come sardine, aringhe, acciughe, sgombri, totani e calamari, tonno, salmone, merluzzo, nasello. Una volta ingerita, la larva (un vermicello filiforme, visibile anche a occhio nudo, lattiginoso e lungo 1-2 cm) spesso muore e non provoca sintomi, ma in altri casi può manifestarsi con forme cliniche sistemiche o gastrointestinali. Le prime determinano sintomi allergici di varia gravità, che spaziano dall'orticaria, all'angioedema, fino allo shock anafilattico e sono causate da una reazione allergica verso le proteine del parassita. Altrettanto gravi le forme gastrointestinali: sono dovute alla formazione di granulomi della parete gastrointestinale, causate da una reazione alle larve del parassita.<br />
<br />
Le forme croniche possono simulare diverse malattie infiammatorie e ulcerose del tratto intestinale, oppure coinvolgere altri organi, come fegato, milza o pancreas. In casi più rari le larve possono perforare la parete dell'intestino e causare un addome acuto, che simula un'appendicite acuta o un'ileite terminale. La cura dell'Anisakis richiede molto spesso nei casi più gravi l'intervento chirurgico, per asportare la parte dell'intestino invasa dai parassiti.<br />
<br />
L'Opistorchiasi è invece una parassitosi causata dall'Opisthorchis, un verme piatto lungo circa 8-10 mm.L’uomo, ospite definitivo, si infetta mangiando pesci di acqua dolce crudi o poco cotti, contenenti le larve incistate. I sintomi, dovuti ai danni al fegato e alle vie biliari, sono più sfumati rispetto all'anisakiasi, con febbre, mal di testa, nausea, diarrea, dolori addominali, dolore e aumento di volume del fegato, perdita dell'appetito, possibile ittero, pancreatite, colangite. Di fronte a questa sintomatologia è quindi importante chiedere sempre se è stato consumato pesce crudo o trattato con marinatura o affumicatura, che non prevedono la cottura delle carni.<br />
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<br />
<br />
Esiste una normativa europea (CE 853/2004) in tema di sicurezza alimentare, che obbliga produttori e negozianti a congelare tutto il pesce commercializzato (quindi anche il crudo) a -20 gradi per almeno 24 ore e che deve essere estesa anche ai prodotti che subiscono un'affumicatura, come aringhe, salmone e sgombri. Una circolare (4379P del 17-02-11), emanata di recente dal Ministero della Salute stabilisce inoltre che i prodotti della pesca destinati al consumo crudo o praticamente crudo e che hanno subito il trattamento di bonifica preventiva attraverso il congelamento a -20° C per almeno 24 ore, debbano essere accompagnati da una certificazione del produttore. Se la normativa viene rispettata non si corrono rischi.<br />
<br />
Questo trattamento assicura così come la cottura per almeno dieci minuti a 60° la completa disattivazione delle larve, mentre la marinatura con aceto, limone, la salagione, l'affumicatura non bastano a distruggere le larve di Anisakis, molto resistenti agli acidi (aceto, limone e acido cloridrico dello stomaco). Per il consumo di pesce da lago, più resistente al congelamento dell'Opisthorchis, la congelazione dovrebbe essere prolungata invece per una settimana.<br />
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Quando si va al ristorante per gustare sushi e sashimi, bisogna assicurarsi che questo venga preventivamente sottoposto a trattamento termico adeguato ed evitare alcuni ristoranti cinesi "travestiti" da giapponesi, poco attenti all'igiene e all'adesione alle norme.<br />
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Con l'aiuto di un esperto "sushi man", una trasmissione televisiva ha fatto il giro di alcuni ristoranti a Milano per valutare la qualità del cibo che viene offerto. A questo primo impatto visivo, olfattivo, gustativo e tattile, è seguita poi l'analisi in laboratorio di alcuni campioni di pesce prelevati all'interno di otto ristoranti: in cinque di questi è stata riscontrata un'elevata presenza di batteri all'interno del pesce, dall'escherichia coli allo stafilococco.<br />
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Secondo questo esame, se nel sushi di prestigiosi e rinomati ristoranti giapponesi il valore di riferimento dei batteri si colloca a 100, nei campioni dei cinque “all you can eat” risultati negativi, i parametri arrivano fino a 860.000. In altri due casi è stata rilevata la presenza di istamina, una sostanza che può provocare addirittura il soffocamento in individui particolarmente allergici. <br />
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Da tempo ormai i ristoranti "all you can eat" a prezzi stracciati hanno fatto la comparsa nelle nostre città. La maggior parte di questi serve cibo giapponese.<br />
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Come capita nella maggior parte delle occasioni, l’idea di poter entrare in un ristorante e mangiare tutto quello che si vuole pagando sempre la stessa cifra non poteva che provenire dagli Stati Uniti. Precursori di una tendenza popolare e di sicuro successo, gli americani sono stati i primi a sperimentare la formula cosiddetta “all you can eat“.<br />
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Il meccanismo è molto semplice e, fin da subito, destinato ad avere un riscontro più che positivo fra la gente. Si entra, si paga un prezzo fisso e si ha libero accesso al ricco buffet, dal quale ci si può servire fin quando si ce la fa. Si, perché con questa formula non si ha bisogno di menu e camerieri, ma basta scorrere i lunghi tavoli da buffet scegliendo quello che più piace e quante volte si vuole.<br />
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Questa tendenza nel mondo della ristorazione ha, ovviamente, preso lentamente piede anche in Italia, dove i primi a sperimentarla sono stati i ristoranti giapponesi e cinesi. Pagando una quota fissa che varia solitamente fra i 10 e i 20 euro, infatti, si avrà solo l’imbarazzo della scelta fra i ravioli al vapore, il pesce grigliato, il sushi o l’insalata di mare.<br />
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Non è raro che in questi ristoranti il cuoco sia ben visibile ai clienti che, anzi, possono porgergli il proprio piatto per fargli cuocere il pesce, la carne o le verdure crude precedentemente scelte dal buffet. In altri casi, invece, il cuoco prepara a vista i piatti ordinati facendoli scorrere, poi, su disco rotante da cui i commensali potranno gustarli.<br />
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I ristoranti giapponesi, cinesi, brasiliani ma anche mongoli e messicani sono stati i primi ad adeguarsi alla nuova tendenza anche se, man mano, ristoranti italiani e pizzerie hanno seguito l’esempio. Sulla scia del tipico happy hour del tardo pomeriggio organizzato da pub e lounge bar, infatti, i ristoranti più alla mano offrono l'”all you can eat”.<br />
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In pizzeria, questa formula americana ha assunto una connotazione e un nome tutto italiano e non è raro, perciò, doverla individuare sotto il nome di giro pizza. Ovviamente, per evitare costosi e inutili sprechi di cibo, i ristoratori impongono quasi sempre un’unica regola: finire completamente quello che si ha nel piatto prima di rituffarsi nel goloso buffet proposto.<br />
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Solitamente le bevande sono escluse dal prezzo fisso stabilito e in alcuni casi si può scegliere solo tra i piatti proposti dal locale. Quando si è alla ricerca di un buon “all you can eat”, infatti, è necessario verificare che il buffet proposto sia ricco e vario ma, soprattutto, preparato con alimenti freschi e sicuri.<br />
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In Italia durante il Carnevale le tavole di ogni regione si colorano di deliziosi piatti e gustosi dolci: chiacchiere, sfrappole, cicerchiata e castagnole.<br />
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I Papos De Anjo sono dolcetti a base di mandorle e ricoperti da sciroppo di zucchero appartengono alla tradizione carnevalesca brasiliana. Tuttavia, pare che l’origine di questa prelibata ricetta provenga dal Portogallo: secondo la leggenda i Papos de Anjo, letteralmente pancine degli Angeli sarebbero nati dalle mani di alcune suore di clausura portoghesi tra il XIII e il XIV secolo.<br />
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Le Pancakes, le buonissime frittelle di origine anglosassone, sono i protagonisti di una tradizione carnevalesca davvero curiosa. Negli States, infatti, di Martedì Grasso viene celebrato il Pancakes Day, una giornata in cui le famiglie si sfidano, armati di padelle e frittelle fredde: uno dei componenti della famiglia deve correre lungo un tragitto con una padella contenente un pancake freddo. Vince il primo che riesce ad arrivare al traguardo dopo aver fatto girare la frittella almeno tre volte, durante il tragitto.<br />
<br />
La Semla è un dolce tipico dei Paesi Scandinavi, in particolare della Svezia, che veniva originariamente consumato solo di Martedì Grasso. Si tratta di un goloso bignè di grano, farcito con una crema di latte e mandorle, e ricoperto da panna montata.<br />
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Un tripudio di colori, invece, investe il Carnevale di New Orleans dove, per tradizione, viene preparate la King Cake, un ciambellone ricoperto da glassa color arcobaleno.<br />
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I Bourekia sono i dolci di carnevale tipici della tradizione cipriota: tortelli di pasta fritta, ripieni di formaggio fresco.<br />
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Lo Smoutebollen è un dolce tipico dello street-food carnevalesco del Belgio dove, durante il pre-quaresima, è possibile gustare questi bignè di mele fritti nello strutto e spolverati da zucchero a velo.<br />
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I fasnacht sono prodotti di pasticceria svizzera, dolcissimi ed invitanti simili ai Krapfen tedeschi ma senza crema. A base di strutto, in passato venivano preparati nel periodo di Carnevale proprio per riutilizzare strutto, grassi, burro e zucchero all’interno di un piatto davvero delizioso.<br />
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L’isoletta caraibica di Trinidad e Tobago vanta il più grande Carnevale di tutti i Caraibi con la sua musica e le sue danze ritmiche e coinvolgenti. I Caraibi per secoli sono stati terra di conquista e le loro tradizioni, compresa quella culinaria, riflettono questa infinita varietà. Oltre ai Roti indiani e ai panini fritti ripieni di ceci, a Trinidad e Tobago si consuma uno dei piatti forse più salutari di Carnevale: la zuppa di mais preparata con gnocchi e piselli spezzati.<br />
<br />
Probabilmente il Carnevale più famoso del mondo che porta con sé tradizioni secolari, anche culinarie è quello brasiliano. Per comprendere quanto sia importante il Carnevale in Brasile basti pensare che dura 4 giorni. Oltre ai carri, i balli a ritmo di samba, i cortei lunghi chilometri che vanno avanti anche tutta la notte, complici anche le temperature estive. Un territorio tanto vasto vanta di tanti piatti tipici carnevaleschi ma il più famoso è di certo il pollo alla griglia con salsa di pomodoro brasiliana.<br />
<br />
Il Carnevale in Repubblica Ceca viene chiamato Masopust che letteralmente significa “addio alla carne”. Questo perché il Carnevale, nella tradizione cattolica, è l’ultimo momento di festa prima dei giorni di Quaresima, votati alla depurazione del corpo. Per questo a Carnevale in Repubblica Ceca si preparano molti piatti a base di carne. Il più tipico è l’arrosto di maiale accompagnato da birra e…vodka per digerire il pasto pesante.<br />
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Lo zenzero è una spezia dalle grandissime proprietà curative. Ricco di proprietà, lo Zenzero (Zingiber officinale Roscoe), conosciuto anche con il nome inglese Ginger, è una pianta erbacea perenne, alta circa 90cm e appartenente alla famiglia delle Zingiberacee.<br />
<br />
Coltivata in tutta la fascia tropicale e subtropicale, è provvista di rizoma carnoso e densamente ramificato dal quale si dipartono sia lunghi fusti sterili e cavi, formati da foglie lanceolate inguainanti, sia corti scapi fertili, portanti fiori giallo-verdastri con macchie porporine. Il frutto è una capsula divisa da setti in tre logge.<br />
<br />
Il rizoma contiene i principi attivi della pianta: olio essenziale (composto in prevalenza da zingiberene), gingeroli e shogaoli (principi responsabili del sapore pungente), resine e mucillagini, e presenta in modo più pronunciato il sapore e l'aroma tipico che lo vedono ampiamente utilizzato come spezia, specie in forma essiccata e polverizzata, o fresco in fette sottili. Gli stessi sono in misura minore contenuti anche nel legno di zenzero, utilizzato ad esempio per spiedini, soprattutto di pesce. Nella cucina giapponese lo zenzero è normalmente servito in forma di pickle (sottaceto agrodolce) con il sashimi.<br />
<br />
Nelle varie cucine indocinesi è spesso utilizzato anche nella preparazione di zuppe e piatti con salse. Il rizoma fresco, con l'ebollizione, consente la coagulazione del latte come altre sostanze di origine animale o vegetali (caglio) ed è largamente impiegato anche nella preparazione di tisane. Entra nella preparazione di bevande analcoliche come il ginger ale e la ginger beer e in una varietà del cioccolato modicano. L'uso dello zenzero (“gengiovo”) nella manifattura dolciaria fiorentina di età medievale è attestato dalla sesta novella dell'ottava giornata del Decamerone.<br />
<br />
Il pan di zenzero (gingerbread in inglese) è un impasto per biscotti a base di zenzero, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, tipico dell'Inghilterra, degli Stati Uniti e del Nord Europa, particolarmente nel periodo natalizio.<br />
<br />
C'è una gran varietà di usi per lo zenzero, nella medicina popolare. Il tè di zenzero è un rimedio per il raffreddore. Tre o quattro foglie di basilico sacro, insieme ad un pezzetto di zenzero a stomaco vuoto, sono una cura efficace per congestione, tosse e raffreddore. Il Ginger ale e la birra di zenzero sono stati raccomandati come "calmanti per lo stomaco" per generazioni, nelle nazioni dove tali bevande vengono prodotte, e l'acqua di zenzero era comunemente usata per evitare i crampi da calura, negli Stati Uniti. Lo zenzero è stato inoltre storicamente usato per trattare le infiammazioni, come confermato da diversi studi scientifici, anche se un caso specifico di artrite mostrò che lo zenzero non era meglio di un placebo o dell'ibuprofene. La ricerca sui topi di laboratorio suggerisce che lo zenzero potrebbe essere utile per il trattamento del diabete.<br />
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Nella cultura occidentale, la polvere di radice di zenzero essiccata viene messa in capsule e venduta in farmacia per uso medicinale.<br />
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In Birmania, vengono fatti bollire insieme lo zenzero e un dolcificante locale ricavato dal succo dell'albero di palma (Htan nyat), e vengono usati per prevenire l'influenza.<br />
in Cina, una bevanda o bibita ricavata da zenzero affettato e cotto in acqua dolcificata, viene usata come medicina popolare per il raffreddore.<br />
Nella Repubblica Democratica del Congo, lo zenzero viene schiacciato e mescolato con la linfa dell'albero del mango per fare il Tangawisi, che è considerato una panacea universale.<br />
In India, lo zenzero in pasta è applicato sulle tempie per dare sollievo dal mal di testa, ed è ingerito da chi soffre di comune raffreddore. La gente, inoltre, usa lo zenzero in aggiunta al tè, per la cucina, ecc.<br />
In Indonesia, un tipo di zenzero conosciuto come Jahe è usato come preparazione vegetale per ridurre la stanchezza, diminuire "l'aria" nel sangue, prevenire e curare i reumatismi, e controllare le cattive abitudini alimentari.<br />
Nelle Filippine viene preparata, per colazione, una tradizionale bevanda salutare chiamata "salabat", facendo bollire pezzetti di zenzero e aggiungendo zucchero; è considerata una buona cura per le infiammazioni della gola.<br />
Negli Stati Uniti d'America, lo zenzero è usato per prevenire il mal di mare e la nausea da gravidanza. È riconosciuto come salutare dalla FDA, ed è venduto come integratore alimentare senza particolari prescrizioni.<br />
Le reazioni allergiche allo zenzero in generale producono eruzioni, e, nonostante sia generalmente riconosciuto come salutare, lo zenzero può causare mal di stomaco, gonfiore, produzione di gas, specialmente se assunto sotto forma di polvere. Lo zenzero fresco, se non ben masticato, può causare blocco intestinale, e gli individui che hanno manifestato ulcere, infiammazioni all'intestino, o blocchi intestinali, potrebbero reagire malamente a quantità considerevoli di zenzero fresco. Lo zenzero può anche agire negativamente su individui soggetti a calcolosi biliari. Ci sono anche indicazioni che lo zenzero possa influenzare la pressione del sangue, la coagulazione, e il ritmo cardiaco.<br />
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Di recente un gruppo di ricercatori del Hormel Institute (Università del Minnesota) ha messo in evidenza proprietà antitumorali di questa spezia nei casi di carcinomi del colon-retto: assumere zenzero ogni giorno infatti, avrebbe una funzione protettiva contro i tumori del colon retto. Ann Bode, il ricercatore a capo dello studio, ha dichiarato: “alle piante della famiglia dello zenzero sono attribuiti poteri preventivi e terapeutici, oltre a un’attività anti-cancro“. Grazie alle sue proprietà, lo zenzero è usato tradizionalmente come digestivo e amaro-tonico. Studi scientifici hanno dimostrato una reale efficacia dello zenzero contro la nausea, in particolare è molto apprezzato in caso di nausea da gravidanza, mal d’auto e mal di mare. In particolare un infuso prearato con 5 grammi di radice di zenzero in 1/2 litro d’acqua o la radice da masticare risulta assai efficace contro la nausea. Lo zenzero fa bene a tutto l’apparato digerente grazie alle sue proprietà gastroprotettive ed è molto utile (se utilizzato a basse dosi) anche contro la gastrite e ulcere intestinali. I principi attivi dello zenzero infatti sono molto efficaci contro l’Helicobacter pylori, il batterio responsabile proprio delle ulcere allo stomaco. Inoltre lo zenzero stimola la digestione, combatte la diarrea e aiuta l’eliminazione dei gas intestinali. Stimolante del sistema immunitario lo zenzero è da millenni utilizzato dalle popolazioni asiatiche per combattere raffreddore e febbre. È anche un valido aiuto contro tosse e catarro. Grazie alle sue proprietà antisettiche e antinfiammatorie inoltre, lo zenzero è di grande aiuto anche in caso di infammazioni alla gola (faringite, laringite, ecc..). Recenti studi hanno dimostrato che lo zenzero, grazie alle sue spiccate proprietà antinfiammatorie, allevia il mal di testa, riduce efficacemente i dolori articolari e muscolari e allevia le infiammazioni di stomaco ed esofago. Il rizoma di zenzero è un buon anticoagulante e come tale contribuisce a ridurre la formazione di coauguli nelle arterie, abbassa i livelli di colesterolo nel sangue e, secondo alcuni studi scientifici, lo zenzero diminuisce la pressione sanguigna. Di questa pianta si utilizza in cucina il rizoma (chiamato anche radice), spesso grattugiato o ridotto in polvere. Questa spezia dal sapore delizioso e leggermente piccante, si utilizza nei piatti a base di carne, pesce e verdure. Inoltre è molto utilizzato per preparare torte e biscotti (specie quelli natalizi). Con lo zenzero (fresco o secco) si può preparare un ottimo decotto dalle proprietà digestive. Talvolta vengono usati anche i germogli, le foglie e le infiorescenze che si possono consumare crudi o cotti. Il Ginger si usa fresco o essiccato, sia a pezzi che ridotto in polvere da usare su numerose preparazioni culinarie. Per beneficiare delle proprietà dello zenzero si può utilizzare una tisana, oppure può essere utilizzato sottoforma di polvere (1 gr circa) da mescolare con un bicchiere di acqua calda, o ancora sotto forma di capsule, estratto liquido o secco da assumere secondo le modalità riportate sulla confezione. Un pezzetto di radice fresca o secca si può masticare all’occorrenza in caso di dolori intestinali, nausea o crampi allo stomaco. Sebbene sia utile in caso di nausee, consultare il medico prima di utilizzare lo zenzero in gravidanza. Evitare l’assunzione in caso di allergia a uno o più componenti presenti. L’allergia allo zenzero si nota con la comparsa di rossori sulla pelle ed eruzioni cutanee. Inoltre è bene non abusare di zenzero: l’uso massiccio di zenzero infatti può provocare gastrite, ulcere e gonfiori intestinali invece che curarli. Nel caso si soffra di questi disturbi gastrointestinali è bene consultare il medico prima di assumere questa spezia, che valuterà la possibilità o meno di assumerla. Evitare l’uso dello zenzero in contemporanea a farmaci antinfiammatori e ipotensivi. Dato il suo effetto fluidificante del sangue, si consiglia sempre di consultare il medico prima di fare uso di zenzero nel caso in cui si assumono farmaci antiaggreganti e anticoagulanti (Coumadin, Cardioaspirina, ecc…). Nell’antichità gli indiani usavano masticare zenzero quale purificatore dell’alito prima delle cerimonie religiose: con la bocca purificata infatti potevano cantare e parlare agli dei.</div>
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.Barbara Mezzenzanahttp://www.blogger.com/profile/14292125177674142992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1161597259496367459.post-87528315804372865892017-02-22T09:52:00.002-08:002017-02-22T09:52:48.317-08:00OLIO DI FEGATO DI MERLUZZO<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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L'olio di fegato di merluzzo è l'olio fisso ottenuto dal fegato fresco del merluzzo.<br />
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L'olio viene raffinato e chiarificato per filtrazione a circa 0 °C. Secondo le caratteristiche internazionali 1 g di olio non deve contenere meno di 600 U.I. di vitamina A e non meno di 85 U.I. di vitamina D; può essere presente una quantità fino a 100 ppm di dodecil gallato, ottil gallato o propil gallato o qualsiasi miscela di queste sostanze antiossidanti. Secondo la USP ((United States pharmacopoeia) 1 g di olio non deve contenere meno di 850 unità USP (225 µg) di vitamina A e non meno di 85 unità USP (2,125 µg) di vitamina D; possono essere aggiunte idonee sostanze aromatizzanti, in quantità non superiori all'1%.<br />
<br />
L'olio di fegato di merluzzo contiene inoltre gliceridi, specialmente insaturi (dell'acido palmitico, stearico, ecc.), come anche tracce di cloro, bromo, fosforo e zolfo.<br />
<br />
È un olio giallo pallido dal debole odore di pesce, ma non di rancido. Per esposizione all'aria e alla luce diventa giallo ed acquista odore sgradevole. Praticamente insolubile in alcool, miscibile con cloroformio, con etere, con etere di petrolio, con disolfuro di carbonio, con acetato di etile.<br />
<br />
L'olio di fegato di merluzzo è una fonte notevole di vitamina D ed è anche una buona fonte di vitamina A; contiene acidi grassi insaturi, fattori dietetici essenziali che di solito non si ritrovano nei preparati commerciali a base di vitamine A e D. È stato impiegato nella profilassi del rachitismo nei bambini, nell'osteoporosi nell'adulto.<br />
<br />
Unguenti o medicazioni a base di olio di fegato di merluzzo sono stati utilizzati per accelerare la guarigione di ustioni, ulcere, piaghe e ferite superficiali, anche se non esistono dati che ne supportino la validità terapeutica. 5 ml di olio di fegato di merluzzo forniscono una quantità di vitamine A e D pari alle richieste dietetiche giornaliere del bambino e dell'adulto.<br />
<br />
Come gli altri oli di pesce, i grassi altamente insaturi a catena lunga interferiscono con la conversione dell'acido linoleico in acido arachidonico e prostaglandine, a danno delle difese immunitarie. È altamente instabile e inizia ad ossidarsi prima di raggiungere il flusso sanguigno (Sethi, 2002. Chaudhary, et al., 2004), ed è altamente ossidato nei tessuti entro 48 ore se non si assumono antiossidanti (Gonzalez, 1988;. Klein, et al., 1990), o con una dieta dove è presente la normale dose giornaliera di vitamina E.<br />
<br />
Uno studio norvegese tramite questionari alimentari su 42 612 fra uomini e donne ha riferito che dopo più di 9 anni l'uso di olio di fegato di merluzzo non ha mostrato alcun effetto protettivo contro la malattia coronarica.<br />
<br />
Classico e disgustoso rimedio contro il rachitismo - un difetto di calcificazione ossea causato dal ridotto apporto di vitamina D, oggi fortunatamente raro, ma che in passato ha colpito molti bambini, compreso il famoso poeta Leopardi - l'olio di fegato di merluzzo è tornato alla ribalta grazie alla grande importanza nutrizionale attribuita agli acidi grassi omega-3, di cui è particolarmente ricco.<br />
In media il peso del fegato di un merluzzo adulto è di 2,5-2,6 grammi per 100 grammi di pesce; il suo contenuto in olio si aggira intorno al 30%.<br />
L'azione antirachitica dell'olio di fegato di merluzzo, unitamente all'effetto della luce solare, migliora l'assorbimento intestinale di calcio e fosforo e ne aumenta il deposito nei denti e nelle ossa, rendendole meno inclini alle fratture. Per questo motivo è considerato un valido complemento alimentare nel trattamento dell'osteoporosi e dell'osteomalacia.<br />
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Gli acidi grassi contenuti nell'olio di fegato di merluzzo sono prevalentemente insaturi (85%), mentre quelli saturi rappresentano soltanto una minima percentuale del totale (intorno al 15%).<br />
In alcuni testi si legge che l'olio di fegato di merluzzo è particolarmente ricco di vitamina F, ma tale termine è di fatto sinonimo di acidi grassi essenziali. Questi nutrienti sono molto importanti perché ostacolano il deposito di colesterolo nelle pareti dei grossi vasi arteriosi, prevenendo una malattia nota come aterosclerosi e responsabile di gravi malattie cardiovascolari (angina, infarto, ictus, trombosi, embolia). Gli acidi grassi omega-tre hanno infatti un effetto antiipertrigliceridemizzante, antinfiammatorio ed antiaggregante piastrinico. Proprio a questi preziosi nutrienti sarebbe legato l'interesse terapeutico dell'olio di merluzzo, che in questi ultimi anni è stato esteso al trattamento dell'asma e di altre malattie infiammatorie come l'artrite. Anche il semplice consumo di pesce, ed in modo particolare delle specie ricche di omega-tre, può essere di grande aiuto nella riduzione delle infiammazioni delle giunture ossee.<br />
<br />
Tra gli acidi grassi insaturi ritroviamo buone quantità di acido linoleico (AL), capostipite degli acidi grassi della serie omega-6, e soprattutto di acido alfa-linolenico (AaL), capostipite della serie omega- 3, entrambi indispensabili per la salute dell'uomo. Olio di Fegato di MerluzzoQuesti acidi grassi sono stati pertanto definiti acidi grassi essenziali (AGE) in quanto l'organismo, non essendo in grado di sintetizzarli, deve introdurli con gli alimenti per mantenere lo stato di benessere.<br />
Un solo cucchiaio di olio di fegato di merluzzo fornisce all'organismo 2 grammi di omega-3 quantità che da sola ricopre quasi il doppio dei fabbisogni quotidiani.<br />
<br />
Se la carenza delle vitamine contenute nell'olio di fegato di merluzzo rischia di compromettere seriamente lo stato di salute, anche un loro eccesso è molto pericoloso per gli equilibri corporei. Non a caso, la vigente legislazione relativa agli integratori alimentari e dietetici, impone come contenuto massimo di vitamina A e D dosaggi inferiori rispetto alle altre vitamine. Se per queste si può arrivare sino a valori pari al 300% del fabbisogno quotidiano (RDA), tale limite è fissato al 150% dell'RDA per la vitamina D ed al 200% per la A.<br />
<br />
L’olio di fegato di merluzzo ha una notevole concentrazione di Omega 3, che rivestono un ruolo fondamentale per consentire al cervello e all’intero tessuto nervoso di svilupparsi senza problemi. Sono esattamente gli Omega 3 che permettono di migliorare il livello di efficacia del sistema immunitario e, al tempo stesso, ridurre anche la presenza di colesterolo. Al tempo stesso, gli Omega 3 servono anche a monitorare l’alta presenza di trigliceridi all’interno del sangue. Il consumo di olio di fegato di merluzzo viene consigliato in modo particolare in inverno. Si tratta della stagione in cui il sistema immunitario risulta essere maggiormente esposto a possibili pericoli esterni. La presenza di iodio all’interno dell’olio di fegato di merluzzo permette anche di migliorare il funzionamento della tiroide e della relativa produzione di ormoni. Una funzione molto importante soprattutto in relazione allo sviluppo del cervello durante tutta la fase di crescita. L’olio di fegato di merluzzo riesce ad apportare notevoli benefici nel momento in cui permette di circoscrivere il deterioramento relativo alle cartilagini e anche allungare tutti quei processi che poi portano a disturbi alle ossa. Ecco spiegato il motivo per cui tale prodotto viene suggerito a tutti quei soggetti che soffrono di disturbi come l’osteoporosi e l’artrosi. Le donne in menopausa, in modo particolare, dovrebbero sempre assumerlo, dal momento che si possono considerare proprio una delle categorie maggiormente a rischio.<br />
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L'Italia vanta diverse tradizioni riconducibili alle varietà di cucina regionale, ma anche il resto d'Europa e del mondo può offrire piatti natalizi vari e gustosi.<br />
<br />
Nelle regioni settentrionali della Francia si prepara spesso la fressure de porc, pietanza a base di carne e interiora di maiale.<br />
<br />
Il piatto natalizio per eccellenza in Francia è la galette des rois (“torta dei re”), un dolce a base di pasta sfoglia con un ripieno di crema alla mandorla. Viene preparato in occasione dell'Epifania, e si usa nascondere al suo interno una statuina di porcellana o di gesso che rappresenta una figura del presepe. Chi trova questa statuina viene incoronato “re della festa”.<br />
<br />
Gli schowowebretele, biscotti speziati a base di burro e mandorle, accompagnano tutto il periodo festivo.<br />
<br />
Le pietanze classiche del pranzo di Natale spagnolo sono l’escudella i carn d’olla, una zuppa di verdura e carne, e il tacchino con frutta glassata al forno. I dolci tipici sono il torrone e il Polvorones, preparato con limone, cocco e caffè.<br />
<br />
I Kipperragut, una sorta di voul-a-vent con ripieno di carne, caratterizzano il periodo delle feste di fine anno olandesi. Sono ottimi come antipasto e facili da preparare, e si sposano bene anche con la cucina nostrana, a patto che il pasto sia a base di carne.<br />
<br />
Il tacchino arrosto è senz'altro il piatto principe della tavola natalizia britannica. La particolarità della ricetta tradizionale risiede negli ingredienti del ripieno, realizzato con nocciole tritate, carne di vitello, bacon e grasso di rognone.<br />
<br />
La cucina irlandese è basata su ricette abbastanza semplici e relativamente “povere”, ma robuste e saporite, e le ricette di Natale non fanno eccezione.<br />
<br />
Latte, riso e mandorle sono i semplici ingredienti alla base del ris-a l'amande, saporito semifreddo natalizio danese.<br />
<br />
Gli svedesi preparano un banchetto particolarmente sontuoso la sera della vigilia, composto da piatti di pesce secco, prosciutto, riso al latte, e dalle caratteristiche polpettine al prosciutto delle feste. La cena è accompagnata dal glögg, vino caldo aromatizzato non dissimile dal nostro vin brulè oppure da birra zuccherata.<br />
<br />
I rumeni festeggiano il Natale all'insegna della carne di maiale, predominante in piatti come piftie de porc e sarmale de porc, solitamente accompagnati dalla mamalinga (una sorta di polenta). Il dolce tipico è il cozonac, a base di uova, farina, zucchero e vaniglia.<br />
<br />
In Russia a Natale si mangia pesce: aringa e salmone affumicato, caviale rosso e nero con tartine o uova sode oppure i karp s kapustoi, filetti di carpa con i crauti.<br />
I dolci tradizionali sono i piroski, torte farcite con ricotta, uvetta, mele e frutti di bosco, fritti oppure cotti al forno.<br />
<br />
In Canada, Stati Uniti, Oceania si segue generalmente le tradizioni tipiche della Gran Bretagna (fatta eccezione per le aree francofone del Canada, più vicine alle usanze francesi) con alcune eccezioni: nel Nordamerica il classico tacchino arrosto viene condito con salsa di mirtilli, mentre gli australiani accostano alle classiche specialità europee la zuppa di ostriche di origine asiatica.<br />
<br />
In Nuova Zelanda si preparano spesso le saporite focaccine natalizie al formaggio.<br />
<br />
La pinata (pignatta) è un contenitore di cartapesca riempito di dolci, canditi e frutta, che i messicani appendono durante le festività perchè venga rotto dai bambini, che possono così mettere le mani sulle leccornie contenute al suo interno. I sapori dolci sono una costante di questo periodo e compaiono nei menù molto più spesso rispetto al resto dell'anno.<br />
<br />
Popolare in Norvegia e venduta ogni anno sottoforma di salsiccia delle feste al Clifton Sausage Restaurant a Bristol, in Inghilterra, la carne di renna ha il sapore di selvaggina e risulta inaspettatamente tenera e gustosa se non viene cotta troppo. Non manca mai sulle tavole norvegesi a Natale.<br />
<br />
Per connotare la vostra cena di Natale con dei sapori nordici, potete cuocere carne di cervo alla scozzese: aggiungendo del whisky, bacche di ginepro e lasciando arrostire lentamente.<br />
<br />
I boschi della Polonia sono stracolmi di cinghiali selvatici. Per ogni cinghiale si contano circa 100 kg di carne di ottima qualità. Un’ottima soluzione può essere quella di cucinarlo in padella per un paio di ore con pancetta, funghi freschi e panna. Così compare sulle tavole polacche il giorno di Natale.<br />
<br />
La carpa fresca è la pietanza festiva di tutta la Repubblica Ceca, infatti è possibile ammirare, davanti ad ogni negozio di alimentari, vasche piene di questi pesci per tutto il mese di Dicembre.<br />
<br />
In Portogallo si dà il benvenuto al Natale con un pasto speciale a base di baccalà e patate lesse.<br />
<br />
Il coniglio stufato è una specialità maltese. Alla carne, leggermente rosolata con aglio e aromi, viene poi aggiunto del vino rosso o una ricca passata di pomodoro. Non è esattamente un piatto della tradizione natalizia, ma il sapore deliziosamente rustico darà sicuramente alla vostra cena un tocco in più.<br />
<br />
In Germania è l’oca arrosto il piatto tipico del giorno di Natale, servita con carote caramellate all’arancia e patate novelle arrosto.<br />
<br />
Per gli svizzeri francesi, il Natale è un’occasione per dare sfoggio di vini raffinati e cioccolatini sublimi, coronati dalla presenza sulla tavola di un grosso e grasso cappone, sostanzialmente un pollo costoso e castrato ma squisitamente gustoso.<br />
<br />
In Polonia, paese estremamente cattolico, le feste natalizie sono molto sentite e radicate. Il cenone della Vigilia non prevede pietanze a base di carne, come in Italia. Per sedersi a tavola è necessario aspettare l’apparire della prima stella in cielo, poi tutti i commensali si scambiano gli auguri spezzando l’Oplatek, un’ostia decorata non consacrata, ognuno deve mangiarne un pezzetto come simbolo di unità familiare.<br />
<br />
La tradizione vuole che la cena sia costituita da dodici portate, come gli apostoli. Dato che c’è astinenza da carne si comincia con un antipasto a base di Sledz, ovvero l’aringa del Mar Baltico, un vero must delle tavole per le feste in Polonia. Cucinata nelle più svariate maniere, ogni regione ha le proprie varianti: fresca, marinata, sott’olio. Sfiziosi per iniziare sono i Rolmopsy, involtini di aringhe sotto aceto con verdure e foglie di alloro. Per vedere la ricetta cliccate qui.<br />
Tra i primi piatti ricordiamo il Barszcz Uszkami, un brodo a base di rape rosse con una specie di tortellini ai funghi porcini, oppure una minestra di bietola piccante o a base di farina di segale.<br />
Il secondo di solito prevede la Karp, cioè la carpa, pesce di acqua dolce, si compra viva la mattina della Vigilia e si mette a nuotare nella vasca di casa per poi friggerla pochi minuti prima della cena.<br />
I dolci sono a base di frutta secca e miele. Il Makowiec, rotolo con semi di papavero e uva passa – molto diffuso – il Sernik una torta con ricotta, uvetta e canditi. Uno dei dolci più antichi della tradizione polacca è la Kutia, un miscuglio di semi di papavero, grani di grano, miele, uvetta, noci, nocciole, mandorle e fichi secchi. Il tutto accompagnato dal Kompot, bevanda di frutta cotta a base di mele e prugne secche.<br />
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Dalla Grecia ortodossa possiamo adottare il Christopsomo, o pane di Cristo. Si tratta di una pagnotta di pane dolce, con una croce sulla crosta. Sembra che la ricetta risalga all’epoca minoica e che si usasse come pane cerimoniale per invocare la fecondità della Madre Terra. La sua preparazione consiste in una specie di rituale con tanto di formule augurali benefiche. Gli ingredienti utilizzati sono la farina, l’acqua di rose, sesamo, miele, chiodi di garofano e cannella. Prima di essere riposto a lievitare si incide un segno di croce sull’impasto di acqua e farina. La tradizione vuole che il padrone di casa spezzi il “pane di Cristo“ sulla sua testa e se il pezzo di sinistra è il più grande il nuovo anno sarà lieto. Il consumo del pane è invece riservato al giorno di Natale, durante il pranzo. Solo il capofamiglia, come fosse un antico sacerdote, ha il diritto di tagliare il Christopsomo, mentre tutta la famiglia è in piedi intorno alla tavola.<br />
<br />
In Nuova Zelanda le feste natalizie e la gastronomia locale si sono adattate al passato di colonia inglese. Un mix tra influssi locali maori e tendenze europee si possono notare nella Pavlova Cake, una torta di meringhe con kiwi e fragole. Fu inventata da un cuoco neozelandese in onore della ballerina russa Pavlova dopo aver assistito ad un suo spettacolo nel 1926.<br />
<br />
Il piatto tipico natalizio danese è il Risalamande. E' un dolce tradizionale fatto con crema, vaniglia, mandorle e pudding di riso il tutto amalgamato fino a formare un tortino cremoso e delicato che si serve a Natale con amarene e frutti di bosco sciroppati.<br />
<br />
Il pasto più importanante delle festività natalizie è quello della cena della vigilia. La tavola per l'occasione sarà imbandita di prelibatezze e non mancherà sulle tavole l'anatra farcita con mele e prugne o l'arrosto di maiale con pancetta croccanti e patate caramellate.<br />
<br />
E nel giorno di Natale, non perdete un assaggio di smørrebrød, le tipiche tartine con carne, salmone o verdure, crema di riso, glog e vin brulè a volontà.<br />
<br />
La tradizione inglese vuole che nell'impasto del buonissimo dolce inglese ci sia nascosta una monetina che porterà fortuna a chi la troverà. Il Natale a Londra è al sapore del Christmas Pudding, lo storico budino della tradizione natalizia. Sulle tavole natalizie non mancheranno nemmeno piatti a base di oca e tacchino arrosto, ripieni di nocciole tritate, carne di vitello, bacon e grasso di rognone, accompagnati da patate e mele, dolcetti, uva strutto e succo di limone.<br />
<br />
Il tipico piatto natalizio in Etiopia è il Doro Wat on Injera, si tratta di una pasta spugnosa e soffice che si chiama Injera servita con carne ed un'ottima e colorata varietà di spezie e condimenti. Viene cucinato soprattutto a Natale (il Natale ortodosso in Etiopia si festeggia il 7 gennaio).<br />
<br />
Lo Zakuski è un antipastino russo a base di pesce finemento tagliato e condito con salse speciali e saporite. Oltre che ottimo per il piacere della vista lo zakuski è anche il piatto ideale per accompagnare shottini di vodka.<br />
<br />
Il piatto natalizio in Messico è il Chiles en nogada. Si tratta di una ricetta molto particolare a base di carne varia stufata e peperoni serviti con una crema di noci e chicchi di melograno. Tipicamente messicano e natalizio il piatto è originario di Puebla, i cui abitanti ne vanno molto fieri, ed è legato all'indipendenza del Messico.<br />
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Il Natale in Argentina si festeggia sotto al sole, mangiando l'asado, la carne alla griglia che si cucina nei giardini delle abitazioni per poi brindare con tutti con lo spumante.<br />
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<br />
<br />
Le giraffe sono quattro volte più rare degli elefanti. Sembra che la carne di giraffa sia ricercata nella aree di conflitto come il sud Sudan. Alcune ricerche confermano la diffusione della dieta mediterranea, che duemila anni fa già faceva proseliti ai piedi del Vesuvio. E danno il quadro di una certa articolazione sociale, con abitazioni più modeste cui si affiancavano locande dove si servivano piatti più sofisticati. Cereali, frutta, noci, olive, lenticchie, pesce, uova di gallina, così come tagli minimi di carne più costosa e pesce salato dalla Spagna, ma anche piatti esotici come una gamba di giraffa «l' unica mai rinvenuta in uno scavo archeologico di età romana in Italia» ha commentato lo studioso secondo cui «il fatto che questa parte di animale macellato sia finita nella spazzatura di una cucina ci dice molto sul commercio a lunga distanza di animali esotici e sulla ricchezza e la varietà della dieta dell' epoca». Una cucina ricca, con il consumo anche di crostacei e ricci di mare. Così si mangiava a Pompei duemila anni fa.<br />
<br />
Le giraffe sono sempre più cacciate dai bracconieri in quanto prede facili di cui si può mangiare la carne, come avviene ad esempio nella Repubblica democratica del Congo, oppure per trarne pozioni contro l'Aids, come avviene in Tanzania dove vi è una credenza legata al midollo osseo e al cervello di questo mammifero.<br />
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<br />
<br />
In tutta Italia per il giorno dei Morti si preparano dolci e leccornie che hanno in comune origini, per lo più propiziatorie, a volte magiche e apotropaiche, per placare le anime e ricevere da loro prosperità.<br />
<br />
Sin dall’antichità, si credeva che uomini e dei fossero fatti della stessa sostanza. Espressione di ciò, era una comunità conviviale che faceva del pasto il sensale medianico verso l’aldilà. Così l’Ovidio dei Fasti:<br />
<br />
Mos erat, et mensae credere adesse Deos<br />
Credenza popolare diffusa è quella secondo cui le anime dei propri cari, nella notte precedente il 2 novembre, facessero ritorno sulla terra: così nelle case la tavola restava apparecchiata per tutta la notte, con sopra acqua e dolci, per permettere ai familiari “in viaggio” di rifocillarsi.<br />
<br />
Ma spesso, proprio per quella alterità tra vivi e morti, si pensava che fossero i defunti stessi a far dono di leccornie, soprattutto ai più piccoli.<br />
<br />
In Sicilia, una leggenda popolare racconta che i morti scendessero nella loro città terrena per rubare dolci ai pasticceri più ricchi e portarli ai piccoli di casa, così ancora oggi c’è l’usanza di cucinare dolcetti da donare ai bambini.<br />
Da quest’ultima tradizione, discende l’uso “educativo” legato ancora oggi ai dolcetti dei morti: avvezzar i più piccoli all’arrivo inevitabile della morte, fungendo da ponte tra il mondo terreno e l’aldilà. Da tanti infatti, probabilmente per il difficile compito a cui erano stati chiamati ad assolvere, venivano considerati “dolcetti magici”.<br />
<br />
Ma, accanto alle favole, c’è chi riconduce l’usanza delle “Ossa da morto” a una patrofagia simbolica, risalente al Medioevo (in quel tempo si usava la polvere di cranio per insaporire i cibi o per preparare filtri amorosi), di qui, il binomio durezza-ossa e l’espressione parmigiana “Os da mord”, per cui mangiando il biscotto sembra quasi di mordere un osso.<br />
<br />
Forme, consistenze e colori, le Ossa da morto restano il dolce simbolo di una convivialità alimentare tra vivi e morti: un pasto povero e magico, che almeno una volta all’anno unisce il ricordo della morte al dolce senso della vita.<br />
<br />
Duro e croccante, è un unico biscotto molto speziato, profuma di cannella e chiodi di garofano, composto da due "corpi" uno bianco, cavo, che si frantuma facilmente e che ricorda proprio le ossa, e uno scuro durissimo.<br />
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<br />
<br />
Ingredienti:<br />
<br />
300g di zucchero semolato<br />
275g farina 00<br />
1 cucchiaio di miele millefiori<br />
70 ml acqua<br />
1/4 cucchiaino di cannella in polvere<br />
1/4 cucchiaino di chiodi di garofano in polvere <br />
<br />
Procedimento:<br />
<br />
Pesare tutti gli ingredienti e mettere la farina in un impastatrice o nel robot da cucina con le lame.<br />
Scaldare l'acqua e quando arriva quasi ad ebollizione spegnere la fiamma e versarvi lo zucchero, il miele e le spezie. Si otterrà uno sciroppo granuloso dal momento che lo zucchero non può sciogliersi del tutto vista la concentrazione molto alta.<br />
Lasciare intiepidire per 5 minuti e versare lo sciroppo a filo sulla farina facendo lavorare l'impastatrice. Impastare fino a quando non si otterrà un impasto sodo e omogeneo.<br />
Trasferire su un piano da lavoro infarinato, dare la forma di una palla e ricavare subito tanti filoncini di circa 1,5-2 cm di diametro. Tagliare in diagonale a tocchetti di 3 cm di lunghezza. Decorare, se si vuole, imprimendo su ogni tocchetto i rebbi di una forchetta.<br />
<br />
La tradizione vuole che questi tocchetti vadano messi ad asciugare sotto il sole, coperti da un velo, per almeno 3 giorni. Non devono essere mai capovolti. La parte inferiore deve restare umida.<br />
Alternativamente si possono fare "asciugare" in forno un po' come delle meringhe.<br />
Posizionare i tocchetti su una teglia rivestita di carta forno, accendere il forno e impostare la temperatura a minimo inserire la teglia nel forno e lasciare lo sportello un po' aperto per fare uscire l'umidità e lasciare asciugare per 2-3 ore facendo sempre attenzione alla temperatura.<br />
<br />
Quando i tocchetti saranno diventati bianchi, trasferirli, distanziandoli, su una teglia rivestita di carta forno inumidita e strizzata ed infornare a 180°C per una decina di minuti.<br />
Dalla base umida del guscio bianco secco fuoriescerà l'interno (data l'alta percentuale di zucchero questo fonde e fuoriesce) dando vita quasi ad un nuovo biscotto attaccato al guscio.<br />
<br />
Si conservano per settimane in una scatola di latta o in un barattolo di vetro chiuso ermeticamente.<br />
<br />
Il nome ossa dovrebbe ricordare per consitenza (dura) e per forma appunto le ossa dei nostri defunti. La consistenza è croccante e gustosa.<br />
<br />
Biscotti decorati in pastafrolla, le “Ossa” sono il simbolo di un dialogo coi defunti che accomuna non poche tavole dello Stivale.<br />
Ossa dei morti, Òs äd mort, crozzi ‘i mottu e mustazzuòli: i dolcetti garofanati sono diffusi soprattutto a Parma e in Sicilia, ma anche a Montepulciano, Montalcino, Piemonte e Lombardia.<br />
Rotondi, friabili e decorati, o dalla forma allungata e croccante, le Ossa dei morti sono dolci tipici caserecci e nel passato conventuali, per gli ingredienti che oggi definiremo poveri, ma un tempo, almeno sino all’Ottocento, privilegio di ricchi e religiosi.<br />
<br />
Farina, zucchero e cannella, i tre elementi comuni che ritroviamo in quasi tutte le varianti regionali.<br />
La loro preparazione richiede dai 2 ai 4 giorni di lavoro: di qui la ritualità paziente di un cibo tra il sacro e il profano. Tipica in tutte le regioni è l’unione del gusto dolce con il sapore speziato di cannella o garofano, e spesso di mandorle e frutta secca, come in Piemonte, da accompagnare con un vino passito naturale.<br />
<br />
Tipicamente parmigiane, le Ossa dei morti vengono preparate con l’aggiunta di mandorle tritate, dando una forma allungata simile all’osso (molte “rezdore” ancora oggi danno forme che ricordano le varie ossa). Curioso è l’uso dell’ingrediente siciliano, presente anche nelle ricette delle famose “Scarpette di Sant’Ilario”, dedicate il 13 gennaio al patrono della città ducale, e nelle fave dei morti: pasticcini a base di mandorle tritate e scorze di limone, che prima del favismo venivano cucinate coi semi di fava secca, considerata per le sue lunghe radici un tramite con il mondo ultraterreno.<br />
<br />
Nelle Marche e in alcune località della Sicilia, fino a non molti anni fa le strade che conducevano ai cimiteri erano punteggiate da bancarelle che vendevano proprio gli squisiti dolcetti alla mandorla.<br />
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<a href="http://cipiri11.blogspot.com/" target="_blank"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcjFx-c6WyoZI8q36T4_TSkxG5CkpHwh5FJk6PZTj3eA2mrpFIxGyoCd-QiZpQIF43DcApJrbgbVMIU_zaPb4-eah_seWsnZSnPP1JTT9PBtJPra7I7uHf-KnNDbZSNeSGPY3Pv6CBBL8/s400/panem.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<br />
Il pane dei morti, in spagnolo "pan de muerto", è un tipo di pane preparato nel Messico nelle settimane prima della festa conosciuta come il "Giorno dei morti". È basato su una semplice ricetta per pane dolce con semi di anice, che varia in base alla regione. Nel Messico centrale è di forma tonda, con pezzi che assomigliano a ossi.<br />
<br />
Secondo la tradizione deve essere collocato sull'altare dei morti come un gesto di benvenuto. Si crede che le anime dei morti consumino l'"essenza" del cibo.<br />
<br />
Ne La mixteca è data al pane una forma umana. Viene cosparsa con lo zucchero bianco per i bambini uccisi o rosso per gli adulti.<br />
<br />
Il pan dei morti è un'antica ricetta, originaria del milanese e diffusa in varie zone dell’Italia del Nord, tipica del periodo della ricorrenza dei defunti. Il pan dei morti, infatti, veniva preparato e mangiato per rendere omaggio alle persone care scomparse.<br />
In realtà questo rito dell'offerta era già presente in tempi molto antichi: i Greci, ad esempio, offrivano un pane dei morti a Demetra, la Dea delle messi, per assicurarsi un buon raccolto. Ancora oggi, in molte zone d'Italia è una cosa comune mettere a tavola e servire, anche per le persone defunte, il pan dei morti.<br />
In Toscana, le ricorrenze dei morti e dei santi sono molto sentite: per questo motivo la produzione di questo dolce è molto intensa e di grande tradizione, tanto che si può affermare che il pan dei morti sia diventato anche un dolce tipico toscano.<br />
In ogni caso, al giorno d'oggi, forse per il suo nome un po’ lugubre, è uno dei dolci legati alla festa di Halloween, la notte delle streghe.<br />
<br />
Sono, probabilmente, da ricercare nella cultura contadina le origini delle credenze popolari legate alla commemorazione dei defunti. In Lombardia, e soprattutto nella zona di Milano, ad esempio, si riteneva che, ogni anno, con la stessa ciclicità del lavoro sui campi, le anime dei cari estinti si ripresentassero nelle loro case abbandonando temporaneamente l'oltretomba. Per offrire loro ristoro e per render loro omaggio durante queste visite, si era soliti preparare del pane dolce tradizionale da mettere in tavola come se i defunti dovessero accomodarsi assieme ai loro parenti ancora in vita. La ricetta che veniva preparata per l'occasione, non a caso, veniva, e viene ancora, chiamata Pane dei Morti, una sostanziosa prelibatezza a base di biscotti secchi sbriciolati, cacao e frutta secca. I soli ingredienti evocano l'evidente necessità di ricavare un alimento nutriente utilizzando ciò che si trovava in casa e, come spesso avviene per numerosi piatti della tradizione povera, il risultato era comunque estremamente gustoso. Nel corso del tempo anche la ricetta del Pan dei Morti, come molte altre dalle origini simili, ha subito delle modifiche adattandosi ai gusti e agli ingredienti reperibili durante i diversi periodi storici, ma l'idea di fondo è rimasta la stessa ed oggi, nel Milanese, questi panini sono diventati il dolce tradizionale del 2 novembre ed anche dell'ormai gettonatissima festa di Halloween.<br />
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<br />
<br />
Le caratteristiche distintive di questi dolcetti sono, certamente, l'utilizzo di biscotti sbriciolati e frutta secca. Le modifiche apportate nel corso del tempo hanno favorito l'aggiunta di nuovi ingredienti precedentemente non conosciuti o difficilmente reperibili, come le mandorle,il cacao o lo zucchero a velo. Oggi come un tempo, però, i Pani dei morti si presentano di forma ovale leggermente schiacciata e di dimensioni variabili in base alle preferenze.<br />
<br />
Ingredienti: 500 grammi di biscotti secchi, 300 grammi di zucchero, 250 grammi di farina tipo “00”, 100 grammi di uvetta, 100 grammi di fichi secchi, 50 grammi di canditi, 50 grammi di mandorle, 4 albumi, 1 bicchiere di vino, ½ bustina di lievito, 2 cucchiai di cacao amaro, cannella. Tritare i biscotti assieme alle mandorle, ai fichi e ai canditi. Aggiungere, quindi, la farina, lo zucchero, la cannella, il cacao, il lievito e l'uvetta ammorbidita per circa 15 minuti in acqua o liquore e mescolare il tutto. Introdurre nel composto anche gli albumi ed il vino del quale si potrà aumentare lievemente la dose se l'impasto dovesse risultare ancora troppo secco. Formare dei panini ovali schiacciati, ed infornarli per circa 30 minuti ad una temperatura di 180°.<br />
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<br />
<br />
L'assenzio fu inventato da un medico francese, Pierre Ordinaire, che in fuga dalla Rivoluzione francese si trasferì a Couvet (Svizzera) nel 1792. Tra le erbe officinali della zona, che i medici di campagna dell'epoca utilizzavano per preparare rimedi naturali, trovò l'assenzio maggiore, di cui conosceva l'uso nei tempi antichi. Sperimentando con questa pianta iniziò a produrre un forte distillato da circa 60°, contenente oltre all'assenzio molte altre erbe tra cui anice, issopo, dittamo, acoro e melissa. Il liquore di Ordinaire divenne un famoso toccasana a Couvet e assunse già il soprannome la Fée Verte (la Fata Verde). Si pensa che alla sua morte ne tramandò la ricetta segreta alle sorelle Henriod di Couvet, ma è possibile che in realtà le Henriod producessero il proprio assenzio già da prima di Ordinaire.<br />
<br />
Nel corso del XIX secolo si diffusero in Francia e Svizzera molte distillerie di assenzio con vari marchi, ma il liquore divenne particolarmente noto alla fine del secolo, grazie alla fama che ebbe tra gli artisti e gli scrittori di Parigi. L'assenzio, consumato da molti artisti famosi con rituali elaborati e accessori stravaganti, divenne un'ispirazione dello stile di vita bohémien. La bevanda ebbe enorme successo in Europa, ma declinò nel giro di poco più di un decennio, a causa di vari fattori: il movimento contro l'alcolismo che si diffuse all'inizio del XX secolo, gli studi scientifici dell'epoca che individuarono la pericolosità del tujone contenuto, e le pressioni dei produttori di vino francesi che ne temevano la concorrenza.<br />
<br />
Essendo generalmente di colore verde (naturalmente o mediante l'uso di coloranti), l'assenzio si è affermato anche con l'epiteto Fée Verte (Fata Verde). Viene generalmente bevuto aggiungendo dell'acqua ghiacciata e/o dello zucchero.<br />
<br />
L’assenzio, delizioso liquore verde, è diventato celebre per la sua storia, che si intreccia con quella dei più controversi e apprezzati artisti dello scorso secolo. Rimasto proibito per molti anni è in realtà un ottimo distillato. La sua pericolosità è più una leggenda, nata a causa delle sostanze tossiche come sali di rame, tintura di anilina e antimonio tricloruro che venivano aggiunti per raggiungere stati di incoscienza; ma a dare all’assenzio la fama di stravolgere mente e spirito hanno contribuito anche l’elevata gradazione alcolica e la presenza del tujone.<br />
<br />
Assenzio, anice e altre erbe, come menta, finocchio, melissa, issopo e angelica, vengono messe a macerare in alcool per un paio di settimane e al termine della macerazione si procede con la distillazione con l’alambicco in rame o acciaio.<br />
Il prezioso liquido ottenuto, del tutto trasparente, viene colorato con erbe e zuccherato: si ottiene un liquore sciropposo e dal colore verde acceso in trasparenza.<br />
<br />
L’assenzio ha una gradazione alcolica che si aggira tra i 40° e i 70°, da diluire in bicchiere, e proprietà organolettiche particolari. Al primo assaggio colpisce il gusto persistente dell’anice, ma in un secondo momento esplode al palato il ricco bouquet di erbe aromatiche che spazia dalla della menta e liquirizia all’arancia amara e alla melissa. Si percepiscono sentori erbacei, legnosi e agrumati che si accompagnano al principale aroma di anice e menta.<br />
<br />
Il modo francese, originale e classico, utilizzato dai poeti maledetti, prevede di versare il liquore nel bicchiere dove viene poi appoggiato il tipico cucchiaino piatto traforato con una zolletta di zucchero. Si versa acqua gelata sopra la zolletta in modo da farla sciogliere lentamente nell’assenzio che inizierà l’effetto louche, diventando lattiginoso. Infine si mescola e si aggiunge del ghiaccio, l’acqua versata dovrebbe essere tre volte la quantità di assenzio.<br />
Molto famoso è il metodo ceco, diffusosi nel XX secolo per attirare i turisti e dunque non originale, che prevede di incendiare la zolletta di zucchero imbevuta di assenzio provocando una fiamma. Prima che lo zucchero caramelli si versa l’acqua fredda e si mescola.<br />
<br />
Varietà meno pregiate di questa bevanda sono fatte per mezzo di essenze o olii mischiati a freddo nell'alcool.<br />
<br />
Storicamente, c'erano 4 varietà di assenzio: ordinario, semi-eccellente, eccellente, e superiore o svizzero, l'ultima delle quali aveva un tenore alcolico maggiore rispetto alle altre. Il miglior assenzio contiene dal 65% al 75% di alcol. Nel diciannovesimo secolo l'assenzio, come molti cibi e bevande del tempo, era occasionalmente contraffatto da affaristi con rame, zinco, indaco, o altre sostanze coloranti per conferirgli il colore verde; questo non fu ovviamente mai fatto dalle migliori distillerie.<br />
<br />
Sembrerebbe una tesi priva di fondamento, sorta con l'intenzione di attribuire all'assenzio ottocentesco proprietà proprie di droghe diverse dall'alcol, quella secondo cui l'assenzio venisse in alcuni casi adulterato con oppio: non esiste infatti nessuna ricetta storica che ne parli. La diceria che l'assenzio venisse spesso bevuto con gocce di laudano nasce per lo più da esaltazioni dei media di rari casi storicamente documentati. Il laudano era assai poco diffuso e solo tra chi se lo poteva veramente permettere, e questi erano soliti utilizzarlo ovunque capitasse (il più delle volte nel vino): è possibile che costoro lo mettessero anche nell'assenzio, poiché l'assenzio era molto bevuto; quest'usanza è perciò da attribuire solo a pochi ricchi oppiomani.<br />
<br />
La notevole popolarità che l'assenzio ebbe durante il XIX secolo (grazie anche a prezzi relativamente contenuti e accessibili a tutti i ceti) portò i produttori di vini, cognac e whisky a iniziare una vera e propria guerra contro l'assenzio, guerra che fu prontamente accolta dai governi per poter porre fine al diffuso alcolismo, piaga del XIX secolo francese.<br />
<br />
Nei trattati sulla preparazione dell'assenzio di fine ottocento pervenuti, l'assenzio è prodotto solamente per distillazione.<br />
<br />
Ogni distilleria utilizza la sua miscela di erbe. Alcune ricette prevedono dai 6 ai 12 ingredienti e ogni distilleria ha i suoi segreti. La base dell'absinthe resta tuttavia la stessa ed è comune a tutte le ricette: il distillato del macerato di artemisia absinthium, semi di anice verde e finocchio.<br />
<br />
Nella fabbricazione degli alcolici è possibile trovare preparati con oli essenziali estratti dai vegetali in questione, anche nel caso dell'Assenzio, alcuni produttori utilizzano questo metodo. Ovviamente, si ottiene un prodotto differente da una distillazione diretta dei macerati; ma più economico per la commercializzazione.<br />
<br />
L'Assenzio è fonte di discussione in Europa. Infatti il Parlamento Ue ha bocciato la proposta finalizzata a definire la bevanda, chiamata anche 'Fee Verte', o la fata verde, che più di ogni altro prodotto alcolico ha sollevato polemiche. Per 409 voti a favore, 247 contro e 19 astensioni, è arrivato il no dalla corte di Strasburgo. Quindi non esiste un parametro di riferimento per la produzione di questa bevanda.<br />
<br />
Si pensava che un eccessivo uso di assenzio conducesse ad effetti che erano specificamente peggiori rispetto a quelli associati ad altre forme di alcol – il che è vero per alcuni dei prodotti meno meticolosamente adulterati (soprattutto quelli colorati con solfato di rame) –, creando lo stato fisico chiamato absintismo, che in realtà sorge soltanto alla stregua dell'alcolismo, da cui non si differenzia, in soggetti dipendenti da questa bevanda.<br />
<br />
L'olio essenziale di Artemisia absinthium contiene un terpene chiamato tujone, il quale in dosi elevate può portare a crisi epilettiche, delirium tremens e morte. In realtà le quantità di intossicazione da tujone sono pari a 80-100 g, una quantità impossibile da assumere bevendo assenzio che normalmente non può contenere più di 30-40 mg/kg di tujone.<br />
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<br />
<br />
Un assenzio ben fatto, infatti, deve essere distillato, e gran parte del tujone che non si è perso nella fase di essiccazione dell'Artemisia absinthium (il tujone è estremamente volatile e un buon 70-80% evapora durante questa fase) si perde tagliando la "testa" del distillato. Studi più recenti hanno dimostrato che nell'assenzio distillato correttamente – anche in quelli prodotti seguendo le ricette ed i procedimenti tradizionali – rimane solo una minima quantità di tujone.<br />
<br />
In realtà il mito del tujone è da sfatare, poiché già le argomentazioni dell'epoca, che permisero di mettere al bando l'assenzio, facevano riferimento a ben tre sostanze: tujone, anetolo e fenitolo. Probabilmente il tujone è rimasto l'unico componente che crea scalpore, poiché anetolo e fenitolo, che sono tossici tanto quanto il tujone e altre sostanze presenti in comunissime piante di uso quotidiano (come prezzemolo, alloro, rosmarino, noce moscata ecc.), erano più facilmente riscontrabili in molti amari e anisette. Il tujone al contrario era esclusiva di assenzio, vermouth e genepì (che non vennero tuttavia mai incriminati come l'assenzio).<br />
<br />
La grafia non francese della parola "Absinth" venne introdotta per le bevande a base di assenzio prodotte nell'Europa centrale (fino all'inizio degli anni novanta). Questi prodotti in realtà avevano a malapena il nome in comune con l'assenzio del XIX secolo. Tipicamente, il basso contenuto di erbe presente in queste bevande impedisce la formazione del "louche".<br />
<br />
La leggenda dell'assenzio è resa intrigante proprio da quanto si narra circa il tujone, peraltro uno dei tantissimi oli essenziali presenti.<br />
<br />
Sono pochi gli studi scientifici inerenti quest'olio essenziale, e molti di questi non sono oggettivi poiché finanziati all'inizio del XX secolo proprio dai governi che volevano mettere l'assenzio al bando.<br />
<br />
Studi condotti negli anni '70 hanno portato (probabilmente in modo erroneo) a considerare il tujone (e i suoi effetti) simili a quelli del THC della cannabis solo perché le due molecole avevano una disposizione spaziale molto simile.<br />
<br />
Il tujone in verità è un terpene presente in diverse piante come le artemisie (tra cui l'Artemisia absinthium, ma anche il genepì, ovvero l'Artemisia glacialis) e le salvie (anche la Salvia officinalis usata in cucina). Il suo profumo è molto simile a quello del mentolo e lo troviamo tra gli eccipienti del farmaco da banco "Vicks Vaporub". Ad alti dosaggi il tujone ha effetti devastanti sul sistema nervoso: difficile è definire quali siano questi "alti dosaggi". Gli esperimenti scientifici descrivevano che bastava un grammo di tujone iniettato in vena ad una cavia di laboratorio per portare l'animale al delirium tremens; talvolta, la cavia moriva.<br />
<br />
Nell'uomo, il cui peso è notevolmente più grande di quello di una cavia, la forza di resistenza è decisamente superiore: un grammo di tujone iniettato in un porcellino d'India equivarrebbe a 100 grammi per un uomo; non ci sarebbe da meravigliarsi se l'iniezione improvvisa di 100 grammi di tujone in un corpo umano potesse avere come conseguenza disturbi seri o addirittura la morte.<br />
<br />
Tuttavia stando ai dati sopra riportati gli assenzi hanno sempre avuto quantità tali di tujone che una persona, per assumerne tali quantità, dovrebbe bere un centinaio di litri di assenzio. Va da sé che l'alcool porterebbe a danni gravi ben prima.<br />
<br />
Stesso discorso vale per gli altri due oli essenziali condannati a suo tempo: l'anetolo, ricavato dall'anice e il fenitolo, ricavato dal finocchio.<br />
<br />
È vero che la pianta Artemisia absinthium contiene moltissimo tujone, ma questo viene perso quasi tutto per evaporazione durante l'essiccazione, e altro tujone ancora si perde nella "testa" della distillazione. È quindi incorretto stimare, come fece nel 1989 Wilfred Arnold, che gli assenzi storici avessero 250 mg/kg di tujone. Arnold fece questa stima considerando la pianta fresca, senza calcolare né l'essiccazione né la distillazione.<br />
<br />
Un noto chimico e biologo americano, Ted Breaux, ha passato gli ultimi 11 anni a studiare l'assenzio per capire se veramente fosse quel veleno che le leggende narrano. Egli estrasse con una siringa l'assenzio da antiche bottiglie del XIX secolo arrivate intatte fino ai nostri giorni e le analizzò. I risultati furono stupefacenti: gran parte degli assenzi d'epoca avevano tujone che andava dai 5 ai 9 mg/kg, e solo qualcuno sfiorava i 20–30 mg/kg. Considerando che le normative CEE permettono un limite massimo di 35 mg/kg di tujone, gran parte degli assenzi storici sarebbe tuttora legale da questo punto di vista.<br />
<br />
Non tutto l'assenzio è verde. Anche in passato non tutti gli assenzi erano verdi. Considerando solo i veri assenzi e non quei pericolosi surrogati che già in passato circolavano, i colori andavano dal giallino fino al verde smeraldo, passando per tutte le gradazioni di verde. Alcuni erano lasciati addirittura incolore: questa tipologia ebbe una maggiore diffusione dopo la messa al bando perché più facile da contrabbandare.<br />
<br />
Tenendo presente che in un vero assenzio la fase più delicata e complessa è proprio la colorazione, va da sé che gran parte degli assenzi colorati di verdi sgargianti e cristallini non siano vero assenzio, ma qualche surrogato colorato artificialmente; sono davvero pochi ai nostri giorni i veri assenzi, colorati naturalmente come vuole la tradizione, ad essere davvero verdi, e molto spesso sono piuttosto costosi.<br />
<br />
L'assenzio per essere definito tale deve assolutamente essere distillato. Non esiste vero assenzio solo macerato o fatto con aggiunta di oli essenziali ed essenze all'alcool, e alcuni produttori senza scrupoli, sapendo che il bevitore di assenzio tende a scartare quei prodotti ottenuti con oli essenziali aggiunti, dichiarano di produrre assenzio distillato semplicemente perché loro stessi preparano gli oli essenziali. Per assenzio distillato al contrario si intendono solamente quegli assenzi distillati direttamente dalle erbe.<br />
<br />
La differenza al palato tra un assenzio distillato e uno macerato o fatto con oli essenziali è enorme. I macerati tendono ad essere pesanti e invasivi esattamente come quelli fatti con oli essenziali che inoltre lasciano uno sgradevole senso di "unto" al palato.<br />
<br />
Un vero assenzio deve contenere semi di anice verde. L'anice stellato è un ingrediente tipico dei pastis e raramente veniva usato negli assenzi e solo in minime quantità.<br />
<br />
L'anice verde ha un sapore molto aromatico, profumato e secco, mentre l'anice stellato (probabilmente l'anice per come è conosciuto in Italia, quello usato per le caramelle e per la sambuca) è estremamente morbido e rotondo e con un sapore che ricorda molto la liquirizia.<br />
<br />
Il sapore simile alla liquirizia che si possono notare nei veri assenzi non è dato tanto dall'anice stellato bensì dai semi di finocchio.<br />
<br />
Gli assenzi di nuova generazione tendono ad utilizzare enormi quantità di anice stellato, tanto da rendere il sapore generale monotematico.<br />
<br />
In un vero assenzio al contrario si devono trovare i profumi e gli aromi di tutte le erbe, per lo meno di quelle principali: l'amarezza piacevole dell'artemisia absinthium nel retrogusto, la morbidezza del finocchio, l'aroma di anice verde, quell'aspetto erbaceo unico dato dall'issopo, la melissa, il coriandolo.<br />
<br />
Il sapore dell'assenzio dovrebbe essere un continuo rincorrersi di aromi perfettamente bilanciati: nessun ingrediente dovrebbe dominare.<br />
<br />
Gran parte dei prodotti moderni non sono troppo diversi dai pastis, ma ce ne sono anche di qualità, specie se seguono ricette e metodi di distillazione originali.<br />
<br />
L'assenzio viene prodotto dall'alcool di vino prodotto esattamente come nell'800 partendo da uve coltivate esattamente come se fossero coltivate negli anni d'oro dell'assenzio e da erbe selvatiche raccolte solo nel periodo di massima maturazione. Anche l'imbottigliamento è autentico: bottiglie dalla forma che rispecchia l'antica bottiglia di absinthe, etichette che ricalcano quasi perfettamente le etichette degli assenzi a cui si rifanno, tappo in sughero e cera lacca.<br />
<br />
Dopo la diffusione della notizia secondo cui alcuni crimini violenti sarebbero stati commessi sotto l'influenza diretta della bevanda (risultata successivamente essere falsa, perché questi crimini erano in realtà stati commessi da persone ubriache, che avevano bevuto molto più che i due bicchieri della leggenda) e alla tendenza generale al consumo di superalcolici a causa della carenza di vino in Francia causata dalla fillossera negli anni tra il 1880 e il 1900, le associazioni contro l'uso di alcoolici e quelle dei produttori di vini presero di mira l'assenzio indicandolo come una minaccia sociale.<br />
<br />
Affermarono che rende folli e criminali, trasforma gli uomini in selvaggi e costituisce una minaccia per il nostro futuro. Il dipinto di Edgar Degas, L'assenzio, risalente al 1876 (ora conservato al Museo d'Orsay), riassunse la mentalità popolare che vedeva i bevitori "dipendenti" di assenzio come istupiditi e mentalmente offuscati. Émile Zola descrisse le loro gravi intossicazioni nel suo romanzo L'ammazzatoio. Nel 1915 l'assenzio venne ritirato dal commercio in molti paesi e la sua produzione vietata.<br />
<br />
Recentemente l'Unione europea ha legalizzato il commercio di assenzio e liquori simili; comunque sono presenti accurati controlli sul livello di tujone presente.<br />
<br />
La proibizione dell'assenzio in Francia comportò la nascita di un sostituto dell'assenzio a base di anice stellato (raramente presente nell'assenzio del XIX secolo ma comunissimo nei moderni prodotti) al posto dei semi di anice verde e liquirizia: il pastis. Il pastis, come tutti i liquori a base d'anice furono soggetti a severissimi controlli nei primi anni che ne limitavano la qualità al fine di allontanarli sempre più dal vituperato assenzio: la gradazione alcolica non poteva superare i 32°, non doveva intorbidire con aggiunta di acqua. Successivamente la gradazione alcolica venne portata a 40° ma durante il secondo conflitto mondiale il governo francese proibì i pastis poiché intorbidivano le menti dei soldati in trincea. Solo nel 1951 venne rilegalizzato e per festeggiare tale data la Pernod-Ricard (la multinazionale nata dall'aggregamento di alcune delle più importanti distillerie d'assenzio) mise sul mercato il Pastis51.<br />
<br />
La Francia non ha mai abrogato la legge del 1915, ma una legge del 1988 ha chiarito che il divieto riguarda solo le bevande non conformi con le regolamentazioni dell'Unione europea riguardo al contenuto di tujone, o che sono chiamate esplicitamente "assenzio". Questo ha provocato una ricomparsa dei bevitori francesi di assenzio, ora rinominato "spirito a base di piante d'assenzio". Dal momento che la legge del 1915 regolava solo la vendita dell'assenzio ma non la sua produzione, certe aziende francesi producono varianti destinate all'esportazione denominate semplicemente "assenzio".<br />
<br />
I primi assenzi a tornare sul mercato erano in realtà poco più di pastis "arricchiti" con ulteriori erbe e a volte aumentati di gradazione.<br />
<br />
Man mano che la popolarità di questa nuova generazione di assenzi cresceva, le vecchie distillerie iniziarono a distillare in segreto i loro antichi assenzi, li fecero analizzare e con lo stupore di tutti potevano essere tranquillamente commercializzati poiché il quantitativo di tujone era ben sotto i limiti previsti (la legge prevede 10 mg/kg di tujone per i liquori e 35 mg/kg di tujone per gli amari. Poiché l'assenzio può a tutti gli effetti rientrare nella categoria "amari" il limite è veramente ampio. Non sono noti assenzi del XIX secolo che superassero queste quantità).<br />
<br />
Con le direttive 88/388/CEE e 91/71/CEE relative agli aromi destinati a essere impiegati nei prodotti alimentari e ai materiali di base per la loro preparazione, il Consiglio dell'Unione europea e la Commissione europea hanno, tra le altre cose, tolto all'assenzio la condizione d'illegalità, permettendo così ai vari Stati membri di adottare normative che riportassero tale distillato nel libero commercio.<br />
<br />
In attuazione di tali direttive, il Governo Andreotti VII ha emanato il Decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 107 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - Serie Generale n. 39 del 17 febbraio 1992 (Supplemento Ordinario n. 31) ed entrato in vigore il 3 marzo 1992.<br />
<br />
Le sue successive modificazioni e integrazioni non hanno sostanzialmente cambiato, nei riguardi dell'assenzio, tale quadro normativo permissivo.<br />
<br />
In Italia, in precedenza, in base all'Art. 105 del TULPS vigeva invece un divieto di fabbricazione, importazione e distribuzione per l'assenzio e per le altre bevande la cui gradazione alcolica era superiore al 21%, se aromatizzate con assenzio.<br />
<br />
Nei Paesi Bassi una legge datata 1909 proibì la vendita e il consumo di assenzio, ma questa legge fu sfidata con successo da un venditore di vino, tale Menno Boorsma, nel luglio 2004, facendo tornare l'assenzio ancora una volta legale. Tuttavia, i querelanti fecero appello e quindi ci dovrà essere un secondo processo in una corte di livello superiore.<br />
<br />
L'assenzio non venne mai vietato in Spagna o Portogallo, dove continua ad essere prodotto.<br />
<br />
Negli anni novanta un importatore, BBH Spirits, si accorse che non c'era nessuna legge riguardo alla vendita di assenzio nel Regno Unito (non era mai stato vietato), a parte le regolamentazioni presenti su tutte le bevande alcoliche, e divenne nuovamente disponibile per la prima volta dopo quasi un secolo (anche se tassato in modo proibitivo a causa dell'elevato contenuto di etanolo).<br />
<br />
In base a quanto sancito dal United States Customs, «l'importazione di assenzio o altro tipo di liquore contenente Artemisia absinthium è proibita».<br />
<br />
L'interpretazione della legge statunitense condivisa dalla maggior parte dei bevitori di assenzio è questa:<br />
<br />
È probabilmente illegale vendere prodotti destinati al consumo che contengono absintolo derivato dalla specie dell'artemisia. Questo deriva da un regolamento della Food and Drug Administration (in contrasto con un regolamento della Drug Enforcement Administration).<br />
È probabilmente illegale per uno straniero vendere tali prodotti ad un cittadino statunitense, dal momento che i regolamenti doganali vietano specificatamente l'importazione di "assenzio".<br />
È probabilmente legale comprare tali prodotti per uso personale negli Stati Uniti.<br />
L'assenzio può essere e talvolta è confiscato dalla dogana americana, se sembra essere destinato al consumo.<br />
Un falso-assenzio chiamato Absente, prodotto con Artemisia abrotanum invece che con Artemisia absinthium (assenzio), viene venduto legalmente negli Stati Uniti, sebbene la proibizione della FDA si estenda a tutte le specie di Artemisia, inclusa quindi, in teoria, l'Artemisia dracunculus, conosciuta come dragoncello. Ad ogni modo, l'Absente viene venduto nei negozi di liquore al dettaglio perché la qualità esportabile fatta per gli Stati Uniti non contiene assenzio.<br />
<br />
In Svizzera, la proibizione dell'assenzio fu addirittura scritta nella costituzione nel 1907, in seguito a una iniziativa popolare. Nel 2000 questo articolo fu sostituito durante una revisione generale della costituzione, ma la proibizione fu semplicemente spostata nel codice di legge ordinaria. Successivamente questa legge fu revocata, così il 1º marzo 2005, l'assenzio divenne ancora legale nel suo paese d'origine, dopo circa cento anni di proibizione.<br />
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.Barbara Mezzenzanahttp://www.blogger.com/profile/14292125177674142992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1161597259496367459.post-63725467099038069562016-10-16T12:46:00.001-07:002016-10-16T12:46:12.392-07:00OLIO DI PALMA<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<br />
<br />
L'olio di palma è sempre stato molto usato nei paesi dell'Africa occidentale come olio alimentare. I mercanti europei che commerciavano in quei luoghi talvolta lo importavano in Europa, ma poiché l'olio era abbondante ed economico, l'olio di palma rimase raro fuori dall'Africa occidentale. Nella regione di Ashanti, schiavi di stato furono usati per impiantare vaste piantagioni di palme da olio, mentre nel vicino Dahomey (l'attuale Benin) re Ghezo, nel 1856, approvò una legge che vietava ai suoi sudditi di tagliare palme da olio.<br />
<br />
L'olio di palma in seguito divenne un prodotto molto commerciato dai mercanti britannici per il suo uso come lubrificante per le macchine della rivoluzione industriale, e come materia prima per prodotti a base di sapone come il Sunlight della Lever Brothers (a partire dal 1884) e il sapone statunitense Palmolive.<br />
<br />
La palma da olio fu introdotta nel 1848 dagli olandesi nell'isola di Giava, e nel 1910 in Malesia dallo scozzese William Sime e dal banchiere inglese Henry Darby. Le prime piantagioni furono istituite e gestite soprattutto da britannici come Sime Darby. A partire dagli anni sessanta il governo promosse un grande piano di coltivazione della palma da olio con lo scopo di combattere la povertà. A ciascun colono venivano assegnati circa 4 ettari di terra da coltivare con palma da olio o gomma, e 20 anni per ripagare il debito. Le grandi società di coltivazione rimasero quotate nella Borsa di Londra finché il governo malese non promosse la loro nazionalizzazione negli anni '60 e '70.<br />
<br />
In Malesia, paese dove si produce il 39% della produzione mondiale di olio di palma, ha sede uno dei più importanti centri di ricerca sugli oli e grassi di palma al mondo, il Palm Oil Research Institute of Malaysia (Porim), fondato da B. C. Shekhar.<br />
<br />
La palma è usata anche nella produzione di biodiesel, o come olio di palma poco raffinato miscelato con gasolio convenzionale, oppure lavorato mediante transesterificazione per produrre un estere di metile dell'olio di palma che rispetta le norme EN 14214, con glicerolo come sottoprodotto. Il procedimento usato varia a seconda della nazione e delle esigenze dei mercati di esportazione. Si stanno anche sperimentando, anche se in piccole quantità, processi produttivi di biocarburante di seconda generazione.<br />
<br />
Pur essendo in teoria una fonte di energia rinnovabile, il carburante da olio di palma è osteggiato da diverse associazioni ambientaliste a causa degli effetti collaterali della sua produzione, che includono la necessità di convertire alla coltivazione di palme aree ecologicamente importanti come zone di foresta pluviale o aree precedentemente adibite alla produzione alimentare. Inoltre, la monocoltura di palme da olio può produrre considerevoli emissioni di carbonio; in Indonesia e Papua Nuova Guinea, per esempio, il terreno per la coltivazione è stato preparato spesso drenando e dando alle fiamme aree di foresta palustre e torbiera, con un conseguente rilevante danno ambientale, ed è stato valutato che anche in seguito a questi fenomeni l'Indonesia sia diventata il terzo emettitore mondiale di gas serra, inoltre la deforestazione minaccia d'estinzione gli orango, diffusi solo in quelle aree. Secondo il rapporto congiunto della Banca Mondiale e del Governo britannico, il solo settore forestale indonesiano sarebbe responsabile del rilascio in atmosfera di 2,563 MtCO2e (Metric Tonne (ton) Carbon Dioxide Equivalent). Secondo il Rapporto quinquennale FAO sulle foreste del 2007, la sola Indonesia perde un milione di ettari all'anno di foreste pluviali. La United States Environmental Protection Agency (EPA) ha escluso il biodiesel da olio di palma dai combustibili ecologici, proprio perché l'impronta di carbonio derivante dalla sua produzione non permette la riduzione del 20% richiesta per le emissioni dei biocarburanti: l'olio di palma ha costi ambientali elevatissimi alla produzione.<br />
Anche in Africa la palma da olio inizia ad espandersi nelle regioni forestali, minacciando importanti ecosistemi; questo è il caso per esempio della Costa d'Avorio, dell'Uganda e del Camerun.<br />
<br />
Gli oli di palma e di palmisto sono ingredienti alimentari molto comuni nelle regioni di produzione. In Europa e Nord America progressivamente dalla seconda metà del XX secolo, per motivi commerciali, si sono diffusi nell'industria alimentare come succedanei di altri ingredienti più costosi. La sostituzione è stata resa possibile da un analogo comportamento organolettico e produttivo, spesso a scapito delle caratteristiche nutrizionali.<br />
Infatti, pur se comparabili ad altri grassi per alcuni parametri, come il grado di saturazione (analogo ad esempi al burro con circa il 50% di saturazione), sono differenti per altri, come la lunghezza delle catene degli acidi grassi (differente ad esempio dal burro, che è ricco di volatili a corta catena da cui il termine butirrico, C4), o la posizione sostituente sul glicerolo, parametri che ne modificano il percorso metabolico nell'uso alimentare. Gli acidi grassi a corta e media catena, solubili in acqua, si assorbono infatti a livello intestinale per proseguire nel fegato il processo metabolico, senza passare dalla fase di chilomicroni e dalle vie linfatiche dei grassi più pesanti.<br />
<br />
Il grande uso dell'olio di palma nell'industria alimentare del resto del mondo si spiega quindi col suo basso costo, che lo rende uno degli oli vegetali o alimentari più economici sul mercato, e coi nuovi mercati emersi negli USA, stimolati da una ricerca di alternative agli acidi grassi trans dopo che la Food and Drug Administration ha imposto di mostrare la quantità di acidi grassi trans contenuti in ogni porzione servita.<br />
<br />
Alcuni Paesi, come il Belgio, alla fine del 2013, hanno consigliato un uso limitato dell'olio di palma.<br />
<br />
Con l'entrata in vigore del Regolamento UE 1169/2011, dal 2015 è obbligatorio indicare in chiaro, nelle etichette dei prodotti alimentari prodotti nell'Unione europea, la specifica origine di oli e grassi vegetale e, di conseguenza, dichiarare l'utilizzo anche dell'olio di palma.<br />
<br />
Il 3 maggio 2016 si è pronunciatal’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa). E’ stato pubblicato un dossier che conferma i possibili rischi sulla salute connessi ad alcune sostanze potenzialmente cancerogene che si formano durante la raffinazione ad alte temperature (200°) degli oli vegetali, tra cui anche (ma non solo) l’olio di palma.<br />
<br />
Stiamo parlando dei contaminanti da processo a base di glicerolo presenti nell’olio di palma, in altri oli vegetali, nelle margarine e in alcuni prodotti alimentari. Si tratta dei glicidil esteri degli acidi grassi (Ge), 3-monocloropropandiolo (3-mpcd), 2-monocloropropandiolo (2-mpcd) e relativi esteri degli acidi grassi.<br />
<br />
Secondo il parere dell’Efsa queste sostanze «suscitano potenziali problemi di salute per il consumatore medio di tutte le fasce d’età giovane e per i forti consumatori di tutte le fasce d’età».<br />
<br />
Il gruppo di esperti scientifici dell’Efsa sui contaminanti nella catena alimentare (Contam) ha esaminato le informazioni sulla tossicità del glicidolo per valutare il rischio dai Ge, ipotizzando una conversione completa degli esteri in glicidolo dopo l’ingestione.<br />
<br />
Quest’ultimo è noto per avere potenziali effetti cancerogeni e genotossici; con questo secondo termine si intende la capacità di danneggiare le informazioni genetiche all’interno delle cellule, un fenomeno all’origine di mutazioni che possono degenerare in cancro.<br />
<br />
L’Efsa ha messo in relazione il rischio per la salute alle quantità di contaminanti consumate quotidianamente, concentrando soprattutto l’attenzione sui più giovani.<br />
<br />
La questione riguarda gli oli vegetali nel loro complesso, le margarine e altri prodotti alimentari ma soprattutto l’olio di palma. Questo ultimo è finito nel mirino perché contiene quantità nettamente più elevate di queste sostanze potenzialmente nocive rispetto agli altri ingredienti citati.<br />
<br />
I più elevati livelli di Ge, come pure di 3-mcpd e 2-mcpd (compresi gli esteri) sono stati infatti riscontrati in oli di palma e grassi di palma. Per i consumatori a partire dai tre anni di età, le principali fonti di esposizione a tutte le sostanze sono rappresentate da margarine, dolci e torte.<br />
<br />
Nel valutare le sostanze genotossiche e cancerogene che sono presenti accidentalmente nella catena alimentare, l’Efsa calcola un cosiddetto “margine di esposizione” per i consumatori.<br />
<br />
In generale, più tale margine è elevato più si può star sicuri. In merito al 3-mcpd e relativi esteri degli acidi grassi è stata stabilita una dose giornaliera tollerabile (Dgt) di 0,8 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno (µg/kg di peso corporeo/giorno), mentre per il 2 mcpd le informazioni tossicologiche sono ancora troppo limitate per stabilire un livello sicuro.<br />
<br />
Le conclusioni del dossier sono chiare: la stima delle esposizioni medie ed elevate al 3-mcpd di entrambe le forme per le fasce di età più giovani, adolescenti compresi (fino ai 18 anni di età), supera la dose giornaliera tollerabile e costituisce un potenziale rischio per la salute.<br />
<br />
L’olio di palma contribuisce in maniera rilevante all’esposizione a 3-mcpd e 2-mcpd nella maggior parte dei soggetti. Non c’è da star troppo tranquilli, perché l’Efsa ha rilevato che i livelli di 3-mcpd e dei suoi esteri degli acidi grassi negli oli vegetali sono rimasti sostanzialmente invariati negli ultimi cinque anni.<br />
<br />
In conclusione, il gruppo di esperti sui contaminanti nella catena alimentare evidenzia che i Ge costituiscono un potenziale problema di salute per tutte le fasce d’età più giovani e mediamente esposte, nonché per i consumatori di tutte le età con esposizione elevata.<br />
<br />
L’esposizione ai Ge dei neonati che consumino esclusivamente alimenti per lattanti costituisce motivo di particolare preoccupazione, in quanto è fino a dieci volte il livello considerato a basso rischio per la salute pubblica», ha affermato la dottoressa Helle Knutsen, presidente del gruppo Contam.<br />
<br />
In questo quadro tutt’altro che rassicurante c’è per fortuna anche una buona notizia:<br />
<br />
il dossier ha rilevato un dimezzamento dei livelli di Ge negli oli e grassi di palma tra il 2010 e il 2015, grazie a quelle misure adottate volontariamente dai produttori che hanno permesso una notevole diminuzione dell’esposizione dei consumatori a queste sostanze nocive.<br />
Il gruppo scientifico ha espresso una serie di raccomandazioni affinché si conducano ulteriori ricerche per colmare le lacune nei dati e approfondire le conoscenze sulla tossicità di queste sostanze (in particolare di 2mcpd) e sull’esposizione dei consumatori.<br />
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<br />
<br />
L’olio di palma è un olio vegetale non idrogenato che si ricava dall’omonimo arbusto, Elaeis guineensis, una pianta originaria dell’ Africa e oggi ampiamente coltivata in Malesia e Indonesia.<br />
<br />
Dopo la spremitura, l’olio di palma grezzo viene raffinato con processi industriali per ridurne anche il grado di acidità.<br />
<br />
Subisce fasi industriali di deodorazione, decolorazione e neutralizzazione che ne fanno perdere le proprietà benefiche.<br />
<br />
La maggior parte dell’olio di palma si ottiene al giorno d’oggi da una tipologia di palma. La Elaeis guineensis che pur essendo originaria del continente africano è ora molto diffusa in tutto il pianeta.<br />
Per chiarezza l’olio di palma ottenuto dalla polpa del frutto della palma è rosso e non deve essere confuso con l’olio ottenuto dal nocciolo e dal seme della palma che si chiama Olio di palmisto ed ha proprietà e colore differenti.<br />
<br />
L’olio di palma ha una percentuale di grassi saturi non idrogenati pari al 50%, fattore che lo rende quindi semi-solido a temperatura ambiente.<br />
<br />
Queste qualità lo rendono perfetto per le condizioni ambientali della produzione industriale. I lunghi tempi di stoccaggio, il calore anche prolungato (sole, luce battente) in cui sono conservati i prodotti e la loro conservazione in contenitori non perfettamente chiusi (dadi, biscotti…) per mesi e spesso a temperatura ambiente.<br />
L’olio di palma negli ultimi anni sta sostituendo gli oli vegetali parzialmente idrogenati (per ridurre gli acidi grassi trans) ritenuti dannosi, per cui ne è aumentato enormemente l’impiego:<br />
l’olio di oliva e di semi, “rammolliscono “il prodotto finito, perché ricchi di acidi grassi mono e polinsaturi, e lo deteriorano rapidamente.<br />
il grasso dell’olio di palma è così diffuso perché è l’unico che possa resistere senza deteriorarsi e irrancidire.<br />
Basso costo e versatilità lo rendono uno degli ingredienti maggiormente diffusi, soprattutto nell’industria alimentare.<br />
<br />
Viene utilizzato come stabilizzatore, conservante contro l’ossidazione e ammorbidente della consistenza.<br />
<br />
L’olio di palma è utilizzato nei prodotti dolciari, nelle creme, nei biscotti, e in molti piatti pronti, ma anche nei prodotti cosmetici, per la cura del corpo e la pulizia della persona, quali saponi, creme e shampoo.<br />
Anche nei prodotti biologici ed equo-solidali lo si può spesso trovare tra gli ingredienti.<br />
Dire semplicemente olio di palma, in realtà, vuol dire esprimere un concetto piuttosto vago, visto che esistono tre tipi diversi di oli che si diversificano tra loro a seconda dell’origine e della lavorazione a cui vengono sottoposti, quali: olio di palma grezzo, olio di palmisto, olio di palma raffinato. L’olio di palma grezzo si ricava dai frutti della palma dei quali mantiene il caratteristico colore arancio rosso, dovuto all’alta concentrazione di carotenoidi, precursori della vitamina A. A temperatura ambiente ha una consistenza semi-solida simile alla sugna (strutto), dovuta all’elevata quantità di acidi grassi saturi (normalmente presenti nelle carni e nei grassi animali) che, però, sono compensati dalla presenza di una buona dose di antiossidanti e di vitamina E. Gli acidi grassi costituiscono circa il 50% dei grassi totali presenti, e il più rappresentativo è l’acido palmitico, un acido saturo a lunga catena; la restante percentuale è formata dagli acidi grassi monoinsaturi (40%) e polinsaturi (10%). L’olio di palmisto si ricava, invece, dai semi della pianta. Ha anch’esso una consistenza semi-solida a temperatura ambiente, perché ricco di acidi grassi saturi, ma ha un colore bianco che ricorda il burro perché privo di carotenoidi. L’olio di palma raffinato (o olio di palma bifrazionato) è il risultato di “bifrazionamento” e di raffinazione, meccanismi che consentono di convertirlo in forma liquida. Durante tali processi, però, esso perde tutti gli antiossidanti presenti nella forma grezza, e quindi tutta la parte benefica a favore dei soli acidi grassi saturi. L’olio di palma raffinato è molto utilizzato nelle industrie alimentari per la frittura dei cibi e per la preparazione dei prodotti confezionati come biscotti, merendine, gelati, cioccolato e cioccolato spalmabile, zuppe già pronte ecc, a cui sa conferire cremosità e croccantezza, fungendo da addensante. L’olio di palma è meno delicato rispetto ad altri oli i quali, deteriorandosi in fretta, formerebbero sostanze tossiche che sarebbero potenzialmente nocive. L’olio di palma possiede, invece, una forte resistenza alla temperatura e al sole, candidandosi come olio migliore per la corretta conservazione dei cibi confezionati. Raggiungendo il punto di fumo molto lentamente, è l’ideale per la cottura dei cibi. È incolore, insapore, altamente versatile e lavorabile ma, soprattutto, è molto economico. È facilmente digeribile per la presenza, tra gli altri, di acidi grassi a media catena che attraversano più facilmente la parete intestinale. Il valore nutrizionale reale e gli effettivi impatti negativi che l’olio di palma può avere sulla salute sono ancora fonte di studi controversi. C’è chi afferma nel modo più assoluto che l’olio di palma fa male e lo demonizza senza possibilità di appello vista l’elevata presenza di acidi grassi saturi, che innalzano il colesterolo ematico e favoriscono così l’insorgenza di disturbi cardiovascolari. Al contrario, c’è poi chi pone l’accento, esaltandolo positivamente, sull’alto contenuto di vitamina E e carotenoidi. In realtà, la controversia deriva dalla confusione e dalla non chiarezza su quale dei tre tipi di olio si stia parlando. L’olio di palma grezzo, per tutte le sue caratteristiche, non rappresenta di per sé un grosso rischio per la salute di cuore e arterie o per il problema di sovrappeso e obesità. Purtroppo, però, quello che viene usato dalle industrie alimentari non è questo, ma il suo equivalente raffinato che ha ormai perso tutte le sue sostanze benefiche. I grassi non vanno del tutto eliminati dalla dieta: in una corretta alimentazione dovrebbero apportare circa il 30% delle kcal totali, di cui il 7-10% rappresentati proprio da quelli saturi. Il punto principale è che spesso ne assumiamo più del necessario e in maniera anche inconsapevole, proprio perché l’olio di palma è contenuto in moltissimi prodotti di uso quotidiano.<br />
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L'olio di palma viene applicato, tra l'altro, sulle ferite per facilitare la guarigione, grazie alle caratteristiche dell'olio; inoltre, si ritiene che l'olio di palma non raffinato, come anche l'olio di cocco, possa avere effetti antimicrobici, ma le ricerche non lo confermano in modo chiaro.<br />
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Il CSPI (Center for Science in the Public Interest), citando ricerche e meta-analisi, afferma che l'olio di palma aumenta i fattori di rischio cardiovascolare. Da molti anni è stato accertato che i principali acidi grassi che alzano il livello di colesterolo, aumentando i rischi di coronaropatia, sono gli acidi grassi saturi con 12 atomi di carbonio (acido laurico), 14 atomi di carbonio (acido miristico) e 16 atomi di carbonio (acido palmitico). Ricerche statunitensi ed europee confermano lo studio dell'OMS; in particolare, l'associazione no-profit statunitense American Heart Association elenca l'olio di palma fra i grassi saturi dei quali consiglia di limitare l'uso a coloro che devono ridurre il livello di colesterolo.<br />
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Tra gli argomenti di parte, e in risposta allo studio dell'OMS, il Comitato di promozione dell'olio di palma malese (Malaysian Palm Oil Promotion Council) ha sostenuto che non ci sono prove scientifiche sufficienti per elaborare linee guida globali sul consumo di olio di palma e ha citato uno studio cinese che avendo comparato lardo, olio di palma, olio di soia e olio di arachidi, i primi due con un alto contenuto di grassi saturi e generalmente considerati poco salutari, sostenendo che l'olio di palma aumenta il livello di colesterolo "buono" (HDL) riducendo il colesterolo "cattivo" (LDL) e che l'olio di palma è meglio dei grassi trans, grassi che (nei paesi dove non sono regolamentati) sarebbero comunemente scelti come suoi sostituti in diverse produzioni alimentari; queste affermazioni sono sostenute da uno studio precedente su vari oli e salute cardiovascolare.<br />
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Tuttavia, uno studio del dipartimento di Scienza e Medicina agricola, alimentare e nutrizionale dell'Università dell'Alberta ha mostrato che sebbene l'acido palmitico non abbia effetti ipercolesterolemici qualora l'assunzione di acido linoleico sia superiore al 4,5 % dell'energia, se la dieta contiene acidi grassi trans allora il colesterolo "cattivo" (LDL) aumenta e quello "buono" (HDL) diminuisce; inoltre, gli studi a sostegno del Comitato di promozione dell'olio di palma malese considerano il problema degli effetti dell'olio di palma unicamente sulla colesterolemia, in parte sui trigliceridi e non i suoi effetti complessivi sulla salute.<br />
<br />
L'industria dell'olio di palma sottolinea che gli oli di palma contengano grandi quantità di acido oleico (è il secondo, col 38,7%, nell'olio di oliva l'acido oleico è il 55-83%), acido grasso protettivo, e, in contrapposizione a quanto noto in medicina e dietetica, sostiene che l'acido palmitico influisce sui livelli di colesterolo in modo molto simile all'acido oleico; afferma, inoltre, che gli acidi monoinsaturi come l'acido oleico sono tanto efficaci quanto gli acidi grassi polinsaturi (come l'acido alfa-linoleico) nel ridurre il livello di colesterolo "cattivo".<br />
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<a href="http://cipiri11.blogspot.com/" target="_blank"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVqI6rAmfQItBzDAZUSOmftw1NOgeZi-M1koFI4XlYspux7EaJFvQCUfNMsjqjDL0TDR1YvNntZL0ATzgqal99tLeqjwEvQNBNZBT-y0gBVwZI3p69GNk5KEj-4rewn_JftX7zoSoNagU/s400/limon.jpg" width="400" /></a></div>
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Secondo la tradizione il limoncello nasce agli inizi del Novecento e la sua paternità viene contesa tra sorrentini, amalfitani e capresi: molto rinomato infatti è quello prodotto in Campania utilizzando il limone di Sorrento (il "femminello") o lo sfusato amalfitano IGP, nonchè quello di Procida.</div>
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In seguito alla popolarità raggiunta dal Limoncello in Italia, anche gli Stati Uniti hanno iniziato a produrre limoncello usando i limoni della California che equivalgono al 90% della produzione nazionale.</div>
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Il limoncello è un liquore dolce ottenuto dalla macerazione in alcol etilico delle scorze del limone ed eventualmente di altri agrumi, miscelata in seguito con uno sciroppo di acqua e zucchero.</div>
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Generalmente, si utilizza per l'infusione alcol etilico a gradazione di almeno 90%, in cui vengono macerate le scorze (solo la parte gialla) di dieci grossi limoni per ogni litro di alcol. Il periodo di macerazione varia a seconda delle ricette ma mediamente si aggira sui venti giorni, dopodiché viene aggiunto lo sciroppo, in cui le porzioni sono sommariamente di 600-700 grammi di zucchero per litro d'acqua. Il liquore viene quindi filtrato e imbottigliato.</div>
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Mediamente dopo almeno un mese di maturazione (ma per certe ricette la durata è molto minore) in bottiglia, diviene il classico liquore di colore giallo, particolarmente adatto da gustare come digestivo dopo i pasti.</div>
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La buccia di colore giallo citrino, ottenuta dai migliori limoni di forma ellittica, simmetrica e di dimensioni medio-grandi, è l'ingrediente principale del limoncello contenente oli essenziali che conferiscono al liquore un aroma molto deciso nonché un gusto molto forte.</div>
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Questo liquore ricco di aromi mediterranei, inoltre è conosciuto per le sue virtù digestive.</div>
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<a href="http://cipiri11.blogspot.it/" target="_blank"><img border="0" height="267" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj1i9YtKVOkfnV-xcy76xOMEOrdn4hZvhmcWt4tA7H5Ysep5YIXiSIg4hU-AIHx-WkFbX6elYJlyMalaKEss1jRAHUBG7C9yumNs2WdVm-2EKJJxtTX1SrahwGfeaz3Aj-MO_2euu2VoRE/s400/aperitivii.jpg" width="400" /></a></div>
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Nel V secolo a.C. il medico greco Ippocrate prescriveva ai pazienti affetti da inappetenza un medicinale di sua invenzione: il vinum hippocraticum, vino bianco e dolce, in cui erano macerati fiori di dittamo, assenzio e ruta.</div>
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Fin dall'antichità Greci, Etruschi e Latini avevano l'abitudine di far precedere i loro banchetti da bevande a base di vino, miele, resine spezie e quant'altro fosse in grado di “aprire” all'assunzione del cibo. La parola aperitivo, deriva infatti da “aperio-aperire” parola latina che significa, appunto, aprire. Successivamente appare il termine “aperitivus”, parola che significa letteralmente “spalancare le porte al desiderio di dissetarsi”. </div>
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Caterina de Medici, sposa di Francesco I, re di Francia, portò alla corte queste bevande, tanto che la parola si trasformò in “aperitif” col significato di “prima del pasto”.</div>
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L'aperitivo nel suo significato vero e proprio però nacque a Torino in una piccola bottega di liquori del signor Antonio Benedetto Carpano, il quale nel 1786 ha inventato il vermut, prodotto con vino bianco addizionato ad un infuso di oltre 30 tipi di erbe e spezie. Da allora la “speciale bevanda” è stata esportata in tutta Europa e successivamente prodotta da Cinzano e Martini & Rossi, divenendo con l'appellativo di “Martini” l'aperitivo per eccellenza, da bere liscio o come base di tanti cocktail come il Negroni. Si diffuse in diverse città d'Italia negli ultimi anni del 1800 specialmente nei caffè, particolarmente attivi a Torino, Genova, Firenze, Venezia, Roma, Napoli, Milano.</div>
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Carlo Gancia nella metà dell'Ottocento propose una versione diversa del vernut: il vermut Gancia. Fu l'aperitivo ufficiale della casa reale, la quale concesse l'autorizzazione a usare la formula “Bianco Gancia, vermouth dell'Aristocrazia e della Regalità”. Fu usato come veicolo di propaganda anche un messaggero dell'indipendenza e dell'unità come Giuseppe Garibaldi da cui l'aperitivo “Garibaldi” di Gancia.</div>
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Gli aperitivi contengono delle sostanze che hanno delle proprietà che vanno a stimolare i succhi gastrici dello stomaco predisponendolo alla ricezione del cibo. Oltre alle sostanze contenute, anche il colore e l'odore, sono importanti. Spesso gli aperitivi si presentano con colori che vanno dal rosso, all'arancione, al bianco o trasparente.</div>
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Un aperitivo è un una bevanda alcolica o analcolica che si beve prima dei pasti per stimolare l'appetito (in inglese anche pre dinner). Può essere un cocktail o una bevanda non miscelata accompagnata o meno a stuzzichini. È diffuso in Italia così come in tutto il mondo.</div>
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Molti aperitivi, come ad esempio il Negroni, sono compresi nella lista della International Bartenders Association (Cocktail ufficiali IBA).</div>
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Per le normative italiane e comunitarie l'aperitivo (alcolico) non è una specifica bevanda alcolica definita dal punto di vista legale e merceologico come possono essere il vino, la birra, un distillato, il liquore, l'amaro, eccetera; è piuttosto una modalità di preparazione e consumo di bevande alcoliche o preparati a base di bevande alcoliche. Si noti inoltre che un aperitivo non deve necessariamente essere alcolico (basti pensare ai cosiddetti soft drinks che sono le famose bevande gassate diffuse in tutto il mondo).</div>
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L'aperitivo è un vero e proprio rito che si svolge dalle 18.00 alle 21.00 come pre-cena, come pausa di relax post lavoro. Viene accompagnato da stuzzichini come olive, patatine, salatini,taralli pugliesi,frutta e similari. Nuove varianti moderne si prolungano oltre l'orario di cena, sotto il nome di happy hour dove ad un costo di piccole tariffe aggiuntive è possibile degustare finger food di tutti i tipi, come sostituto alla cena.</div>
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In Italia l'aperitivo si è diffuso a macchia di leopardo. Cominciò ad essere servito in alcuni locali di Genova e di Firenze dove ad oggi tutti i locali offrono vari e ricchi buffet e dove venne inventato anche il famoso Negroni.</div>
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Al Nord è ben diffuso in tutte le città della Lombardia, nelle province ad essa confinanti e anche in molte località sciistiche delle Alpi è comunque ormai usanza largamente diffusa in tutte le grandi città italiane. A Milano, Genova, Torino, Verona e Bologna ci sono diversi locali, alcuni dei quali storici, che da anni offrono un aperitivo in grande stile.</div>
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L'aperitivo al Sud, soprattutto nelle città con il mare, si protrae fino a notte fonda sulle spiagge, dove è accompagnato da eventi musicali e promozionali. Questo avviene soprattutto nelle regioni della Puglia (come il Salento) e della Campania (soprattutto nella Costiera Amalfitana), dato l'alto tasso di turismo permette di divenire un'anticamera del divertimento.</div>
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In Friuli-Venezia Giulia e nella maggior parte del Veneto si continua invece a seguire il rito dell'aperitivo secondo le tradizioni locali, con ottimi vini e pochi stuzzichini. L'aperitivo per eccellenza era l'ex tocai (ora friulano o tai in veneto) negli ultimi anni superato dal prosecco.</div>
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A Milano e nel resto d' Italia è consuetudine effettuare un aperitivo in grande stile la domenica mattina (cosiddètto brunch), oppure tutti i giorni lavorativi prima di pranzo o cena. Non si riduce alla scelta della bevanda alcolica/analcolica, ma è accompagnata da un ricco buffet di stuzzichini, primi e secondi piatti, frutta e dolci.</div>
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In quasi tutte le località della Sardegna tradizionalmente il rito dell'aperitivo, sia prima di pranzo che prima di cena, consiste soltanto nel consumo di uno o più bicchieri di vino locale: cannonau o altri vini rossi nei paesi dell'interno, malvasia in Planargia, vernaccia nell'oristanese, vermentino in Campidano ed in Gallura. Negli ultimi dieci anni nelle principali città sarde ha preso piede, riprendendo una tendenza tipica dell'Italia, l'aperitivo che unisce vini o cocktails a stuzzichini e vario cibo.</div>
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I più diffusi aperitivi sono l'Americano, il Pirlo, lo Spritz, il Campari, il Rossini e il Sanpellegrino. Tra gli aperitivi composti da una sola bevanda alcolica il primato spetta al prosecco.</div>
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La moda dell'aperitivo è ormai ben radicata in tutta Italia già da diversi anni, e si sta diffondendo anche in altri paesi, quali la Svizzera, Francia, Austria, Slovenia, Serbia e Germania.</div>
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L'aperitivo ha anche degli effetti fisiologici come ad esempio la stimolazione della secrezione di succhi gastrici che può aumentare la sensazione di fame. Se in piccole quantità può portare leggeri benefici alla digestione, all'aumentare dell'assunzione la rende più difficoltosa e porta quasi a raddoppiare le calorie ingerite col successivo pasto.</div>
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Va registrato come il rito dell'aperitivo sia diventato ormai dalla seconda metà degli anni novanta una moda costosa, con l'apertura di alcune decine di locali in zone raffinate, con arredamenti lussuosi, superfici sterminate, selezione all'ingresso, buffet ricchissimi. I prezzi, saliti di concerto al diffondersi della moda, hanno reso l'aperitivo un'abitudine costosa in quanto tale, tuttavia molti considerano un ricco aperitivo un degno sostituto di una cena ad un prezzo molto più ragionevole. Anche questo fattore contribuisce a diffonderne la moda.</div>
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Con gli anni è pure cambiato il tipo di cocktail più richiesto e si è formata una "moda del bere". Se a metà anni ottanta si bevevano Long Island Iced Tea, Whisky con ghiaccio, Campari con il vino bianco (localmente un tempo chiamato anche mez-e-mez, cioè "mezzo e mezzo", oppure "un Campari in due", da non confondere con il Mezzoemezzo Nardini, un aperitivo a base di Rosso Nardini, Rabarbaro Nardini, Seltz e scorza di limone molto in voga al giorno d'oggi), Bloody Mary e pochi altri, intorno al 1988 si affermarono i cocktail sudamericani come i Daiquiri, le Tequila di vario genere, i Margarita.</div>
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Nei primi anni novanta diventarono di moda i cocktail a base di Vodka, seguiti pochi anni dopo dall'Americano e dalla riscoperta del Negroni sbagliato, inventato al Bar Basso di Milano negli anni cinquanta e in genere chiamato semplicemente "Sbagliato". Oggi i cocktail più diffusi sono proprio lo Sbagliato, i Vodka Martini, gli Spritz e i cocktail con succhi di frutta.</div>
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Si è diffuso negli ultimi cinque-sei anni circa l'offerta di buoni vini al calice al posto dei cocktail.</div>
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Con l’andare del tempo, il sorseggiare un aperitivo è diventato anche un modo per prendersi una pausa dalla propria attività lavorativa o concedersi alcuni momenti di socializzazione con amici o conoscenti subito dopo gli impegni lavorativi.</div>
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Per quanto riguarda gli aspetti salutistici va rilevato che il segreto sulla fabbricazione degli aperitivi non consente di conoscere la loro esatta composizione il che non può escludere un potenziale pericolo derivante dall’impiego di sostanze poco note nel loro effetto farmacologico, la cui assunzione protratta nel tempo, potrebbe causare effetti dannosi all’organismo. Va infine ricordato che, oltre a questa eventuale tossicità, può aggiungersi, soprattutto per quanto riguarda gli aperitivi analcolici, quella che potrebbe essere esplicata dalle sostanze antifermentative usate ai fini della loro conservazione.</div>
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<br />
<br />
La leggenda narra che nel XVII secolo (1638) la contessa Ana de Osorio Chinchón, moglie del viceré del Perù, Luis Jerónimo de Cabrera, malata di una misteriosa febbre molto alta, venne curata con rimedi tradizionali indigeni ottenuti lavorando la corteccia di un albero; “il nome” deriva dalla contessa di Chinchon.<br />
Ben presto invase il mercato europeo come una cura per la malaria, febbre, indigestione e le malattie della gola. Per quasi 100 anni il chinino veniva usato come un farmaco.<br />
Nel 1825, la British East India Company in India iniziò a mescolare il loro tonico di chinino con il gin per renderlo più appetibile. Nasce così il gin and tonic.<br />
Presto una società britannica brevettò la ricetta dell'acqua tonica.<br />
Agli inizi si conosceva un solo modo di utilizzare il chinino: prima veniva lavata la corteccia dell’ albero di china e asciugata, poi polverizzata e miscelata all’ acqua; nel 1820, due scienziati, Pelletier e Caventou, isolarono il chinino dalla corteccia, capirono come estrarre alcaloide chinina dal legno senza alcun effetto collaterale. La domanda per il chinino raffinato crebbe e prosperò. Ma a metà del 19° secolo, gli esploratori britannici e olandesi contrabbandarono i semi di chinino dall’America Latina per poi piantare alberi in Cina, India, Ceylon, nella speranza di prendere una presa sul mercato. Nessuno di questi alberi andò bene poiché non produsse un alto grado di chinina. Ma gli olandesi non si arresero e ancora una volta contrabbandarono i semi questa volta da Java e Bolivia. Questi alberi andavano molto meglio e fornirono esattamente ciò che gli olandesi speravano, gli alberi in Cina avevano un alto grado di chinina. Gli olandesi monopolizzarono rapidamente la produzione di chinino e nel 1918 avevano il controllo totale della fornitura nel mondo intero.<br />
<br />
L'acqua tonica è composta da acqua addizionata ad anidride carbonica, zucchero e aromi naturali, tra cui prevale il chinino (in dosi molto inferiori a quelle terapeutiche), che le dona il tipico gusto amarognolo. Fa parte dei cosiddetti soft drinks.<br />
<br />
Una caratteristica dell'acqua tonica, è che se esposta a raggi ultravioletti, questa risulta fluorescente. Ciò è dovuto alla presenza di chinino.<br />
<br />
Il contenuto di chinino nell'acqua tonica commerciale rientra perfettamente nelle dosi farmacologiche di sicurezza. Tuttavia, come accade per molte altre bevande o alimenti, l'idoneità o meno al commercio viene stimata sull'utilizzo “ragionevole” di un singolo prodotto e non tiene in considerazione né l'eccesso alimentare (dal singolo o più alimenti/bevande), né il così detto off-label.<br />
La “Food and Drug Administration” (FDA) statunitense limita la frazione di chinino nell'acqua tonica a 83 parti per milione, ovvero 83mg/kg di bevanda.<br />
Si tenga bene a mente che la dose giornaliera “terapeutica” contro la malaria è compresa nell'intervallo 500-1000mg (o 10 mg/kg di peso corporeo) da assumete ogni otto ore; per un adulto di 70kg, corrisponde a circa 2100mg di chinino al giorno.<br />
Il chinino è anche considerato un rimedio per i crampi alle gambe ma, a causa dei rischi legati al suo consumo, la FDA suggerisce di utilizzarlo con molta cautela e di evitare un'eventuale l'assunzione cumulativa.<br />
Infatti, essendo un alcaloide potenzialmente tossico, l'eccesso di chinino può determinare: vomito, diarrea, disturbi visivi ed auditivi; talvolta, le compromissioni dell'udito non svaniscono nemmeno dopo la sospensione del principio attivo.<br />
L'utilizzo farmacologico di chinino (farmaco) è severamente vietato in condizioni di gravidanza ed allattamento, poiché la dose nociva per il feto o neonato (verosimilmente anche più pericolosa) è inferiore rispetto a quella per l'adulto.<br />
<br />
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<br />
Un discorso analogo può essere fatto per chi soffre di patologie epatiche e/o renali, poiché il fegato ed reni sono deputati al metabolismo ed allo smaltimento della molecola; con un funzionamento insufficiente o scorretto, aumenta il rischio di accumulo e se ne enfatizza il potere tossico.<br />
<br />
L'acqua tonica è una bibita dolce a base di acqua e glucidi semplici; è anche considerata una bevanda vuota, poiché non contiene altri elementi nutrizionali o nutrienti in quantità significative (sali, vitamine, proteine, grassi, fibre ecc).<br />
<br />
La porzione media di acqua tonica è di 150-250ml/die, anche se varia in base al regime alimentare nella quale viene contestualizzata. Anche prendendo in esame la nutrizione dello sportivo (più energetica delle altre) è sempre bene non eccedere, poiché gli zuccheri che la caratterizzano aumentano inutilmente l’apporto calorico della dieta. Ricordiamo che i carboidrati semplici dovrebbero provenire quasi esclusivamente dalla frutta, dagli ortaggi e dal latte (che forniscono molti altri nutrienti importanti) e solo marginalmente dai prodotti dolcificati.<br />
L'acqua tonica è una bevanda zuccherata da evitare in caso di iperglicemia (o diabete mellito tipo 2 conclamato), ipertrigliceridemia e sovrappeso; ricordiamo che lo zucchero in eccesso può nuocere gravemente alla salute dei denti. Tuttavia, in questi casi può essere utilizzata (nei limiti della ragionevolezza) la versione dolcificata con additivi.<br />
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<br />
<br />
Una volta dell’animale si mangiava tutto quello che si poteva mangiare, nulla veniva scartato,i granelli poi, piatto consumato raramente, per la difficoltà di procurarsi la materia prima, veniva preparato in occasione della castrazione degli animali propri, o grazie ai favori di un macellaio amico, addirittura nel consumo si privilegiavano i bimbi e gli anziani, vista l’alta digeribilità e la presunta carica d’energia che apportavano,ora essendo una mercanzia non di massa , ma solo per amatori, non è difficile procurarsi la materia prima.<br />
<br />
I granelli sono spesso venduti già dissanguati, puliti e privati delle parti esterne, che anatomicamente corrispondono allo scroto e all'epididimo. Per poterli affettare con più facilità viene a volte consigliato di passarli brevemente in frigo o nel congelatore, in modo da farli leggermente indurire. Le fettine ottenute possono poi venire marinate per qualche tempo in acqua salata con aceto bianco, dopodiché vanno asciugate. In alternativa prima della cottura possono essere sbollentati per alcuni minuti.<br />
<br />
I granelli vengono generalmente consumati infarinati e/o passati nell'uovo e fritti, con l'eventuale aggiunta di aglio, marsala o erbe aromatiche. Possono essere anche accompagnati da funghi o verdure quali ad esempio i finocchi fritti. Tra le varianti della frittura c'è quella dell'impanatura con uovo e pangrattato; i testicoli di montone cucinati in questo modo negli USA prendono il nome di lamb fries.<br />
<br />
I granelli appaiono come ingrediente di varie ricette regionali.<br />
Rappresentano ad esempio un componente importante di due classici piatti della cucina piemontese, il fritto misto e la finanziera, nei quali vengono utilizzati insieme a varie altre frattaglie.<br />
<br />
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<br />
<br />
Nella regione francese del Limousin i testicoli ovini vengono chiamati colhas de moton; dopo essere stati dissanguati, provocandone il parziale sbianchimento, essi vengono affettati piuttosto finemente e passati in pentola. Durante la cottura si aggiunge un trito di aglio e prezzemolo ed una punta di succo di limone. Vanno serviti ben caldi e possono essere accompagnati con un bianco della Corrèze o con del coteaux de Verneuil<br />
<br />
I granelli sono piuttosto apprezzati anche in varie regioni della Spagna, dove prendono il nome di criadillas. Ad esempio nella Murcia vengono cucinali alla piastra.<br />
<br />
Un tempo i granelli, data la loro morbidezza, il gusto delicato e l'alta digeribilità, venivano considerato un cibo molto adatto agli anziani ed ai bambini. Si tratta però di un alimento ad alto tenore di colesterolo.<br />
<br />
Nell'antichità ai granelli erano attribuite proprietà afrodisiache. Queste erano considerate maggiori nei testicoli di specie animali delle quali era nota una intensa attività copulatoria quali montoni, cervi, galli e cinghiali. Si pensava che anche le donne traessero giovamento dal consumo di testicoli animali in quanto questo tipo di pietanza avrebbe contribuito a renderle di aspetto più florido e piacevole. Con lo sfumare di queste convinzioni i granelli, in varie nazioni, sparirono gradualmente dalle tavole dei ceti più abbienti per diventare un cibo destinato ai più poveri.<br />
<br />
In varie culture la fama dei granelli come afrodisiaci naturali continua però ad essere ben viva, e questo minaccerebbe in taluni casi la conservazione di specie animali quali le tigri e i canguri.<br />
<br />
Nel villaggio serbo di Lunjevica (comune di Gornji Milanovac) viene organizzata annualmente una manifestazione definita campionato mondiale di cottura testicoli. Il vincitore, scelto tra una ventina di concorrenti, è chi prepara il migliore gulash a partire da testicoli di vari animali tra i quali asini, cavalli, bovini e ovini.<br />
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<br />
<br />
Umberto Veronesi, il noto oncologo, fa notare come la carne di topo possa essere un'alternativa estremamente salutare e come essa possa prevenire un sacco di malattie metaboliche.<br />
<br />
A rivelarlo è stato uno stesso studio condotto sui topi da Veronesi stesso nel quale aveva notato che i topi cannibali che si mangiavano altri topi avevano il 14% percento in meno di rischio di contrarre malattie metaboliche e cardiovascolari.<br />
<br />
Le culture cambiano, i gusti cambiano e con questi cambiano anche i modi di mangiare. Il mondo è globale, tutti hanno voglia di provare cose nuove, ecco che, in un clima come questo, arriva anche la carne di topo sulle nostre tavole.<br />
<br />
L’imprenditore Alexis Mouse, autore della manovra economica: “Beh, l’Italia è bene che si apra totalmente a nuovi gusti e nuove passioni. I ratti possono essere cucinati in mille diversi modi: fritti, alla griglia, in brodo, al forno e via dicendo. Sono gustosi e prelibati, nonostante quello che dicono i malpensanti. Non bisogna temere nulla. Anzi, provate e non potrete farne più a meno”. Nelle grandi città già stanno spuntando le prime toperie, negozi adibiti alla vendita di carne di topo.<br />
<br />
A Bangkok piacciono ed è normali trovarli esposti in vendita, già cotti o da cucinare a casa.<br />
<br />
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<br />
<br />
Molti li considerano una prelibatezza, tanto che la loro carne può arrivare a costare più di quella di pollo. A catturarli ci pensano ovviamente dei disperati che, prima che sorga il sole, circondano le loro tane e i passaggi che usano di trappole.<br />
La cosa non sembra disturbare le autorità sanitarie tahilandesi e nemmeno gli acquirenti, per nulla preoccupati di sapere da dove vengano e con cosa si siano nutriti per raggiungere le ragguardevoli dimensioni richieste agli esemplari in vendita.<br />
<br />
È evidente che le differenze culinarie tra l’oriente e l ‘occidente del mondo sono molte e varie. Le ricette differiscono per preparazione, cottura, e condimenti, o addirittura, come nel caso del sushi, che viene servito crudo, non vi è alcuna cottura. Certo la globalizzazione ha permesso una maggiore diffusione di notizie, beni, e quindi anche di cibo.<br />
<br />
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<br />
<br />
Gli spaghetti all'Amatriciana, sono uno dei simboli della tradizione culinaria Italiana.<br />
<br />
La ricetta originale, nata ad Amatrice, una piccola cittadina Laziale al confine con l'Abruzzo, prevede rigorosamente gli spaghetti e non i bucatini tant'è che persino i cartelli Comunali all'ingresso della città indicano "Amatrice, Città degli Spaghetti".<br />
<br />
Nel tempo la ricetta è stata acquisita dalla cucina romanesca che ne ha modificato uno degli ingredienti base, gli spaghetti con i bucatini. In passato la ricetta era un pasto povero dei pastori ed era in bianco, solamente spaghetti, guanciale e pecorino e null'altro.<br />
<br />
In questa versione originale della matriciana o amatriciana, non va assolutamente usata la cipolla , aglio in camicia e la pancetta. L'errore che molte persone e ristoranti italiani fanno è l'uso della cipolla e dell'aglio, anche se la cipolla e l'aglio ci possono stare bene, comunque ne altera il sapore. La ricetta chiamata matriciana e non amatriciana, come da testimonianze, in quanto gli abitanti di Amatrice usavano chiamarsi “ Matriciani ”, senza la A di conseguenza anche la famosa pasta veniva chiamata “ Matriciana ”, col tempo per un fenomeno linguistico è diventata amatriciana. Questo piatto era il pasto principale dei numerosi pastori che vivevano sulle montagne di Amatrice, ma la preparavano senza il pomodoro. Questa versione è chiamata pasta alla " Gricia ". I pastori portavano nei loro zaini, pezzi di pecorino, sacchette di pepe nero, pasta essiccata, guanciale e strutto.<br />
<br />
Con delibera 27/2015, il Comune di Amatrice ha formalizzato le ricette, sia della versione bianca, sia della versione rossa, in un Disciplinare di produzione De.C.O. Come chiaramente indicato nel disciplinare, non sono previsti né aglio né cipolla. Inoltre il Comune di Amatrice, col pieno supporto della Regione Lazio, nel 2015 ha iniziato il percorso, volto a ottenere il prestigioso riconoscimento europeo STG della salsa, per un'ulteriore tutela dell'originalità della ricetta. Come formato di pasta da condire nell'amatriciana originale, occorre rigorosamente usare quello degli spaghetti.<br />
<br />
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<br />
<br />
Per quanto originaria d'Amatrice, la ricetta si è diffusa a Roma e nel Lazio, diventando così uno dei piatti tradizionali della capitale e della regione. L'amatriciana esiste in diverse varianti, dipendenti anche dalla disponibilità di alcuni ingredienti. Mentre ognuno concorda sull'uso del guanciale, il pomodoro non è riportato nel manuale di Gosetti. La cipolla non è usata ad Amatrice, ma è riportata nei manuali classici della cucina romana. Sebbene nelle ricette più vecchie non venga indicato alcun grasso di cottura, o meglio sia utilizzato il grasso del guanciale, di solito come grasso di cottura viene usato prevalentemente l'olio extravérgine d'oliva. L'uso dello strutto è anche attestato.<br />
<br />
L'uso dell'aglio soffritto in olio extravérgine d'oliva, prima d'aggiungere il guanciale, è anche possibile, mentre come formaggio può essere usato sia il pecorino romanosia quello di Amatrice (proveniente dai Monti Sibillini o dai Monti della Laga). L'uso di pepe nero o peperoncino è anche attestato.<br />
<br />
È consuetudine condire con l'amatriciana gli spaghetti, i bucatini, i tonnarelli o i rigatoni.<br />
<br />
L'amatriciana, adattata alle regole del Casherut, è presente nella cucina giudio-romana. Nella preparazione non si usano il pecorino o altri tipi di formaggi, si utilizza olio d'oliva al posto dello strutto e la carne secca di manzo sostituisce il guanciale di maiale.<br />
<br />
Agli "Ingredienti degli spaghetti all'amatriciana e città di Amatrice", il 29 agosto 2008, è stato dedicato un francobollo, policromo e dentellato, emesso dalla Repubblica Italiana, del valore di 0,60 euro.<br />
<br />
Ricetta della matriciana per 4 persone<br />
<br />
400 grammi spaghetti di pasta secca di semola di gran duro di produzione italiana di alta qualità.<br />
<br />
250 grammi guanciale di Amatrice, (da non usare la pancetta è ricavata dalla pancia del maiale troppo salata, ne altera il sapore). Il guanciale è ricavato dal muso del maiale quindi è un grasso più nobile con il sapore più delicato e profumato è l'ingrediente indispensabile per la preparazione della matriciana, senza di esso, non è sugo alla matriciana.<br />
<br />
500 grammi di pomodoro fresco quello casalino rosso e ben maturo in alternativa scatola di pelati.<br />
<br />
150 grammi di pecorino di Amatrice, il sapore molto delicato, non salato e leggermente piccantino , (evitare quello romano, al palato risulta forte e salato, ne altera il sapore ). <br />
<br />
1 cucchiaio di strutto, all'epoca si usava lo strutto con il suo sapore dolce e delicato, e serviva anche come lubrificante per le padelle in ferro. (da non usare l'olio, con la sua acidità ne altera il sapore).<br />
<br />
1 peperoncino rosso non troppo piccante.<br />
<br />
1 pugno di sale grosso per la pasta.<br />
<br />
<br />
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