venerdì 18 agosto 2017

PANE E FRUTTA



Il pane unito a confettura, miele, ecc. non viene digerito bene; ogni amidaceo infatti male si trasforma qualora sia associato a dello zucchero. La digestione amidacea (pane), ad esempio, inizia nella bocca e continua nello stomaco, gli zuccheri invece vengono digeriti esclusivamente nell'intestino. Quando gli zuccheri prolungano la loro permanenza nello stomaco, a causa della digestione del pane, essi fermentano rapidamente coadiuvati dal calore e dall'umidità, e tutta la massa entra in fermentazione provocando così acidità, indigestione, bruciori e gas. Il melone è indigesto per molti, ma se preso solo e lontano dai pasti esso è facilmente digeribile, per tutti. I frutti acidi (limone, pomodoro ecc.) ostacolano la digestione e consumano i minerali dell'organismo, se vengono ingeriti unitamente agli amidacei (pane, patate ecc.). La frutta deve essere consumata da sola in unico pasto, associandola se si vuole con altri tipi di frutta di gusto uguale.
Ogni alimento proteico deve essere preso associato a della verdura e basta, senza olio, poiché i grassi ostacolano la digestione delle proteine.
Gli amidacei devono essere ingeriti unitamente alla verdura con olio se si vuole e nulla d'altro.

Occorre evitare che la frutta trovi sul suo cammino cibo indigerito e residui putrefattivi di pasti precedenti e di digestioni prolungate oltremisura, mandando se stessa e il resto in putrefazione, e creando gas e rigonfiamenti intestinali. Se mangi due fette di pane e poi una porzione di frutta, rovini un meccanismo perfetto. La porzione di frutta è pronta per andare direttamente nell’intestino tenue, nel duodeno, ma viene impedita di fare quel percorso e viene trattenuta nello stomaco da quelle fette di pane, per cui l’intero pasto, sia il pane che la frutta, si trasforma in un bolo acido carico di fermentazione, per cui tutto è da considerarsi compromesso e rovinato.



La digestione avviene ad opera di sostanze particolari, chiamate enzimi, che scindono gli alimenti nei loro costituenti fondamentali. Nell’organismo ci sono numerosi enzimi ed ognuno specifico per ogni sostanza.

La frutta può essere divisa in frutta dolce, frutta semiacida e frutta acida.
Frutta acida: ananas, arance, clementine, limoni, mandarini, melagrane, pompelmi, ribes.
Frutta semiacida: albicocche, ciliegie, fragole, mele, pere, pesche, prugne, uva.
Frutta dolce: banane, datteri, fichi, mele dolci, uva dolce.
Melone e anguria.

Possiamo mangiare diversi tipi di frutta insieme rispettando la combinazione: Frutta acida + semiacida; Frutta dolce + semiacida. Evitare invece di mescolare frutta dolce con frutta acida.

Il melone e l’anguria vanno mangiati da soli altrimenti fermentano con grossa facilità dato l’elevato contenuto di glucidi (zuccheri). Ma c’è un lato positivo: impiegano solo 10 minuti per essere digeriti quindi l’ideale è mangiarli prima di iniziare il pasto.

Una buona combinazione è data invece dalla frutta acida con quella oleosa, soprattutto se mangiate prima quella acida. Un buon abbinamento, quindi, sono le arance e le noci. Se vogliamo abbinare la frutta dolce, invece, possiamo preferire della frutta amidacea, come le castagne e le banane.



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sabato 12 agosto 2017

LE GALLETTE DI RISO



Le gallette di riso vengono prodotte a partire da un impasto di riso soffiato e collante alimentare, modellato e poi essiccato.
Il riso soffiato per le gallette è realizzato riscaldando al vapore e in ambienti ad alta pressione i semi del cereale, anche se il metodo può differire in base al prodotto specifico.
La galletta di riso americana (quella diffusa anche in Italia) è rotonda, con un diametro di circa 4-5 pollici. Alcuni produttori ne fanno di minuscole, adatte come snack.
Nel formato commerciale più diffuso, una galletta di riso pesa circa 10g, contiene 8g di carboidrati e fornisce circa 30-40kcal; le gallette di riso possono essere anche da riso integrale, mentre in commercio non mancano gallette preparate dai semi di altri cereali, come il mais.

Estremamente popolari in America Settentrionale e in altri paesi occidentali, le gallette di riso si mangiano come sostitutivo del pane, sia ai pasti principali, sia ai pasti secondari.
Le gallette di riso sono molto utilizzate nella dieta dei bambini e nei regimi alimentari dimagranti, in quanto vengono considerate meno energetiche di qualunque altro derivato dei cereali.

Alcune gallette di riso sono aromatizzate; all'estero, i gusti più comuni sono: di formaggio cheddar bianco, di popcorn al burro, di cioccolato, di miele, di mais al caramello e di mela alla cannella.

Le gallette di riso così come le conosciamo sono uno dei vari prodotti che rientrano nella categoria delle rice cake. Queste, possono essere ricavate da un impasto modellabile a base di farina, chicchi macinati o interi, ma non necessariamente “soffiati”; al contrario, la maggior parte delle rice cake tradizionali costituiscono delle vere e proprie polpettine di riso che, generalmente, vengono cotte al vapore.
Di rice cake ne esistono moltissime tipologie, rientrano in moltissime culture alimentari e sono diffuse prevalentemente in Asia (Cina, Taiwan, Corea, Giappone, India, Indonesia, Filippine e Vietnam).



I Wor Bar (Guoba in lingua mandarina, tradotto "pot's burnt") non sono altro che parti di riso che rimangono attaccate al fondo dei vasi di argilla durante la cottura. Dopo la caramellizzazione, i chicchi si aggregano in un unico pezzo e acquisiscono un leggero sapore di bruciacchiato. Possono essere serviti con il tè, o come parte di un pasto principale accompagnando i sughi di carne.
In Italia, un alimento analogo (piuttosto antico) è costituito dalla polenta che rimane attaccata al paiolo.

Le gallette di riso, a differenza del pane, non contengono lieviti e non causano gonfiore addominale ma hanno un elevato valore glicemico.

Negli ultimi anni le gallette di riso stanno spopolando e sostituendo sempre più il pane, perché si pensa che siano più leggere, facciano bene alla salute e abbiano gusto, anche se in realtà, molti sostengono che “sappiano di polistirolo”.
La tecnica per produrle è la stessa che si usa per produrre la plastica, ossia estrusione, solamente che la materia prima non sono composti chimici da plastificare, bensì chicchi di riso (o altri tipi di cereali e semi). Quest’ultimi, posti nell’estrusore, sono sottoposti ad un’elevata temperatura sui 200 gradi e ad un’enorme pressione: il passaggio nella macchina è rapido e poi il cereale stritolato, viene spinto fuori attraverso minuscoli fori. La differenza di pressione tra l’interno e l’esterno della macchina fa gonfiare il cereale e la galletta è fatta: un composto molto povero di umidità, molto croccante e ricco di aria, alcune insaporite con sale prima della produzione, altre addizionate con aromi.

Questo procedimento però, fa perdere la lisina presente nel cereale (un amminoacido essenziale per l’organismo) e distrugge anche molte sue vitamine, senza dimenticare che a parità di peso, le gallette hanno 370 kcal ogni 100 grammi, quasi il doppio delle calorie del pane integrale. Non sono certo un alimento dimagrante di per sé, quindi, e se le si mangiano sperando di perdere peso, il risultato sarà deludente; di positivo c’è che hanno un elevato potere saziante poichè a parità di volume, danno una sensazione di maggior pienezza rispetto ad un altro alimento nelle stesse quantità, e che a differenza del pane non contengono lievito e non creano quindi, gonfiore addominale.

L’estrusione rende perciò l’amido più digeribile, ma con ciò può avere un alto indice glicemico e quindi è da mangiare moderatamente, e pare anche che formi una sostanza cancerogena, chiamata acrilamide. Fate attenzione quindi all’impatto glicemico che nel caso del riso raffinato risulta piuttosto alto: scegliete delle gallette (e del riso) integrali e abbinate alle gallette delle proteine, in modo da ridurre l’indice glicemico.

E’ quindi consigliabile non abusarne perché gonfiano e danno una sensazione immediata di sazietà che tende a svanire dopo poco tempo.

Spesso le gallette di riso vengono inserite nelle diete dimagranti anche per un discorso di intolleranza al glutine e al lievito, in questi casi esistono molte altre alternative, sicuramente più salutari, come acquistare o meglio ancora prepararsi a casa del pane o delle schiacciatine mischiando tra loro le farine di mais, di riso, di miglio o aggiungendo dei falsi cereali come il grano saraceno o l’amaranto.

Ultima considerazione è l’elevato costo, pari a circa 10 euro al chilo, vale a dire molto di più di una pagnotta di un soffice pane.





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lunedì 7 agosto 2017

L'IMPORTANZA DELL'OLIO DI OLIVA


Olio di Oliva, pane, pasta, legumi, latte e formaggi, frutta, verdure ed ortaggi, pesce e carni alternative sono i cibi più rappresentativi della tradizione alimentare mediterranea, tradizione che anche nei Paesi più industrializzati viene oggi proposta come modello ideale di alimentazione nella dieta mediterranea l'olio d'oliva occupa un posto di primaria importanza perché è la principale fonte di lipidi, l'energia di riserva che serve al nostro corpo per svolgere le funzioni vitali.
Assumere grassi è essenziale per una buona alimentazione, ma bisogno saper selezionare il tipo di grasso migliore per il nostro metabolismo. L'olio d'oliva è composto essenzialmente di acidi grassi monoinsaturi i quali sono estremamente digeribili aiutano a mantenere alto il livello di colesterolo “buono” HDL e riducono gli effetti del colesterolo “cattivo” LDL provengono la occlusione delle arterie.

La dieta mediterranea può definirsi veramente un modello ideale di alimentazione, perché fornisce carboidrati, proteine e grassi rispettivamente sottoforma di - cibi a base di amido, - carni magre e pesce - olio d'oliva cioè con cibi altamente salutari e digeribili, che non appesantiscono l'organismo. L'olio d'oliva in particolare, fornisce grassi nella forma migliore per l'organismo, cioè sottoforma di acidi grassi monoinsaturi.

L’olio d’oliva rispetto ad altri grassi animali o vegetali apporta lipidi in un modo assai più salutare: è composto in gran parte di acidi grassi monoinsaturi, e per questo garantisce una serie di benefici per la salute del nostro corpo - un sostanziale equilibrio tra colesterolo “buono” (quello trasportato dalle lipoproteine HDL, che funziona come “spazzino delle arterie”) e quello “cattivo” (che invece è trasportato dalle lipoproteine LDL). - un apporto di acidi grassi estremamente digeribili - una fonte di vitamine e un aiuto per l’assimilazione delle vitamine contenute negli altri cibi. L’olio d’oliva è inoltre validissimo come grasso di cottura, proprio perché ricco di acidi grassi monoinsaturi che resistono meglio al calore.

Le diete con olio extravergine d’oliva hanno un effetto benefico per il trattamento dell‘insulinoresistenza associata ad obesità addominale fattori che entrano nella patogenesi del diabete di tipo 2 che costituisce una piaga enorme nei paesi industrializzati e un forte fattore di rischio per malattie ischemiche cardiovascolari. L’olio d’oliva è altamente digeribile, contribuisce alla regolare funzionalità gastrica, promuovendo il benessere del fegato, aumentando le secrezioni della bile, regolarizzando la pressione sanguigna e combattendo la stitichezza se consumato a digiuno. L’olio d’oliva proteggerebbe l’organismo dal tumore alla mammella, svolgerebbe un’azione antinvecchiamento, grazie ai polifenoli e alla vitamina E, insieme ai carotenoidi (soprattutto betacarotene), contrastando i radicali liberi, lo stress ossidativo e l’infiammazione. I pediatri consigliano di inserire l’olio d’oliva nello svezzamento sia per la sua digeribilità che per la presenza di acidi grassi essenziali, importanti per la sintesi degli ormoni, per la crescita dell’organismo in genere e del cervello in particolare. L’olio d’oliva contrasta il cancro colon-rettale e rappresenta una cura efficace contro la dermatite seborroica, funziona da Viagra naturale, privo pertanto di controindicazioni, favorendo la circolazione sanguigna se usato nell’alimentazione quotidiana.



Importanti sono anche le sue funzioni cosmetiche: i grassi monoinsaturi presenti nell’olio d’oliva ristabiliscono la composizione del film idrolipidico (protettore della pelle), favorendo il ricambio cellulare dell’epidermide. L’olio d’oliva, apporta nutrimento acidificando la pelle e non aumenta la produzione di sebo. Basta un’impacco di olio d’oliva applicato in testa per 30 minuti o per una notte intera per ridurre la forfora e ridonare lucentezza a capelli sfibrati e secchi. E’ un ottimo idratante per la pelle, rendendola morbida e riparando i tessuti cutanei. L’ideale sarebbe utilizzare creme e bagnoschiuma a base di olio d’oliva intorno ai 30 anni come trattamenti quotidiani. Intorno ai 40 anni, invece, aiuta a rassodare e a ricompattare i tessuti se arricchito con 3-4 gocce di rosmarino, mentre a 50 anni, basta aggiungere qualche sua goccia nelle crema viso- notte per avere un effetto anti-rughe o unirlo alla crema-corpo in modo che possa fungere da anti-smagliature. E’ utile inoltre per sciogliere il cerume. Basta semplicemente mettere qualche goccia di olio d’oliva nelle orecchie, aspettando qualche ora in modo che esso si sciolga, per poi ripulire con carta igienica. Per togliere le tracce di trucco, basta bagnare leggermente un batuffolo o un dischetto struccante con qualche goccia di olio e passarlo sul volto.

Come dimostrato dagli studiosi, non è la quantità di grassi consumata nella dieta, ma è la qualità che fa la differenza. E’ per questo che l’olio di oliva è diventato l’alimento grasso principale della Dieta Mediterranea: i grassi che esso fornisce hanno effetti benefici sull’organismo in quanto controllano il rischio cardiovascolare.
L’olio d’oliva è l’unico degli alimenti grassi che deriva da un frutto, e l’essere ottenuto da un frutto gli conferisce particolari proprietà salutistiche e gastronomiche. L’olio d’oliva, in particolare nella varietà ‘extra-vergine’, è costituito per la maggior parte da una molecola grassa che contiene acido oleico in larga percentuale. Presenta inoltre un rapporto ottimale tra acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi. Queste caratteristiche biochimiche fanno sì che l’olio d’oliva:
• sia ben digeribile;
• inibisca la secrezione acida dello stomaco;
• stimoli la secrezione del pancreas;
• favorisca l’assorbimento del calcio e l’accrescimento delle ossa lunghe.
Infine, i composti detti polifenolici presenti nell’olio d’oliva hanno una spiccata qualità antiossidante: cioè contrastano lo stress ossidativo del corpo umano dovuto ai radicali liberi che provoca invecchiamento e malattie. Questo fa sì, in pratica, che l’olio d’oliva funga da antinfiammatorio e prevenga le malattie cardiovascolari e l’arteriosclerosi.



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domenica 23 luglio 2017

CAFFE' AMARO



Per trarre migliori benefici dal caffè è assolutamente necessario prendere il caffè amaro, ossia senza l'aggiunta di zucchero o altri dolcificanti che ne inficerebbero una serie di proprietà positive, ad iniziare dalle note proprietà termogeniche.
Si tratta di quelle proprietà che permetterebbero di bruciare i grassi più velocemente. Tuttavia, questa caratteristica può essere messa a rischio dallo zucchero del caffè non perché lo zucchero produce grassi, ma perché genera picchi di insulina che attenuano la possibilità del caffè di intervenire con la sua azione termogenica.

Dal punto di vista scientifico, infatti, le sostanze che permettono di accelerare il metabolismo dei grassi e quelle che si liberano con la formazione dell'insulina, entrano in contrasto tra di loro, annullando le une l'azione delle altre.
Per questo motivo, se si intende bere il caffè per trarne effetti benefici e non solo per sorseggiare una bevanda in compagnia, esso deve essere assunto completamente amaro. Non solo: se lo scopo dell'assunzione del proprio caffè è soprattutto quello di bruciare grassi, allora esso non solo dovrebbe essere preso amaro, ma anche in particolari contesti. Ad esempio, per trarre il massimo dei benefici termogenici da questa bevanda, l'assunzione ideale è al mattino, a stomaco vuoto. Inoltre, effettuare un'attività fisica entro un'ora dall'assunzione garantisce la formazione di condizioni metaboliche ed ormonali perfette per accelerare le possibilità di bruciare grassi.
Prendere il caffè amaro, inoltre, è un ottimo stimolante che permette di migliorare la sensazione di vigore e di energia disponibile. Anche in questo caso è necessario sottolineare il ruolo dello zucchero in relazione all'energia. Ancora una volta, l'assunzione di zucchero alza il livello dell'insulina che, oltre a contrastare il metabolismo dei grassi, genera sonnolenza e stanchezza generale che vanno proprio a contrastare gli effetti stimolanti del caffè.
E' quindi errato pensare che aggiungendo zucchero al caffè si può ottenere una sferzata di energia: semmai è il contrario.
Naturalmente, per quanti sono abituati a bere il caffè dolce, può essere difficile eliminare del tutto lo zucchero in un'unica volta. Per questo motivo si consiglia di diminuire la quantità di zucchero un poco alla volta, dando così il tempo al proprio palato, di abituarsi a questo nuovo sapore che, poi, è il vero gusto del caffè.

Chi prende il caffè amaro saprà riconoscere ed apprezzare meglio i diversi aromi, tipici delle differenti miscele o dei diversi processi di torrefazione, potendo quindi imparare a scegliere, anche a seconda delle proprie esigenze di palato, la miscela più idonea al proprio gusto.
Tra l'altro, il caffè amaro permette di mantenere più a lungo il proprio calore, diventando una bevanda perfetta per combattere il freddo e, conservando maggiormente la propria temperatura più calda, permette di poter essere sorseggiato con calma e senza stress.
L'elevato consumo di caffè nelle società occidentali e non solo, ha portato molti scienziati a cercare di comprendere, al di là degli effetti immediati come quelli fino ad ora descritti, se il caffè potesse anche essere caratterizzato da effetti di lunga durata, che ne giustificassero un uso continuativo nel tempo. Gli studi hanno rivelato una serie di interessanti risultati che fanno del caffè amaro non solo una bevanda consigliata, ma in certi casi una vera e propria cura per mitigare il rischio di alcune malattie.
Uno dei primi risultati inerenti le proprietà e i benefici del caffè amaro è quello di poter abbassare il rischio di diabete di tipo II, ossia il diabete che si contrae solitamente da adulti a causa, nella maggior parte dei casi, di una scorretta alimentazione a base di assunzione eccessiva di zuccheri.
Questa malattia è aumentata moltissimo negli ultimi anni, proprio in concomitanza dell'incremento della sedentarietà che, come conseguenza, ha portato ad un aumento dei casi di obesità, sia tra bambini che tra adulti. Una serie di studi condotti sui bevitori di caffè amaro ha portato ad evidenziare che questi hanno una minore incidenza di casi di diabete ossia hanno minore possibilità di diventare diabetici rispetto a quanti non fanno uso di caffè o bevono regolarmente caffè dolce.
Un ulteriore studio condotto per accertare la relazione tra l'assunzione di caffè e la maggiore possibilità di non contrarre il diabete, ha addirittura messo in evidenza, studiando un campione di oltre 400mila persone, che una tazzina al giorno di caffè amaro permette di abbattere la percentuale di rischio di ammalarsi di diabete del 7%.



Lo stimolo mentale che scaturisce dall'assunzione di caffè amaro permette inoltre di abbassare anche il rischio di ammalarsi di Alzheimer. Questa malattia degenerativa rappresenta ad oggi una delle cause maggiori di demenza, soprattutto senile. Anche in questo caso, gli studi condotti da equipe di scienziati di tutto il mondo sono stati condotti su un elevato numero di campioni per i quali è stato stimato che l'uso di caffè permette di abbattere il rischio di Alzheimer fino al 65%.
Ma il caffè amaro sembra avere buoni effetti non solo sull'Alzheimer, ma anche su un'altra importante malattia degenerativa: il Parkinson. Il caffè amaro, e in particolare la caffeina, si sono rivelate un'ottima arma contro il Parkinson ed è stato stimato che chi fa regolare uso di caffè amaro ha il 33% di possibilità in meno di contrarre questa malattia.
Oltre ai risultati positivi che si sono riscontrati nelle malattie di tipo degenerativo, ulteriori studi hanno messo in evidenza che il caffè presenta delle caratteristiche che permettono di migliorare la protezione contro il cancro al fegato. I risultati che sono stati ottenuti da questo particolare tipo di studio hanno messo in evidenza che chi assume due tazzine di caffè amaro al giorno ha il 30% di possibilità in più di non contrarre un tumore al fegato, anche se già caratterizzato da precedenti patologie relative a questo organo.
E il tumore non è l'unico problema del quale il caffè sembra una buona soluzione. Anche il rischio cirrosi epatica, infatti, è più bassa nei regolari bevitori di caffè. Anche se non è ben chiaro quali siano i meccanismi e le molecole del caffè che entrano in gioco nel contrastare la cirrosi, gli studi condotti in questo senso hanno potuto evidenziare che l'assunzione di caffè ha un'elevata incidenza sull'abbassamento della possibilità di ammalarsi di cirrosi al fegato: con quattro tazzine al giorno, infatti, si può ridurre il rischio di contrarre la cirrosi epatica fino all'80%.
Un altro punto a favore del caffè è legato alle malattie cardiovascolari, tra le principali cause di morte nelle nazioni Occidentali. Anche se i primi studi sul caffè sembravano accusare questa bevanda di essere causa di incremento di malattie cardiovascolari, le nuove ricerche sembrano, invece, dimostrare il contrario. Così come hanno dimostrato il contrario i recenti studi che hanno rivalutato la relazione tra assunzione di caffè ed ictus.
Le cause per cui il caffè amaro risulta prevenire e non favorire queste due malattie sono da ricercare soprattutto nell'elevata presenza di antiossidanti che questa bevanda contiene. Infatti esso rappresenta uno degli alimenti della dieta Occidentale più ricchi di antiossidanti, presenti in quantitativi maggiori rispetto alle tanto apprezzate frutta e verdura.

Tra i vari studi dell’Università di Innsbruck c'è ne uno che riguarda la “bevanda nera” amata da molti. Chi lo beve infatti senza zucchero e quindi amaro potrebbe essere un narcisista o addirittura uno psicopatico.

Il numero di amanti del caffé preso a campione non è elevatissimo. Si parla di oltre 1000 persone sulle quali gli studiosi hanno approfondito la ricerca. Certamente, vista la popolazione che ne fa uso, non una quantità destinata a portare dubbi negli abitanti che lo amano zuccherato ma certamente una piccola porzione che, alla fine, hanno dato risposte davvero inaspettate.

L’università di Innsbruck spiega, al termine dei vari studi effettuati, quindi che: “forniscono la prova empirica che la preferenza per un gusto amaro è legata a tratti delle personalità malevoli, ambigui e con scarsa empatia verso il prossimo”.

Sull’argomeno caffé amaro o caffé zuccherato molti sono intervenuti dando la propria spiegazione sull’utilizzo migliore della prima o della seconda soluzione. C’è chi dice che lo zucchero elimini il sapore e il gusto della bevanda colorata di nera e che quindi sia meglio berlo amaro per assaporarne maggiormente le capacità e chi invece pensi che non cambi il gusto anche aggiungendovi lo zuccero o un qualsiasi altro dolcificante.

Alcuni studi in tal senso hanno determinato come il caffè sia un piacere e vada bevuto come meglio si crede, va vissuto per far piacere a se stessi e quindi, essendo versatile, lo si può fare in svariate maniere (con la panna, con il latte, insieme ad altri elementi come alcoolici oppure cacao, ad esempio).

Di fatto lo zucchero non nasconde affatto, secondo altri studiosi, il gusto del caffé manentendone inalterate le caratteristiche. Resta il fatto che bere il caffé sia un fatto personale e che ognuno possa gradirlo come meglio crede.

Magari lo studio austriaco accentuerà la paura che, davanti ad una persona che lo prende amaro, ci si possa imbattere in un psicopatico o in un narcisista ma alla fine anche questi studi vanno presi non completamnete alla lettera perché, nel mondo, persone che amano il caffé al naturale sono moltissime e non sempre queste hanno problematiche così gravi.




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giovedì 20 aprile 2017

LA NUTRIA



Le nutrie vengono mangiate da sempre in Sudamerica. La loro carne è infatti reputata talmente prelibata che la si associa spesso a quella di lepre e coniglio, tanto da spingere alcuni ad allevarle e commercializzarle.
Nella Germania in crisi dopo il primo conflitto mondiale era presente sulla tavola delle popolazioni rurali, tant’è che ancora oggi la carne di nutria è venduta nel centro Europa.

Pure l’Italia, in passato, non è stata estranea a questa discutibile pratica alimentare. Importata negli anni ’20 per allevarla e ricavarne materiale per pellicce, dell’animale che vive lungo le sponde e gli argini dei corsi d’acqua si sono cibati un po’ tutti durante il secondo conflitto mondiale.
Crollato successivamente il mercato delle pellicce, molti esemplari vennero poi rilasciati in natura, dove si sono riprodotti a velocità record causando (per alcuni) consistenti danni alla vegetazione.

Ultimamente se ne parla soprattutto in quanto specie alloctona: si pone il problema della sua gestione visto che, riproducendosi a tassi molto elevati, è in grado di modificare in maniera consistente gli equilibri degli ecosistemi e provoca anche danni ingenti alle coltivazioni agricole

In Germania e in Francia oggi la carne della nutria è commercializzata e infatti la normativa europea prevede un iter preciso per far sì che le carni arrivino al dettaglio con tutte le tutele sanitarie del caso. A proposito di questo in Italia esiste un grande pregiudizio, ha spiegato il dottor Ferri: la nutria è infatti assimilata, per il suo aspetto, ad un grande topo, e a questo si associa l’impressione che sia un possibile vettore di malattie pericolose per l’uomo.

In realtà, spiega il dottor Ferri, “le cose non stanno così in quanto i tanti studi epidemiologici e monitoraggi sanitari nell’area di origine della specie e nelle area di espansione, anche in Italia, illustrano una situazione che è analoga in tutte altre specie per il consumo umano che sono gestite in tutta sicurezza, grazie a norme precise a tutela dei consumatori. Pertanto da questo punto di vista si tratta di animali normalmente gestibili in una filiera di lavorazione per il consumo umano come la selvaggina minuta.” “Ricordo”, continua Ferri, “che nei paesi d’origine la nutria è considerata una specie dalla carne pregiata. La FAO la considera fra le specie più adatte per l’allevamento a scopo di integrazione alimentare delle famiglie rurali dei paesi poveri. Va detto anche che oggi in Italia la nutria viene abbattuta e poi smaltita da ditte specializzate nella distruzione delle carcasse animali con produzione di emissioni.” Per la destinazione alla lavorazione e al consumo, gli attuali piani di controllo dovrebbero essere integrati dislocando sul territorio delle celle frigorifere di sosta per l’invio successivo alla lavorazione. Inoltre il personale dovrebbe essere adeguatamente formato sulle misure adatte per garantire la sicurezza alimentare.



La possibilità di aprire una filiera del consumo di questo animale potrebbe rappresentare un modo conveniente per gestire la presenza di questa specie alloctona nel nostro paese aprendo di pari passo un’interessante prospettiva economica a fronte di una riduzione o annullamento delle spese di smaltimento, ha spiegato Ferri. Tanto più che secondo il veterinario ci sarebbe la possibilità che il consumo delle nutrie avvenga già in alcuni casi, ma per vie non legali. Dunque prima che il consumo di carne di nutria passi per vie non monitorate, sarebbe possibile cominciare a discutere negli ambiti opportuni della possibilità della messa in commercio delle carni di questo animale, già possibile per le norme vigente. Inoltre una quota di popolazione rappresentata da cittadini di origine sudamericana, sarebbe già un potenziale consumatore di questo tipo di prodotto. Ma non si esclude, secondo Ferri, che anche gli Italiani possano essere curiosi di assaggiare una carne simile a quella di altri roditori, come coniglio e lepre.

Con due Circolari, la n. 17 del 20 gennaio 1959 e la n. 144 del dicembre 1959, l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità Pubblica presso il Ministero degli Interni (il Ministero della Sanità non era ancora stato istituito) liberalizzò l’utilizzo delle carni di castorino, a patto che le stesse fossero «sottoposte a vigilanza veterinaria, messe in vendita ad animale intero e individuate con apposito bollino a cura dell’allevatore».

La nutria è un roditore prettamente vegetariano con una dieta che si basa su piante acquatiche, varie erbe, radici, tuberi e frutta. Ne sanno qualcosa gli agricoltori che ogni anno devono fare i conti con i danni arrecati alle coltivazioni. Proprio la sua dieta, ne fa un animale dalle carni con contenuti nutrizionali molto buoni. È assimilabile o migliore di tacchino, pollo e manzo in termini di contenuti di proteine (22.1%), di bassa percentuale di grasso (1.5%) e colesterolo. La carne rossa è molto magra e assomiglia a quella del coniglio, con un gusto accomunabile a quello del tacchino.
Lo stato della Louisiana, nel sud degli Usa, attraverso il proprio dipartimento della fauna selvatica e della pesca ne fa una raccolta per lanciare il consumo di questa carne.

La  ricetta più semplice è quella di cucinarla in umido. Si toglie la pelle della nutria, poi la si disossa e la sua carne tagliata a spezzatino.I tranci vanno posti in una terrina e ricoperti completamente con una marinatura cruda di verdure, erbe aromatiche, aceto e vino bianco per almeno dodici ore. In una padella si mette poi olio e cipolla con sedano e carota, si fa soffriggere, si mette la carne con sale, peperoncino e spezie varie a piacimento, si aggiungono i pomodori e si lascia cucinare a fuoco lento. Né più né meno come un coniglio. Un'altra ricetta aggiunge peperoni verdi e rossi e fagioli rossi. E se negli Usa si trova anche nei supermercati, da noi ci vuole un bel coraggio ed uno stomaco di ferro per provarla.



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QUINOA ROSSA



La quinoa, Chenopodium quinoa, definita dagli Inca la “madre di tutti semi” e pianta sacra era già coltivata da diversi secoli avanti Cristo sugli altipiani delle Ande. Per la civiltà Inca e per gli Atzechi, la quinoa era l’alimento principale, grazie al suo alto valore nutritivo. Essa racchiude in sé molte proprietà utili all’organismo umano.

I maggiori produttori ed esportatori di quinoa sono ancora oggi i territori del sud America, la Bolivia, il Perù, l’Ecuador, anche se parte della produzione arriva dall’Africa e dall’Europa. Si possono contare oltre 200 tipi di quinoa, che variano in base alle zone di coltivazione e al colore del seme, che può essere rosso, giallo o nero. Questa differenza estetica non coinvolge le sue proprietà nutritive, che restano di alta qualità in tutte le specie. La quinoa è una pianta erbacea annuale, appartiene alla stessa famiglia delle barbabietole e degli spinaci e non è una graminacea, anche se viene spesso definita pseudocereale, poiché si cucina e si utilizza nello stesso modo dei cereali. La quinoa in alcuni terreni cresce spontaneamente e in altri si coltiva con successo, senza necessità di trattamenti, sia in zone a livello del mare sia in aree montuose, fino a 4000 metri di altitudine, con diversi tipi di climi e di terreni, anche aridi. La pianta ha steli che possono arrivare anche fino a tre metri di altezza, ricchi di semi tondeggianti. La tipologia di quinoa dal seme rosso, in particolare, si distingue dalle altre per il suo alto contenuto di fibra, un sapore che ricorda quello della noce e una consistenza che rimane più croccante dopo la cottura.

Per quanto riguarda le caratteristiche nutrizionali, 100 g di Chenopodium quinoa (il suo nome tra gli esperti) contengono circa 64g di carboidrati, di cui 52g di amido. Per questo viene erroneamente considerata un cereale alternativo, ma in realtà è un pseudo-cereale, non appartenendo alla famiglia delle graminacee. É molto adatta ai chi soffre di celiachia, per l’assenza di glutine. Inoltre, è ricca di proteine (ben 14g) e di lisina, un aminoacido essenziale per la nostra alimentazione. Contiene circa 6g di grassi, soprattutto polinsaturi e 7g di fibra, fondamentale per il buon funzionamento intestinale. Infine, fornisce minerali importanti come fosforo, potassio, magnesio, ferro e zinco. L’apporto calorico è di 368 kcal ogni 100 g.



La quinoa rossa cuoce in circa 40 minuti e ottima per le insalate e in abbinamento ad altre preparazioni.

Negli anni però, o forse sarebbe meglio dire nei secoli, la quinoa è stata quasi completamente dimenticata, ed è stata recuperata soltanto di recente quando, studiando l’alimentazione delle popolazioni storicamente consumatrici di quinoa rossa, si è capito che questo pseudocereale potesse in qualche modo apportare straordinari nutrienti e benefici per l’organismo. Per questo motivo la sua importanza è andata via via crescendo essendo appunto un ingrediente straordinario che può essere impiegato in un gran numero di ricette e può fare bene praticamente a tutti, anche a coloro che seguono una dieta già di per sé equilibrata e salutare.

Si tratta di un alimento estremamente nutriente, molto saziante e che a dispetto della preponderanza dei carboidrati può essere considerato anche equilibrato. L’apporto calorico è importante (100 grammi contengono circa 350 kcal) e si posiziona all’interno di quella fascia che è propria dei cereali, anche se, come abbiamo ribadito in apertura, questo ingrediente non è assolutamente un cereale.

A rendere questo alimento ancora più interessante per chi sta seguendo una dieta o vorrebbe comunque recuperare un buono stato di salute, troviamo le fibre. Sono presenti in quantità interessanti (circa 6 grammi per 100 di prodotto secco) e sono di fondamentale importanza soprattutto per chi sta seguendo una dieta particolarmente restrittiva. Le fibre alimentari infatti non vengono digerite dagli esseri umani, ma raccogliendo liquidi si gonfiano e permettono di avere feci più consistenti e più soffici.

La quinoa rossa può essere cucinata in mille modi, anche se il fatto che è molto resistente alle cotture la rende perfetta per:

le insalate fredde: si può far cuocere a lungo e poi condire con verdure fresche, verdure cotte, mais e anche qualche affettato magro. Ottima, in questa circostanza, anche con feta e le olive;
i risotti: dato che è capace di resistere alle cotture lunghe, si può utilizzare anche per avere dei risotti particolarmente al dente. In questo caso si può utilizzare come perfetto sostituto del riso o del farro, senza alcun tipo di problema;
bollita, per accompagnare altri piatti: cucinare un po’ di carne e mettere la quinoa al posto del pane è un ottimo modo per aumentare il senso di sazietà senza andare ad aggiungere molte altre calorie.


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martedì 18 aprile 2017

I PASTI PRINCIPALI



Un famoso detto recita “Consuma una colazione da re, un pranzo da principe e una cena da povero” non a caso, i proverbi hanno sempre ragione, infatti anche oggi tutti i nutrizionisti sottolineano l’importanza di iniziare la giornata con una colazione completa, che sia in grado di ristorarci dopo il digiuno notturno e ci dia l’energia necessaria per iniziare la giornata. Questo ci permette non solo di arrivare al pranzo non eccessivamente affamati portandoci a mangiare in maniera eccessiva e disordinata ma anche di evitare a metà mattina di infilarci in un bar e consumare brioche e dolciumi ipercalorici, cappuccini…portandoci inevitabilmente ad ingrassare. Malgrado ciò, una grossa percentuale di italiani salta questo appuntamento quotidiano, mentre altri si affidano a scelte e combinazioni alimentari spesso sbagliate.

Per una dieta corretta è necessario rispettare i ritmi biologici del nostro organismo. La scelta degli alimenti, quindi, dovrebbe infatti essere finalizzata alle reali necessità fisiologiche. Il nostro organismo è regolato naturalmente, nelle sue funzioni biologiche e metaboliche.

Nelle 24 ore, attraverso il ritmo circadiano, vengono regolati molti fenomeni dell’organismo come il ritmo cardiaco, le secrezioni ormonali, la pressione sanguigna e l’escrezione renale. Il corretto equilibrio dei ritmi circadiani è direttamente  condizionato da ciò che si mangia e dall’ora nella quale vengono ingeriti i cibi.

Il consiglio di distribuire il cibo nella prima parte della giornata, riassunto efficacemente dall’aforisma, trova conferma in alcune ricerche che hanno documentato un maggior consumo energetico nelle ore del mattino fino ad un minimo nel corso della notte.

Il nostro metabolismo, ovvero l’energia indispensabile al corpo per mantenere in funzione le nostre attività basilari come respirare, dormire, mangiare, digerire ecc, ha la sua massima funzionalità al mattino e tende a ridursi nel corso della giornata fino ad arrivare alla sua minima “carica”, che si verifica intorno alle 18. Questo è dovuto principalmente all’intervento di due ormoni: il Cortisolo e l’Insulina. Entrambi, vengono sintetizzati proprio alle prime ore del mattino in gran misura, per poi scemare a poco a poco, fino al loro picco minimo di produzione che si registra infatti verso le 18.

La Colazione dovrebbe essere il pasto più abbondante della giornata e dovrebbe essere composta da una fonte di Carboidrati a cui aggiungere una fonte proteica: cereali integrali o pane integrale a lievitazione naturale, marmellata senza zucchero o miele, accompagnati da frutta fresca (anche secca come qualche noce o mandorla, per l’apporto proteico); yogurt vegetale (di soia). Per gli amanti delle colazioni salate si possono aggiungere una fetta di fesa di tacchino o un uovo. Da bere ottimo il tè (verde specialmente), il caffè anche d’orzo, gli infusi e le spremute di frutta, il latte vegetale (riso, avena, soya, mandorle, ecc.).

L’Italia e la Francia sono fra i pochi paesi al mondo, dove al mattino si consumano prevalentemente carboidrati. La maggior parte delle altre culture, invece, preferisce uova, carne e pesce, assicurandosi la giusta quantità di energie per tutta la giornata. Al contrario, la brioche contiene in prevalenza zucchero raffinato, farina bianca e grassi idrogenati. Il tutto causa un aumento vertiginoso della glicemia e come reazione una produzione massiccia di insulina. L’insulina abbassa gli zuccheri molto rapidamente (ipoglicemia reattiva) e quindi, dopo un paio d’ore, l’energia è già consumata. Si cerca allora altro zucchero, con il caffè delle 10 e la merendina, alimentando un vero e proprio circolo vizioso. Se a colazione ovvero alla mattina, quando il nostro metabolismo e la sintesi degli ormoni (Cortisolo e Insulina) sono alla massima produzione, non forniamo al corpo un corretto e generoso “carburante” per far fronte a tutte le azioni che svolgeremo nel corso della giornata, l’organismo sarà costretto ad attingere dai nostri muscoli la quota proteica di cui necessita e preleverà dal fegato il glucosio immagazzinato (cioè il glicogeno. Il tutto al fine per ottenere zuccheri disponibili, ovvero energia pronta. Rinunciare al cappuccio, biscotti e brioche e preparare una ricca colazione come sopradescritto è fondamentale ed il corpo lo richiede. Se si pensa di perdere peso, tralasciando la colazione, è un grosso errore; al contrario, è il modo migliore per ingrassare, come documentano le ricerche scientifiche a causa della mancata attivazione metabolica.



A metà  mattinata è buona norma assumere uno spuntino a base esclusivamente  di frutta.

A pranzo si possono assumere  carboidrati abbinati sempre ad una fonte proteica (uova, pesce, carne, formaggio) e  a verdure sia cotte che crude Queste ultime è preferibile consumarle prima del pasto.

Un pranzo così impostato consente di dare al corpo una buona dose di energia sino al pomeriggio inoltrato, momento in cui sarebbe nuovamente consigliabile assumere uno spuntino come quello indicato per la metà mattina, sempre se si sente il bisogno,  finalizzato a non costringere mai l’organismo ad attingere dalle proprie riserve.

La cena è invece costituita prevalentemente da proteine di prima qualità e verdure  in moderate quantità.

Al contrario, un pasto ricco di carboidrati a cena interferirebbe con le normali funzioni fisiologiche, riducendo il recupero muscolare e disturbando il riposo notturno.

La giornata nutrizionale organizzata secondo la biochimica e la fisiologia del nostro organismo, non permette di giungere a cena affamati. Questo è il momento in cui il metabolismo è ai minimi termini; ecco perchè mangiando tanto di sera, soprattutto carboidrati, avremo un eccesso di zuccheri che non verranno adeguatamente tenuti sotto controllo dall’azione dell’insulina, perchè concentrazione in queste ore è bassissima, con la conseguenza di un accumulo di grassi.



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mercoledì 12 aprile 2017

LA COLAZIONE



Al risveglio, il metabolismo ha bisogno di una sferzata di energia per riattivarsi e svegliare, così, l'intero organismo. La colazione diventa quindi il pasto più importante della giornata e, se proprio non può essere principesca, che almeno sia calibrata secondo le esigenze soggettive e la routine quotidiana.

Fornire al corpo la giusta energia, al mattino, è fondamentale per nutrire anche il cervello e rendere sia nello sport sia nelle attività intellettive come studio e lavoro. Inoltre, trovare la colazione giusta e ideale fa sì che anche l'umore sia al top sin dalle prime ore della giornata.

In linea generale, la colazione ottimale dovrebbe prevedere carboidrati, proteine e grassi in combinazione equilibrata o calibrata sull'attività fisica. Da non dimenticare, poi, che le calorie assunte (circa il 25% del fabbisogno giornaliero) dovrebbero essere piene (nutrienti e vitamine) e non vuote (zuccheri semplici).

Qualsiasi sia la giornata che ci aspetta, la prima buona e salutare abitudine del mattino (e lo consigliavano anche le nostre nonne) è bere un bicchiere di acqua tiepida (o a temperatura ambiente) con limone spremuto al momento.

Questa bevanda, all'apparenza semplice, è in realtà un concentrato di vitamine e benessere. I benefici del bicchiere di acqua e limone si notano sia a livello di intestino sia sulla pelle. Quest'ultima, infatti, dopo pochi giorni di trattamento appare visibilmente più luminosa e purificata e l'intestino, invece, riacquista la sua regolarità.

Inoltre, non dimentichiamo il ruolo della vitamina C sul sistema immunitario nonché quello degli agrumi sullo smaltimento dei grassi corporei. Insomma, per fare il pieno di salute e bellezza basta davvero poco.

Il primo mito da sfatare fa tremare dalle fondamenta un caposaldo della tradizione italiana: la colazione al bar, una delle più diffuse nel nostro bel paese, non è una colazione che si può proprio definire salutare.
Il classico cornetto e cappuccino, oltre ad essere spesso ingurgitato in tempi record, è un pasto poco equilibrato, con basso potere saziante e decisamente troppo calorico: pensate che con un cornetto non farcito e un cappuccino è facile raggiungere 500 Kcal, per lo più provenienti da grassi saturi e zuccheri semplici; tutto ciò per trovarsi a distanza di poco tempo di nuovo con una fame da lupi, quindi favorendo un introito di calorie eccessivo a pranzo o al momento dello spuntino. È facile capire che questo vada a discapito della linea e del benessere. Ma peggio ancora della colazione al bar è saltarla.
Saltare la colazione fa male perché:
- l'organismo soffre una mancanza di energia;
- il metabolismo rallenta;
- aumenta il senso di fame durante la giornata.

Una recente ricerca americana dell'Università del Minnesota condotta su un campione di 2000 persone in età attiva e tenute sotto osservazione per 5 anni, è giunta alla conclusione che il gruppo dei rinunciatari della prima colazione (il 25% del campione, tra cui soprattutto ragazze che speravano così di non ingrassare) di fatto alla fine dell'esperimento ha visto uno spostamento verso l'alto dell'ago della bilancia, calcolato in un aumento medio di 2-3 chili in più rispetto a coloro che invece hanno continuato o cominciato a iniziare la giornata con un tête-a-tête con il cibo.

Questo perché mangiare dopo il risveglio, e quindi dopo un periodo di digiuno, fornisce all'organismo le energie necessarie per essere più attivo ed efficiente, cosa che invece non succede a chi affronta le incombenze della giornata con la pancia vuota; e inoltre, la prima colazione stimola il metabolismo e fa sì che non si arrivi troppo affamati al pasto successivo, né che durante la mattina si cada nella tentazione di colmare il "buco nello stomaco" con ogni genere di snack.



Una buona colazione deve iniziare, in tutte le stagioni, con la spremuta di arance: meglio prepararla in casa con uno spremiagrumi perché le spremute confezionate sono povere di vitamine e ricche di conservanti. La spremuta non va filtrata, lasciando che nel bicchiere finisca anche parte della polpa che è ricca di fibre e quindi stimola il senso di sazietà e aiuta il lavoro dell'intestino. Vietato anche aggiungere lo zucchero, che neutralizza i principi attivi delle arance: se la spremuta risulta troppo acida, basta stemperarla con un po' di acqua.

Buona norma introdurre lo yogurt al posto del latte (è più digeribile e non rischia di restare sullo stomaco), optando per quello naturale e non zuccherato, al quale aggiungere un mix di frutta di stagione tagliata al momento, preziosa per stimolare anche l'intestino più pigro.

È importante poi non trascurare i carboidrati, che essendo una fonte di energia permettono di avere un buon rendimento nella prima fase della giornata. Allora, allo yogurt (o al latte di riso o soia) si può abbinare un cucchiaio di fiocchi di riso, muesli o di cereali integrali, facendo attenzione a non esagerare con le dosi e resistendo alla tentazione di prendere le versioni più golose e arricchite con frutta secca o cioccolato.

Non devono mancare due fette biscottate integrali o ai cereali o una fetta di pane integrale (meglio ancora se ricco di semi e molto consistente), ricoprendoli a piacere con un velo di marmellata o di miele. E perché no, anche con un po' di ricotta: a fronte di un basso contenuto calorico, la ricotta di latte vaccino fornisce una dose elevata di proteine sazianti.

Al posto del caffè espresso, che in molti casi crea acidità, si può optare per quello all'americana, preparando la bevanda con la classica moka e allungandola con un po' di acqua calda.

Oppure si può alternare il caffè con il tè verde o un tè alla menta: gli infusi sono benefici per la circolazione, sono meno "eccitanti" del caffè e garantiscono anche un'azione disintossicante e drenante. L'acqua calda, inoltre, stimola la peristalsi intestinale.

Il pane con una fetta di bresaola, alternativa più salutare e meno calorica rispetto al bacon fritto o alle salsicce che compaiono sulle tavole inglesi e tedesche. L' uovo di prima mattina va bene, a patto di non esagerare con la frequenza (meglio ad esempio mangiarlo a colazione in previsione di un pranzo di metà giornata povero di proteine) e optando per cotture light: si possono preparare le uova strapazzate ricorrendo al forno a microonde oppure si opta per l'uovo alla coque, in assoluto il più leggero da digerire.

Per chi non sa rinunciare alla classica colazione italiana, alla quale tanti siamo abituati fin da bambini, l'importante è fare attenzione ai prodotti che si scelgono; se amate l'idea di inzuppare un fragrante biscotto nel latte, quindi assicuratevi di scegliere biscotti che abbiano un ridotto apporto calorico e valori nutrizionali bilanciati: molti biscotti industriali disponibili in supermercato, infatti, contengono ingredienti poco salutari (ad esempio, l'olio di palma), hanno valori nutrizionali poco equilibrati, con prevalenza di zuccheri semplici e grassi. I biscotti dietetici invece sono spesso degli ottimi prodotti ben bilanciati nel loro apporto fra carboidrati, proteine e grassi; l'uso di farine integrali non raffinate, e il maggior contenuto di fibre, rendono i biscotti dietetici più adatti ad una colazione perfetta e salutare, sia che si stia seguendo una dieta dimagrante, sia che si tenga alla propria forma e al proprio benessere.
La crusca d'avena è un altro ottimo prodotto, grazie al suo sapore naturalmente dolce, al suo alto potere saziante, all'alto contenuto di beta-glucani e al suo potere di assorbire fino al 10% delle calorie ingerite, tutto senza innalzare l'indice glicemico.



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giovedì 9 marzo 2017

IGIENE E SUSHI



Il sushi rappresenta il cibo perfetto, teoricamente non fa ingrassare, è decisamente chic nella forma con cui viene servito e i ristoranti giapponesi, solitamente, hanno un arredamento minimal-chic.

E' pressoché impossibile spendere meno di 40€ a testa mangiando decentemente; ma da un po' di tempo una nuova formula ha fatto il capolinea in alcuni ristoranti giapponesi un po' più cheap: All you can eat  mangi quello che vuoi e senza limiti ad un prezzo fisso.

Sushi, sashimi, tartare di tonno sono una tentazione irresistibile, sempre più di moda nei happy hour italiani e nei ristoranti giapponesi, ormai molto affollati. L'aumento di consumo di pesce crudo è la tendenza gastronomica del momento, anche tra i più giovani.

Il pesce crudo può essere contaminato da diversi microrganismi, che provocano infezioni gastrointestinalii, causate non solo da Escherichia coli o Salmonella, ma anche dai più pericolosi Anisakis o Opisthorchis, diffuse fino a poco tempo fa solo in alcune aree geografiche.

L'Anisakiasi è provocata dall'ingestione di pesce poco cotto o crudo contaminato dalle larve di un parassita, l'Anisakis simplex, che può infestare diversi pesci, come sardine, aringhe, acciughe, sgombri, totani e calamari, tonno, salmone, merluzzo, nasello. Una volta ingerita, la larva (un vermicello filiforme, visibile anche a occhio nudo, lattiginoso e lungo 1-2 cm) spesso muore e non provoca sintomi, ma in altri casi può manifestarsi con forme cliniche sistemiche o gastrointestinali. Le prime determinano sintomi allergici di varia gravità, che spaziano dall'orticaria, all'angioedema, fino allo shock anafilattico e sono causate da una reazione allergica verso le proteine del parassita. Altrettanto gravi le forme gastrointestinali: sono dovute alla formazione di granulomi della parete gastrointestinale, causate da una reazione alle larve del parassita.

Le forme croniche possono simulare diverse malattie infiammatorie e ulcerose del tratto intestinale, oppure coinvolgere altri organi, come fegato, milza o pancreas. In casi più rari le larve possono perforare la parete dell'intestino e causare un addome acuto, che simula un'appendicite acuta o un'ileite terminale. La cura dell'Anisakis richiede molto spesso nei casi più gravi l'intervento chirurgico, per asportare la parte dell'intestino invasa dai parassiti.

L'Opistorchiasi è invece una parassitosi causata dall'Opisthorchis, un verme piatto lungo circa 8-10 mm.L’uomo, ospite definitivo, si infetta mangiando pesci di acqua dolce crudi o poco cotti, contenenti le larve incistate. I sintomi, dovuti ai danni al fegato e alle vie biliari, sono più sfumati rispetto all'anisakiasi, con febbre, mal di testa, nausea, diarrea, dolori addominali, dolore e aumento di volume del fegato, perdita dell'appetito, possibile ittero, pancreatite, colangite. Di fronte a questa sintomatologia è quindi importante chiedere sempre se è stato consumato pesce crudo o trattato con marinatura o affumicatura, che non prevedono la cottura delle carni.



Esiste una normativa europea (CE 853/2004) in tema di sicurezza alimentare, che obbliga produttori e negozianti a congelare tutto il pesce commercializzato (quindi anche il crudo) a -20 gradi per almeno 24 ore e che deve essere estesa anche ai prodotti che subiscono un'affumicatura, come aringhe, salmone e sgombri. Una circolare (4379P del 17-02-11), emanata di recente dal Ministero della Salute stabilisce inoltre che i prodotti della pesca destinati al consumo crudo o praticamente crudo e che hanno subito il trattamento di bonifica preventiva attraverso il congelamento a -20° C per almeno 24 ore, debbano essere accompagnati da una certificazione del produttore. Se la normativa viene rispettata non si corrono rischi.

Questo trattamento assicura così come la cottura per almeno dieci minuti a 60° la completa disattivazione delle larve, mentre la marinatura con aceto, limone, la salagione, l'affumicatura non bastano a distruggere le larve di Anisakis, molto resistenti agli acidi (aceto, limone e acido cloridrico dello stomaco). Per il consumo di pesce da lago, più resistente al congelamento dell'Opisthorchis, la congelazione dovrebbe essere prolungata invece per una settimana.

Quando si va al ristorante per gustare sushi e sashimi, bisogna assicurarsi che questo venga preventivamente sottoposto a trattamento termico adeguato ed evitare alcuni ristoranti cinesi "travestiti" da giapponesi, poco attenti all'igiene e all'adesione alle norme.

Con l'aiuto di un esperto "sushi man", una trasmissione televisiva ha fatto il giro di alcuni ristoranti a Milano per valutare la qualità del cibo che viene offerto. A questo primo impatto visivo, olfattivo, gustativo e tattile, è seguita poi l'analisi in laboratorio di alcuni campioni di pesce prelevati all'interno di otto ristoranti: in cinque di questi è stata riscontrata un'elevata presenza di batteri all'interno del pesce, dall'escherichia coli allo stafilococco.

Secondo questo esame, se nel sushi di prestigiosi e rinomati ristoranti giapponesi il valore di riferimento dei batteri si colloca a 100, nei campioni dei cinque “all you can eat” risultati negativi, i parametri arrivano fino a 860.000. In altri due casi è stata rilevata la presenza di istamina, una sostanza che può provocare addirittura il soffocamento in individui particolarmente allergici.

Da tempo ormai i ristoranti "all you can eat" a prezzi stracciati hanno fatto la comparsa nelle nostre città. La maggior parte di questi serve cibo giapponese.

Come capita nella maggior parte delle occasioni, l’idea di poter entrare in un ristorante e mangiare tutto quello che si vuole pagando sempre la stessa cifra non poteva che provenire dagli Stati Uniti. Precursori di una tendenza popolare e di sicuro successo, gli americani sono stati i primi a sperimentare la formula cosiddetta “all you can eat“.

Il meccanismo è molto semplice e, fin da subito, destinato ad avere un riscontro più che positivo fra la gente. Si entra, si paga un prezzo fisso e si ha libero accesso al ricco buffet, dal quale ci si può servire fin quando si ce la fa. Si, perché con questa formula non si ha bisogno di menu e camerieri, ma basta scorrere i lunghi tavoli da buffet scegliendo quello che più piace e quante volte si vuole.

Questa tendenza nel mondo della ristorazione ha, ovviamente, preso lentamente piede anche in Italia, dove i primi a sperimentarla sono stati i ristoranti giapponesi e cinesi. Pagando una quota fissa che varia solitamente fra i 10 e i 20 euro, infatti, si avrà solo l’imbarazzo della scelta fra i ravioli al vapore, il pesce grigliato, il sushi o l’insalata di mare.

Non è raro che in questi ristoranti il cuoco sia ben visibile ai clienti che, anzi, possono porgergli il proprio piatto per fargli cuocere il pesce, la carne o le verdure crude precedentemente scelte dal buffet. In altri casi, invece, il cuoco prepara a vista i piatti ordinati facendoli scorrere, poi, su disco rotante da cui i commensali potranno gustarli.

I ristoranti giapponesi, cinesi, brasiliani ma anche mongoli e messicani sono stati i primi ad adeguarsi alla nuova tendenza anche se, man mano, ristoranti italiani e pizzerie hanno seguito l’esempio. Sulla scia del tipico happy hour del tardo pomeriggio organizzato da pub e lounge bar, infatti, i ristoranti più alla mano offrono l'”all you can eat”.

In pizzeria, questa formula americana ha assunto una connotazione e un nome tutto italiano e non è raro, perciò, doverla individuare sotto il nome di giro pizza. Ovviamente, per evitare costosi e inutili sprechi di cibo, i ristoratori impongono quasi sempre un’unica regola: finire completamente quello che si ha nel piatto prima di rituffarsi nel goloso buffet proposto.

Solitamente le bevande sono escluse dal prezzo fisso stabilito e in alcuni casi si può scegliere solo tra i piatti proposti dal locale. Quando si è alla ricerca di un buon “all you can eat”, infatti, è necessario verificare che il buffet proposto sia ricco e vario ma, soprattutto, preparato con alimenti freschi e sicuri.




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giovedì 2 marzo 2017

DOLCI DI CARNEVALE



In Italia durante il Carnevale le tavole di ogni regione si colorano di deliziosi piatti e gustosi dolci: chiacchiere, sfrappole, cicerchiata e castagnole.

I Papos De Anjo sono dolcetti a base di mandorle e ricoperti da sciroppo di zucchero appartengono alla tradizione carnevalesca brasiliana. Tuttavia, pare che l’origine di questa prelibata ricetta provenga dal Portogallo: secondo la leggenda i Papos de Anjo, letteralmente pancine degli Angeli sarebbero nati dalle mani di alcune suore di clausura portoghesi tra il XIII e il XIV secolo.

Le Pancakes, le buonissime frittelle di origine anglosassone, sono i protagonisti di una tradizione carnevalesca davvero curiosa. Negli States, infatti, di Martedì Grasso viene celebrato il Pancakes Day, una giornata in cui le famiglie si sfidano, armati di padelle e frittelle fredde: uno dei componenti della famiglia deve correre lungo un tragitto con una padella contenente un pancake freddo. Vince il primo che riesce ad arrivare al traguardo dopo aver fatto girare la frittella almeno tre volte, durante il tragitto.

La Semla è un dolce tipico dei Paesi Scandinavi, in particolare della Svezia, che veniva originariamente consumato solo di Martedì Grasso. Si tratta di un goloso bignè di grano, farcito con una crema di latte e mandorle, e ricoperto da panna montata.

Un tripudio di colori, invece, investe il Carnevale di New Orleans dove, per tradizione, viene preparate la King Cake, un ciambellone ricoperto da glassa color arcobaleno.

I Bourekia sono i dolci di carnevale tipici della tradizione cipriota: tortelli di pasta fritta, ripieni di formaggio fresco.

Lo Smoutebollen è un dolce tipico dello street-food carnevalesco del Belgio dove, durante il pre-quaresima, è possibile gustare questi bignè di mele fritti nello strutto e spolverati da zucchero a velo.

I fasnacht sono prodotti di pasticceria svizzera, dolcissimi ed invitanti simili ai Krapfen tedeschi ma senza crema. A base di strutto, in passato venivano preparati nel periodo di Carnevale proprio per riutilizzare strutto, grassi, burro e zucchero all’interno di un piatto davvero delizioso.



L’isoletta caraibica di Trinidad e Tobago vanta il più grande Carnevale di tutti i Caraibi con la sua musica e le sue danze ritmiche e coinvolgenti. I Caraibi per secoli sono stati terra di conquista e le loro tradizioni, compresa quella culinaria, riflettono questa infinita varietà. Oltre ai Roti indiani e ai panini fritti ripieni di ceci, a Trinidad e Tobago si consuma uno dei piatti forse più salutari di Carnevale: la zuppa di mais preparata con gnocchi e piselli spezzati.

Probabilmente il Carnevale più famoso del mondo che porta con sé tradizioni secolari, anche culinarie è quello brasiliano. Per comprendere quanto sia importante il Carnevale in Brasile basti pensare che dura 4 giorni. Oltre ai carri, i balli a ritmo di samba, i cortei lunghi chilometri che vanno avanti anche tutta la notte, complici anche le temperature estive. Un territorio tanto vasto vanta di tanti piatti tipici carnevaleschi ma il più famoso è di certo il pollo alla griglia con salsa di pomodoro brasiliana.

Il Carnevale in Repubblica Ceca viene chiamato Masopust che letteralmente significa “addio alla carne”. Questo perché il Carnevale, nella tradizione cattolica, è l’ultimo momento di festa prima dei giorni di Quaresima, votati alla depurazione del corpo. Per questo a Carnevale in Repubblica Ceca si preparano molti piatti a base di carne. Il più tipico è l’arrosto di maiale accompagnato da birra e…vodka per digerire il pasto pesante.



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