I vini passiti vengono quasi sempre catalogati tra i vini speciali, ma da un punto di vista normativo sono considerati vini normali, in quanto dopo il processo di vinificazione e prima di essere immessi sul mercato non vengono sottoposti a ulteriori interventi tecnici o all'aggiunta di altri componenti.
Infatti i vini passiti sono prodotti utilizzando le stesse tecniche di vinificazione impiegate per i vini normali, con la sola differenza che le uve, prima di essere vinificate, vengono sottoposte per un periodo di tempo più o meno lungo ad appassimento, cioè a una riduzione o eliminazione dell'acqua (disidratazione) presente nell'acino.
Lo scopo di tale procedimento è quello di sottoporre l'uva a sovramaturazione al fine di concentrare nella bacca numerosi composti, quali: zuccheri, acidi organici, sali minerali e profumi. I vini che si ottengono in seguito a questo processo sono detti "passiti" e sono solitamente caratterizzati da uno spiccato contenuto alcolico e da un residuo zuccherino più o meno elevato.
Esistono anche i passiti liquorosi ovvero vini ottenuti da uve appassite e addizionati da una componente alcolica. Nell'ambito delle denominazioni, il passito liquoroso italiano più famoso è senz'altro il Passito di Pantelleria Liquoroso DOC anche se la terra di elezione dei passiti fortificati è sicuramente la Francia.
Da notare che esiste una differenza (nell'ambito dei vini da sovramaturazione) tra vendemmia tardiva e passito: in termini molto semplici, il primo è un vino "poco" passito, il secondo è il passito classico. Alcuni disciplinari (italiani ed esteri) prevedono la tipologia vendemmia tardiva, altri il passito.
Inoltre, nonostante quello che si ritiene comunemente (anche se erroneamente) i passiti non sono solo dolci o amabili: esistono anche i passiti secchi. Due esempi italiani illustri: l'Amarone e lo Sfursat. Invece, è vero che la maggior parte dei passiti siano dolci o amabili o abboccati.
La prima tecnica lascia appassire gli acini d'uva direttamente sulla pianta, mediante:
vendemmia tardiva;
torsione del peduncolo;
aggressione degli acini da parte della cosiddetta muffa nobile (botrytis cinerea).
La seconda tecnica lascia appassire i grappoli o gli acini d'uva, dopo essere stati vendemmiati:
in ambiente chiuso, in appositi locali con particolari condizioni di temperatura e umidità.
Dopo l'appassimento le uve vengono pressate e vinificate (utilizzando di solito il metodo di vinificazione in bianco) ed il periodo di affinamento può durare anche alcuni anni.
Un ulteriore sistema per ottenere i vini passiti è quello della estrazione a freddo, consistente nel lasciare le uve appena raccolte ad alcuni gradi sotto lo zero per una notte e pressarle immediatamente dopo; poiché a temperature appena al di sotto dello zero congelano solo gli acini meno maturi (che contengono più acqua), il mosto che si ottiene sarà ricavato solo da quelli più maturi, quindi più ricchi di zucchero.
Se i vini passiti vengono addizionati con alcol o mosto fermentato danno luogo ai vini passiti liquorosi (riconoscibili anche per l'apposita etichetta che si trova sul collo della bottiglia).
La vendemmia per i vini passiti viene effettuata in ottobre, anzichè in agosto-settembre, ma a volte anche a novembre o a dicembre, fino anche a gennaio, quando gli acini sono ghiacciati come nel caso degli eiswein, i vini di ghiaccio.
Le uve più vocate all'appassimento sono le uve aromatiche, quali il Moscato, giallo, rosa o d'Alessandria (si pensi al Passito di Pantelleria ottenuto con uve Moscato d'Alessandria), il Gewurztraminer e la Malvasia (si pensi alla Malvasia delle Lipari). Oppure con altre uve non aromatiche ma che storicamente vengono lavorate per produrre degli ottimi vini passiti: la vespaiola in Veneto dà origine al Torcolato, l'erbaluce in Piemonte, l'albana in Romagna, la garganega con la quale si ottiene il Recioto di Soave veneto, il greco di bianco che in Calabria produce un rarissimo passito. Tra le uve rosse ricordo l'aleatico dal quale si ottiene l'Aleatico di Gradoli, l'Aleatico dell'Elba DOCG e l'Aleatico di Puglia, il sagrantino di Montefalco in Umbria, la corvina per il Recioto di Valpolicella veneto, la lacrima di Morro d'Alba marchigiana. Sulla scia del successo dei vini passiti, molto gradevoli, dolci e non troppo alcolici, molte altre uve vengono vinificate dopo un periodo di appassimento, il riesling, la falanghina, il verdicchio, ma i risultati sono meno eccellenti rispetto a quelli ottenuti con uve vocate.
Si parla di appassimento naturale quando le uve vengono lasciate appassire direttamente sulla pianta, con un ritardo eccezionale nella vendemmia di circa 80 giorni, come accade per esempio per l'Aleatico di Gradoli DOC, un vino laziale. Si parla, invece, di appassimento artificiale quando le uve vengono raccolte tardivamente e poi fatte appassire stese al sole, come nelle regioni del Meridione, oppure su graticci in locali dotati di un sistema di ventilazione e di controllo climatico: temperatura a 30°C e umidità intorno al 55-60%, come avviene al Nord. In questo caso i tempi dell'appassimento si riducono da 80 gg a 10 gg e non è dificile comprendere come mai quasi tutti i vini passiti vengano prodotti con questo sistema artificiale. Non solo, infatti, i tempi si riducono notevolmente, ma si riesce anche a tenere meglio sotto controllo la concentrazione delle sostanze contenute nelle uve e si evitano marciumi o muffe indesiderati.
In determinate condizioni climatiche accade che gli acini lasciati ad appassire vengano attaccati da una muffa non nociva, la cosidetta muffa nobile, la Botrytis cinerea, volgarmente chiamata botrite. Questa muffa, se in condizione di svilupparsi pienamente, cresce sulla buccia dell'acino e poi penetra all'interno, determinandone il marciume e l'impossibilità di utilizzo. In particolari situazioni climatiche, il suo sviluppo è parzialmente inibito e la muffa, da dannosa che era, diventa "nobile": non riuscendo a penetrare all'interno dell'acino, genera un elevato numero di microforellini sulla buccia che consentono la rapida evaporazione dell'acqua al suo interno, determinando un rapido appassimento per evaporazione. Le sostanze prodotte dalla botrite trasformano diverse componenti dell'uva migliorando l'aspetto odoroso, producendo glicerina e consumando alcuni acidi. Il grappolo attaccato dalla botrytis cinerea assume un aspetto raggrinzito e un colore che varia dal viola al marrone, caratteristiche che non farebbero affatto pensare ad un vino buono ed elegante come in realtà sono i vini muffati, cioè attaccati dalla muffa nobile.
I più famosi vini muffati sono i Sauternes francesi, prodotti nella zona di Graves, a sud di Bordeaux, dove le condizioni pedoclimatiche favoriscono lo sviluppo di muffa nobile. Qui in autunno l'umidità è elevata, soprattutto di notte e al mattino presto, quando non di rado si presentano fitte nebbie, che però vengono spazzate via dal vento secco e dal sole che asciuga rapidamente gli acini inibendo lo sviluppo della botrite.
In Italia non esiste una zona specifica dove si producono vini muffati, tendenzialmente le esigenze della botrytis cinerea vengono soddisfatte in alcune regioni del Centro Nord. Altre zone dove si ottiene un buono sviluppo della muffa nobile sono l'Ungheria nella quale si produce il Tokaji, la zona a confine tra Germania ed Austria o la zona della Mosella, dalla quale nascono i Trockenbeernauslese. La caratteristica più peculiare dei vini muffati è la particolarità aromatica, sono tendenzialmente meno dolci dei classici passiti e più ricchi di acidità, ed hanno un profumo inconfondibile e delicato di muffa che li rende particolarmente eleganti.
I Sauternes sono vini ingiustamente considerati molto costosi. Se è vero che il re dei muffati, il Sauternes di Chateau d'Yquem, si aggira sui 500€ a bottiglia dell'ultima annata, è altrettanto vero che molti Grand Cru Classé si portano a casa con meno di 50 euro a bottiglia, le bottiglie di medio livello con una cifra intorno a 20-30 euro, mentre le appellation (le DOC) meno note, situate nei dintorni di Sauternes, come Cadillac e Loupiac, offrono vini spesso molto gradevoli a cifre che variano da 15 a 20 euro per una bottiglia da 750 ml. A questi prezzi, in Italia è difficile trovare anche solo un comunissimo passito prodotto da uve essiccate in modo artificiale.
Nelle zone più fredde, come in Alto Adige o in Tirolo, alcuni grappoli vengono lasciati ad appassire sulla pianta fino a gennaio quando l'inverno congela l'acqua all'interno dell'acino e lo ricopre di una patina ghiacciata. La vendemmia viene fatta manualmente quando la temperatura raggiunge i -7°C, così da ottenere un mosto povero di acqua ma ricco di zuccheri, acidi e sali minerali. Le uve vocate alla produzione di questi vini di ghiaccio, chiamati eiswein in tedesco o icewine in inglese, sono quei vitigni più ricchi di aromaticità come il gewurztraminer, il riesling o il moscato rosa. Sono vini dolcissimi ma ben equilibrati dall'acidità e dalla sapidità. Oltre che in Italia, dove la produzione è davvero rara, gli eiswein vengono prodotti anche in Austria, Germania e Ontario-Canada (spettacolari, questi ultimi). Gli icewine sono vini piuttosto costosi, si parte da almeno 20 euro per una bottiglia da 375 ml.
Ogni vino passito ha una sua storia e una sua peculiarità, molto dipende dalla zona di produzione, dal tipo di uva impiegata, dalle scelte del cantiniere, ma provando a fare un analisi sensoriale generale dei vini passiti si può dire che sono vini dolci con almeno 50 g/l di residuo zuccherino, hanno un colore giallo dorato o ambrato brillante (ad esclusione dei rossi che sono di un bel rosso rubino carico), regalano profumi di frutta matura, cotta o sciroppata, di marmellata, di miele, di frutta esotica e frutta secca. I muffati tendono a ricordare la camomilla e le erbe, gli eiswein sono più minerali, i passiti del sud sono più agrumati con note di arancia candita. In generale un passito è sempre una bella bevuta, che sia a conclusione di un pasto per accompagnare il dessert o da solo come vino da meditazione.
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