sabato 19 marzo 2016

IL MOSCATO



Le sue origini risalgono al bacino medio-orientale del Mediterraneo. Vettore della sua diffusione nelle regioni italiane meridionali furono i coloni greci, che portarono con loro i semi o i tralci per poterlo coltivare nelle colonie della Magna Grecia.

La varietà bianca è la più pregiata. Le uve venivano già citate dai romani come Apicae (da Catone) o Apianae (da Columella e Plinio). Il suo nome deriva da muscum (muschio) a causa del profumo intenso e del suo dolce aroma. In tempi antichi si otteneva un vino dolce facendo appassire le uve.

La diffusione al nord avvenne principalmente nel medioevo grazie ai Veneziani, che con i loro commerci con le isole del Mediterraneo lo importarono in tutto il nord Europa.

La coltivazione del vitigno si diffuse velocemente grazie al volere delle classi agiate, nonostante il viticoltore fosse spesso recalcitrante alla sua coltivazione, per la difficoltà di ottenere il vino passito.

Il nome moscato parrebbe derivare dal fatto che, sia l'uva moscato che il vino da essa prodotto, avrebbero l'aroma di muschio o di noce moscata.

I documenti più antichi che citano la coltivazione del Moscato in Piemonte sono dei primi anni del 1300. Il termine "Moscato" compare proprio nel Medio Evo con il significato di "profumato". Questo nome, che ricorre anche nell'accezione "Moscado", viene dal Tardo Latino "muscus" o “muscatus”. All'origine la parola si riferiva ad un'essenza utilizzata nella più pregiata profumeria . Il moscato piemontese, già prodotto nel 1300 e 1400, vide il suo exploit soprattutto a partire dalla seconda metà del 1500, quando nuove condizioni storiche si manifestarono nella regione. Il duca di Savoia, Emanuele Filiberto, soprannominato «Testa d'Fer» per la sua volontà ferrea, a partire dal 1560 iniziò un'opera di radicale riorganizzazione del suo Stato. Questa politica andava a toccare in modo consistente l'agricoltura e al suo interno, la viticoltura.

Data l'alta vocazione viticola che mostravano le colline piemontesi, era di tutto interesse la possibilità di incrementare la produzione locale di un vino prezioso e pregiato quale era il Moscato. Così, grazie al periodo di pace che durò per molti anni, si estesero le aree coltivate, si ampliarono i vigneti e si diffuse notevolmente la coltivazione del Moscato. Tra il 1500 e il 1600 troviamo delle interessanti citazioni di vendita di barbatelle di Moscato e di botticelle di questo vino pregiato.

Nel 1606, Giovanni Battista Croce, gioielliere di Casa Savoia ed anche buon conoscitore della realtà vitivinicola del Torinese, nella sua opera Della eccellenza e diversità dei vini che nella Montagna di Torino si fanno, enumerava i tipi di uve «più eccellenti» presenti nella fascia collinare circostante la città. Fra le uve bianche segnalava il «moscatello nostrale» e ne parlava come di un'uva diffusa, «da tutti conosciuta», base del vino chiamato con lo stesso nome. Di questo vino dava anche alcune norme di vinificazione.

Nelle opere dei geografi piemontesi del 1600, si trovava già delineata quella che oggi consideriamo la zona eletta del Moscato e ormai nel 1700, in una serie di articoli pubblicati a Losanna su vini e vigne di tutto il mondo, si parlava specificamente di un Moscato bianco del Piemonte, molto stimato.

Alla fine del 1700 la prestigiosa Società di Agricoltura di Torino indicava il Moscato come uno dei vitigni piemontesi in grado di produrre i vini più pregiati. Con il 1800, un secolo importante per l'evoluzione delle conoscenze viticole ed enologiche, questo antico vitigno ampliò ancora la sua storia per diventare uno dei protagonisti della nuova enologia piemontese.

A partire da quegli anni, Canelli e Asti diventarono le città simbolo del Moscato. La prima si caratterizzò come capitale storica del Moscato bianco coltivato in Piemonte, ampiamente noto proprio come «Moscato bianco di Canelli». Asti, città dalle forti radici enologiche, sede di importanti manifestazioni, di fiere, centro di commerci e di studi sul vino, divenne l'altro punto di riferimento per il Moscato. È questa città che anche oggi accorda al marchio di tutela il proprio nome e l'immagine del suo patrono, San Secondo a cavallo.

Verso la fine del 1800, in Piemonte, la produzione di uva Moscato si aggirava intorno ai 148.000 quintali. Canelli costituiva la principale area di coltivazione, con una produzione di 72.000 quintali. La tradizionale vocazione al Moscato è rimasta costante in questi paesi. Alla fine del 1800 iniziò una significativa produzione di vino spumante rifermentato in bottiglia, ottenuto partendo dal Moscato.

A questo punto il Moscato bianco, a seconda del tipo di vinificazione impiegato, diventò punto di partenza per due importanti percorsi. Da un lato portò alla nascita dell'industria enologica piemontese, dando vita all'Asti, il vino spumante aromatico più diffuso nel mondo. Grandi ditte spumantiere piemontesi legarono a questo prodotto la loro fama e il loro successo internazionale. L'altra via seguita dal Moscato bianco si identificò con una tipologia di vino delicatamente profumato, a leggera effervescenza, prodotto da piccole o medie aziende e distinto dalla denominazione Moscato d'Asti .

Il Moscato Bianco è stato anche il vitigno di partenza per ottenere uno dei primi vini tipici legalmente riconosciuti, con le tipologie Moscato d'Asti spumante e Moscato d'Asti. Questi furono tra i primi vini ad essere tutelati da un Consorzio. Il Consorzio di Tutela dell'Asti fu infatti costituito il 17 dicembre 1932 e il suo riconoscimento ufficiale avvenne nel 1934.

Nel 1963 vennero emanate le norme per la tutela delle denominazioni di origine dei mosti e dei vini. A partire da quella data in Piemonte si ottennero le prime Denominazioni di Origine Controllata. Su quei presupposti il Consorzio per la Tutela dell'Asti iniziò la propria azione volta ad ottenere la doc. L'obiettivo fu raggiunto nel 1967.



Un'altra tappa molto importante fu lo studio di accordi normativi ed economici per definire tra viticoltori, trasformatori e imbottigliatori una struttura interprofessionale stabile. Un primo significativo traguardo venne raggiunto nel 1979. Fu allora che la Regione Piemonte siglò il rimo accordo interprofessionale di questo tipo attivato in Italia.

Operatori agricoli, cantine sociali e industriali spumantieri stabilirono delle norme da rispettare durante tutto l'arco produttivo, dall'impianto dei vigneti, alle strutture di spumantizzazione, alla promozione e alla tutela del prodotto finito. Si stabilì anche la contrattazione annuale del prezzo dell'uva, da determinare ogni volta a seconda dei parametri qualitativi, quantitativi e commerciali.

Dopo 26 anni di Doc, a partire dal primo febbraio 1994, è entrata in vigore la Denominazione di Origine Controllata e Garantita: "Asti". Nella Docg "Asti" entrano l'Asti spumante fermentato in autoclave o in bottiglia e il Moscato d'Asti tappo raso. Trattandosi di tipologie di prodotto con caratteristiche produttive diverse, il Consorzio di Tutela ha costituito al suo interno uno specifico Consiglio del Moscato d'Asti.

Oggi i successi del Moscato d'Asti continuano ad ampliarsi. La sua immagine è fortemente caratterizzata dal legame stretto con le colline, con le piccole realtà produttive ben identificate, impegnate ad ottenere livelli qualitativi molto elevati. Confrontandosi costantemente con le vicende sociali, economiche e di costume, dopo lunghi secoli di storia, il Moscato bianco continua ad essere un vitigno di riferimento per la viticoltura e l'enologia del Piemonte.

Perché in un bicchiere di Moscato si incontrano due percorsi complementari: da una parte una storia antica di tradizione e vinificazione secolare, che con il passare del tempo ha individuato i suoi crus e i suoi profumi donando ad ogni collina la sua eccellenza aromatica. Dall’altra la straordinaria modernità delle sue bollicine, naturali o spumanti, che stanno conquistando il mondo grazie ad un vino giovane e – senza snobberie – pop.

Il vitigno Moscato, raggruppa alcuni vitigni con uva di vario colore, da tavola o da vino.

In particolare le varietà sono:

Moscato Bianco: è un vitigno a foglia media, pentagonale, tri o pentalobata. Il grappolo è medio, cilindrico-piramidale. L'acino è medio, di forma sferica, con buccia sottile di colore giallo-verde.
Le regioni dove viene coltivato sono: Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia. In questa categoria è compreso il Moscato d'Asti e l'Asti spumante, la cui produzione è consentita nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo.
Il vitigno Moscato bianco predilige sistemi di allevamento non troppo espansi e con potatura ricca.
Il vitigno Moscato bianco ha produzione buona e costante e tollera bene la siccità estiva. L'uva matura ha una dolcezza molto marcata e pertanto è soggetta ad attirare vespe ed altri insetti.
Il vitigno Moscato bianco dà un vino giallo paglierino, intensamente aromatico, fragrante e muschiato al naso. Si presta bene sia all'appassimento che alla spumantizzazione, nonchè all'utilizzo come base per vini liquorosi.

Moscato Giallo: è un vitigno a foglia media, orbicolare, trilobata o intera. Il grappolo è medio-grande, piramidale allungato. L'acino è medio, sferico, con una buccia pruinosa (ricoperta di un sottile velo di polvere), spessa e consistente di colore giallo.
È coltivato in Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia, Sardegna
Moscato di Terracina: vitigno a foglia media, pentalobata con un grappolo ed acini grandi, il grappolo è piramidale. L'acino è sferico con buccia pruinosa, consistente di colore giallo-verde.
Tipico della zona di Terracina (Lazio), del basso agro pontino e della piana di Fondi.
Moscatello di Saracena: vitigno autoctono e coltivazione tipica e esclusiva del Comune di Saracena, nell'area del Pollino in Provincia di Cosenza. Da questo vitigno si ottiene il Moscato di Saracena, vino passito. Si produce con un procedimento antichissimo che prevede la vinificazione separata dell'uva moscatello, ottenuta dal vitigno autoctono da altre uve. Il mosto ottenuto dalla vinificazione delle uve Malvasia, Odoacra e Guarnaccia viene concentrato – attraverso un processo di bollitura - per ottenere una riduzione di circa un terzo del totale: questo procedimento determina un aumento del grado zuccherino e quindi del grado alcolometrico, mentre l'aroma ed il gusto particolari provengono dall'uva moscatello, raccolta e appassita alcune settimane prima della vendemmia. L'uva moscatello disidratata, selezionata e schiacciata manualmente viene quindi aggiunta – nelle giuste proporzioni - al mosto concentrato.
Moscato Rosa: vitigno a foglia media, pentagonale, pentalobata, con grappolo medio-grande, piramidale allungato. Acini medi con buccia pruinosa, sottili e di color nero-blu.
Coltivazione in Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia
Moscato Nero di Acqui: vitigno a foglia piccola, pentalobata. Il grappolo è piccolo, cilindrico. Acino medio, sferico con buccia consistente di colore nero-viola.
Tipico della zona dell'acquese (Piemonte)
Moscato di Scanzo: vitigno a foglia media, pentagonale, pentalobata. Grappolo e acino medio. L'acino è ovale con buccia pruinosa di colore nero-blu. Viene coltivato in Lombardia nel comune di Scanzorosciate dove si produce il vino omonimo Moscato di Scanzo DOCG.
Moscato di Alessandria o Zibibbo: è un vitigno originario dell'Egitto a foglia media, trilobata talvolta pentalobata. Il grappolo è grande, allungato, conico-piramidale. L'acino grosso, è di forma ovoide con buccia spessa, consistente di colore verde-giallastro. È coltivato in Sicilia e le sue uve sono utilizzate o da pasto, o per ottenere il Moscato di Pantelleria.
Moscatello selvatico: è un vitigno con foglia medio piccola, orbicolare, tri o pentalobata. Il grappolo è medio, conico cilindrico, compatto. Gli acini sono medio grandi, rotondi, con buccia di colore giallo-verde.
Coltivato in Puglia.



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