Con il termine di origine francese "Ragout" si identificano generalmente preparazioni di carne, pesce o verdura tagliate a pezzi, a cottura "in umido" relativamente lunga.
La parola "Ragù", della stessa derivazione francese, indica ricette abbastanza diverse tra loro ma accomunate dall'uso di carne cotta in un sugo di solito destinato a condire la pasta. Fondamentalmente i tipi di ragù sono due: uno a base di carne tritata e l'altro con un pezzo di carne intera cotta molto lentamente. Al primo genere di ragù (carne tritata) appartengono quelli emiliani (bolognese) e altri come il sardo o il barese. Al secondo tipo di ragù (carne intera) si associano quelli di alcune regioni meridionali. Esistono poi preparazioni così dette "al ragù" (involti grossi o piccoli di carne al ragù, braciole al ragù ecc.), prepararate con una fetta di carne disposta attorno ad elementi aromatici, che appartengono di solito alla tradizione delle regioni meridionali.
In ogni caso di tutti i tipi di ragù esistono diverse varianti in ogni area.
Di particolare fama è la versione del ragù cantata da Eduardo De Filippo in “Sabato, domenica e lunedì” e da Giuseppe Marotto ne “L’oro di Napoli”, ricetta dall'interminabile cottura servita sia di condimento alla pasta che come secondo.
«Fin dalle primissime ore del mattino un tenero vapore si congeda dai tegami di terracotta in cui diventa bionda la cipolla ed esala le sue nobili essenze il rametto di basilico appena colto sul davanzale». Così inizia il poemetto in prosa che Don Peppino dedica all'impareggiabile salsa con la quale a Napoli si condisce il vero cuore del convivio: la pasta. Perché il risultato sia quello ideale, e non comune carne col pomodoro, il ragù non deve mai essere abbandonato a se stesso durante le varie fasi della cottura, perché «un ragù negletto cessa di essere un ragù e anzi perde ogni possibilità di diventarlo».
Scelto con cura il pezzo di carne (né magro né grasso) che sta alla base della ricetta, lo si mette nel tegame sorvegliando la rosolatura e poi spalmando «a scientifici intervalli» strati di conserva. Entrano quindi in gioco il fuoco e il cucchiaio: lentissimo il primo, sensibile il secondo a capire il momento in cui intervenire.
La lunghissima cottura necessaria alla ricetta, reclamando una vigile sorveglianza, faceva si che i migliori ragù fossero ritenuti quelli “dei portieri”, cioè i portinai, che dalla guardiola potevano svolgere la doppia funzione di controllo, sia della casa che della cucina dove il ragù “pipiava” (sobbolliva).
Questa preparazione è una vera golosità se vi si ricopre una fetta di pane.
Secondo la leggenda, a Napoli alla fine del Trecento esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia che percorreva la città a piedi invocando "misericordia e pace". La compagnia giunse presso il "Palazzo dell'Imperatore" tuttora esistente in via Tribunali, che fu dimora di Carlo, imperatore di Costantinopoli e di Maria di Valois figlia di re Carlo d'Angiò. All'epoca il palazzo era abitato da un signore nemico di tutti, tanto scortese quanto crudele, e che tutti cercavano di evitare. La predicazione della compagnia convinse la popolazione a rappacificarsi con i propri nemici, ma solo il nobile che risiedeva nel "Palazzo dell'Imperatore" decise di non accettare l'invito dei bianchi nutrendo da sempre antichi e tenaci rancori. Non cedette neanche quando il figliolo di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce ed incrociandole gridò tre volte: "Misericordia e pace". Il nobile era accecato dall'ira, serbava rancore e vendetta, ed un giorno la sua donna, per intenerirlo gli preparò un piatto di maccheroni. La provvidenza riempì il piatto di una salsa piena di sangue. Finalmente, commosso dal prodigio, l'ostinato signore, si rappacificò con i suoi nemici e vestì il bianco saio della Compagnia. Sua moglie in seguito all'inaspettata decisione, preparò di nuovo i maccheroni, che anche quella volta, come per magia, divennero rossi. Ma quel misterioso intingolo aveva uno strano ed invitante profumo, molto buono ed il Signore nell'assaggiarla trovò che era veramente buona e saporita. La chiamo' così "raù" lo stesso nome del suo bambino.
Originariamente costituiva il piatto unico della domenica, in quanto il sugo veniva utilizzato per condire la pasta, e la carne consumata come seconda portata. I tipi di carne impiegati nella preparazione del ragù sono numerosi, e possono variare anche da quartiere a quartiere, ed inoltre, questa non è macinata ma è cotta a pezzi grossi, da 500 g fino a un kg, tagliati a mo' di grossa bistecca, farcita con ingredienti vari (uvetta, pinoli, formaggio, salame o lardo, noce moscata, prezzemolo) e legata con uno spago. Generalmente viene utilizzato un misto di carne di manzo (tagli anteriori e poco pregiati, che necessitano di lunga cottura) e di maiale. Troviamo il muscolo di manzo (gamboncello o colarda), le spuntature di maiale (tracchie), l'involtino di cotenna (cotica), la polpetta e la braciola, termine che viene usato però per indicare un involtino di carne di manzo ripieno con aglio, prezzemolo, pinoli, uva passa e dadini di formaggio.
Tradizionalmente, la preparazione del ragù inizia di buon mattino, se non il sabato sera, in quanto la salsa deve addensarsi molto, cuocendo a fuoco lento, fino a diventare di una consistenza molto cremosa, prima di poter condire degnamente una buona pastasciutta. In molte varianti del ragù napoletano viene impiegato anche un cucchiaio di concentrato di pomodoro.
Il ragù non è la carne c''a pummarola, come recita la poesia di Eduardo. Non è di facile realizzazione ed inoltre per essere saporito come quello della mamma del de Filippo richiede una lunghissima cottura. Attualmente si usa chiamare ragù un sugo di pomodoro nel quale si è cotta della carne. Il ragù, come recita Eduardo, veniva cotto su di una fornacella a carbone e doveva cuocere per almeno sei ore.
La pentola in cui si dovrebbe cuocere è un tegame di rame, e per rimestarlo occorre la cucchiarella (il cucchiaio di legno). Il ragù napoletano è il piatto tipico domenicale e base per altre pietanze altrettanto saporite, come ad esempio la tipica lasagna che a Napoli viene preparata con una grande quantità di ingredienti durante il periodo di Carnevale.
Ingredienti:
1 kg di spezzatino di vitello
2 cipolle medie
2 litri di passata di pomodoro
un cucchiaio di concentrato di pomodoro
200 g. di olio d'oliva
6 tracchiulelle (costine di maiale)
1/4 di litro di vino rosso preferibilmente di Gragnano
basilico
sale q.b.
È consigliabile prepararlo il giorno prima mettendo la carne nel tegame, unitamente alle cipolle affettate sottilmente e all'olio. Carne e cipolla dovranno rosolare insieme: la prima facendo la sua crosta scura, le seconde dovranno man mano appassire senza bruciare. Per ottenere questo risultato, bisogna rimanere ai fornelli, pronti a rimestare con la cucchiarella di legno,e bagnare con il vino, appena il sugo si sarà asciugato: le cipolle si dovranno consumare, fino quasi a dileguarsi. Quando la carne sarà diventata di un bel colore dorato, sciogliete il cucchiaio di conserva nel tegame e aggiungete la passata di pomodoro. Regolate di sale e mettete a cuocere a fuoco bassissimo, il ragù dovrà, come si dice a Napoli, "pappuliare", parola onomatopeica che ben descrive il suono del ragù che cioè dovrà sobbollire a malapena. A quel punto coprirete il tegame con un coperchio, senza chiuderlo del tutto. Il ragù dovrà cuocere per almeno tre ore, di tanto in tanto rimestatelo facendo attenzione che non si attacchi sul fondo della pentola.
Uno dei ragù più classici è quello alla bolognese, che tradizionalmente condisce le tagliatelle e, insieme alla besciamella, anche le famose lasagne alla bolognese. È perfetto con tutte le paste fresche, anche ripiene, come i tortellini.
Un uso molto comune all'estero del ragù è per condire gli spaghetti (erroneamente chiamati spaghetti alla bolognese), piuttosto comuni nel Nord Europa e venduti perfino in lattina: tale piatto, ormai diffuso anche in Italia, non è certamente da attribuirsi alla cucina bolognese, in quanto gli spaghetti non fanno parte della tradizione emiliana che ha sempre preferito la sfoglia all'uovo, solitamente fresca, rispetto alle paste di semola di grano duro, più tipicamente meridionali e generalmente secche.
Il ragù potentino, noto come ndrupp'c, è il ragù tipico tradizionale della città di Potenza, capoluogo della Basilicata.
Il ragù all'intoppo, "'ndrupp'c" appunto, si prepara facendo rosolare, almeno, carne bovina (muscolo di manzo) e suina (il cosiddetto salame pezzente), ma spesso anche di altri animali (es. agnello o carni bianche come coniglio o pollame), in olio di oliva insieme a spicchi di aglio, per poi ricoprire il tutto di salsa di pomodoro e far sobbollire per tre ore. Il sapore caratteristico di questa preparazione deriva dal salame pezzente, un salume artigianale molto grasso, aromatizzato con peperone secco in polvere, semi di finocchio e conservato previa leggera affumicatura. Il nome richiama il gesto di inciampare in qualcosa, è dovuto all'uso di presentare, nel piatto, la pasta insieme ai pezzi di carne e di salame, che vengono così ad ostacolare la forchetta durante l'infilzata. È tradizione aggiungere peperoncino fresco, secco o sott'olio in quantità e, nel periodo di Carnevale, rizoma di rafano grattugiato al momento.
Questo tipo di ragù viene accostato a paste fresche, preparate secondo la tradizione tipica della pasta secca meridionale, confezionata in forme tipiche della cucina lucana. In particolare, lo "'ndrupp'c" viene utilizzato per condire i cosiddetti fusilli, detti anche ferretti, sorta di corti e grossolani bucatini, 10 cm di lunghezza per 6–7 mm di diametro, realizzati facendo arrotolare pezzi di pasta fresca attorno a uno spiedo in ferro. Soprattutto, lo "'ndrupp'c" viene usato per condire gli strascinati, sorta di orecchiette pugliesi, ma più grandi e "aperte", preparati trascinando con tre dita un po' di pasta fresca: il pezzo singolo assume così la forma di una sottile e larga pizzetta, liscia su di un lato e rugosa sull'altro. Degli strascinati esistono varianti da quattro fino a otto dita, in cui il singolo pezzo viene trascinato con la punta delle dita di entrambe le mani. È un'abitudine della cucina lucana condire con lo "'ndrupp'c" un piatto misto di ferretti e strascinati.
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