venerdì 1 gennaio 2016

LA SELVAGGINA



La selvaggina (o cacciagione) è costituita da ogni genere di fauna selvatica che è obiettivo dei cacciatori. Essa è costituita da animali commestibili che possono essere volatili o terrestri. Fra i volatili più ambiti dai cacciatori si ricordano il fagiano, la beccaccia, la quaglia ed altri ancora. Fra gli animali terrestri si annoverano la lepre, il coniglio selvatico e fra quelli di taglia maggiore il cinghiale, il capriolo ed il daino. Talune specie di selvaggina sono anche oggetto di allevamento: fagiano, starna, pernice rossa, struzzo, lepre, cinghiale, ecc..

Nella tradizione gastronomica delle cucine d’Italia, la selvaggina è sempre stata messa ”in bagno di vino” per renderla più appetibile per i palati esigenti.

E’ anche vero che questa pratica gastronomica ha avuto con il passare degli anni molte trasformazioni. Diremo che il termine corretto è “marinare”: oggi si marinano quasi esclusivamente le selvaggine da pelo e da piuma, tecnica che in passato si applicava anche agli animali da cortile, come il coniglio,  così come ad alcuni tagli di carni bovine.

Il valore gastronomico della tecnica ha assunto col passare del tempo una valenza diversa ed è anche diventata una pratica caratterizzante.

In passato, in epoche ormai lontane, marinare la carne (in epoca pompeiana anche in acqua salata)  serviva prevalentemente per correggerne la qualità organolettica, cioè veniva così trattata per migliorarne il sapore, e per renderla meglio commestibile.

Bisognerà aspettare Marie Antoine  Careme, che nel suo volume n° 3 (dei cinque scritti) di Art de la cuisine au XIX siècle (edito per la prima volta nel 1833), codificò alcune procedure  per: “marinare carni scure di piccola e grossa pezzatura”. L’obiettivo era, ed è a tutt’oggi quello di “macerare in un liquido aromatico il pezzo di carne scelto, sia per intenerire la carne ma soprattutto per aromatizzarne la polpa”.

Diremo che i fattori da tener in considerazione per il trattamento di una carne di selvaggina nella sua marinata sono i seguenti:

a) Tipologia di carne; b) Pezzatura; c) Tipologia del liquido; d) Miscela di spezie-ortaggi;

e) Tempo di permanenza; f) Modalità di cottura definita.

La carne di selvaggina va manipolata diversamente se si tratta di selvaggina da piuma o da pelo; deve essere considerato il suo peso e sua pezzatura, (cioè se la carne è da marinare con carcassa o meno, oppure solo la polpa intera o a pezzi); che il liquido da impiegare, in base alla sua acidità, in unica o più soluzioni; la ricettazione per la miscela deve tenere conto della persistenza dei profumi e degli aromi degli alimenti caratterizzanti; saper il tempo utile affinché la marinata sia efficace o meno; saper da subito come sarà trasformata.

Gli chef di un tempo conoscevano benissimo questi parametri, e nei ricettari personali, manoscritti di grande patrimonio, comparivano marinate “ad hoc”: essi modificavano alcuni ingredienti in base alla specie e al taglio di carne trattata.

In generale potremmo dire che in inverno ad esempio, per le grosse pezzature, il trattamento può durare anche 5-6 giorni, in estate invece il tempo è di 1-3 giorni.  Ma alcune pezzature, quelle piccole ad esempio sono sufficienti 1-6 ore.  (sempre mantenute in luoghi freschi, cella frigo +10°C, mai oltre).

Nel panorama delle marinate, troviamo la “marinata cotta”, la “marinata cruda”, la “marinata istantanea”.

Nella marinata cotta tutti gli ingredienti vengono fatti cuocere e, una volta raffreddati, vengono versati sull’alimento da marinare. La marinata cruda è invece impiegata direttamente sul pezzo di carne. Per la marinata istantanea, riferita solitamente e carni tagliate a fette e a pesci in genere, il sistema è diretto, solo che la componente acidula sarà più persistente.

Per gli ortaggi, il taglio è direttamente proporzionato al tempo di permanenza in soluzione; più giorni, più grande. Per le spezie, si intendono impiegate leggermente schiacciate.

– Vino bianco: con carote, rosmarino, pepe in grani e sale marino.

– Vino rosso: sedano, salvia, bacche di ginepro e distillati

– Aceto e acqua: cipolla, alloro, anice stellato e vino passito.

– Olio e succo d’agrumi: scalogno (o aglio), timo (o prezzemolo) e chiodi di garofano (ma anche cannella in stecca, vaniglia in baccello e coriandolo)




Primo segreto per effettuare una cottura ottimale della selvaggina, è quello della frollatura, un trattamento atto a rendere la carne maggiormente tenera e a infonderle un particolare e gustoso aroma. Con la frollatura il sapore diverrà molto marcato. Per frollare si dovrà iniziare togliendo le viscere all'animale quindi appenderlo in un luogo fresco, avvolto in un telo sottile per una tempistica compresa tra due e quattro giorni variabili in base alla specie cacciata.

Il secondo segreto consiste nella marinatura, operazione particolarmente fondamentale per la selvaggina da penna. Un'ottima marinatura permetterà alla carne di acquisire perfettamente molte sfumature aromatiche speziate oltre a renderla davvero tenera. La cottura ideale si compone di un trito composto da una carota, uno scalogno, una cipolla, qualche foglia di alloro, uno spicchio di aglio, un gambo di sedano, alcune bacche di ginepro, del timo, un pizzico di pepe, un rametto di rosmarino, 20 grammi di olio extravergine di oliva, 100 grammi di aceto e mezzo bicchiere di vino, che può essere a piacere rosso, se si vuole ottenere una salsa densa, o bianco, se non la si desidera. Il sale invece, deve essere assolutamente evitato. Per le cotolette, le carni dovranno essere ben rigirate per un paio d'ore, per i pezzi grossi ci vorranno invece cinque giorni.

Il terzo dei segreti è la tenuta in considerazione dei tagli: per cosce e selle saranno prettamente indicate cotture in forno, sullo spiedo o in arrosto. Per petto e addome sarà meglio avvalersi di preparazioni in umido e salmì, mentre per cotolette e costine saranno ottimali griglie e padelle. Infine, per l'esaltazione perfetta del gusto delle carni scure, queste si potranno accompagnare con salse prevalentemente dolci e fatte con frutti di stagione come uva, prugne, mirtilli, castagne o mele.



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