Il "re" della Valpolicella è l'Amarone, un importante e rinomato vino "da meditazione".
Il nome di questo rosso veronese strutturato, Amarone, deriva dalla parola “amaro”, adottata per distinguerlo dal dolce del Recioto della Valpolicella da cui ebbe, seppure involontariamente, origine.
Il nuovo epiteto Amarone per indicare il Recioto Amaro o Recioto Secco nasce nella primavera del 1936 nella Cantina Sociale Valpolicella, al tempo con sede presso Villa Mosconi ad Arbizzano di Valpolicella, ad opera del capocantina Adelino Lucchese, palato e fiuto eccezionali che, grazie al fortunato ritrovamento di una botte di recioto dimenticata in cantina e spillando il Recioto Amaro dal fusto di fermentazione, uscì in una esclamazione entusiastica: “Questo non è un Amaro, è un Amarone”. Il capocantina aveva regalato alla Valpolicella la parola magica e il direttore Gaetano Dall’Ora la usò subito in etichetta. La Cantina Sociale di Negrar nell’ingresso attuale ostenta giustamente una lettera di spedizione del 1942 con descrizione di “Fiaschetti di Amarone 1938”. Praticamente il recioto, messo in botte e poi dimenticato, continuò a fermentare fino a diventare secco. Gli zuccheri si sono così trasformati tutti in alcol e hanno fatto perdere la dolcezza al vino, al quale, in contrapposizione a quello che avrebbe dovuto essere, è stato dato il nome di Amarone. Fatta la scoperta, non è che l’Amarone fu subito perfetto. Anzi, a volte veniva fuori per combinazione, per fortuna, ancora dolce ma con un sapore finale di mandorla, magari risultato di una partita di Recioto in cui la fermentazione era sfuggita al controllo del produttore.
Di "vino amaro" si parlava fin dai tempi di Catullo nel Carme n. 27 (49 circa a.C.) reclama “calices amariores” (bicchieri più amari). Ma ben altri documenti ne danno testimonianza.
Cassiodoro, nei primi anni del V secolo, ricerca l’Acinatico della Valpolicella, rosso e bianco per la mensa del re ostrogoto Teodorico: si ritiene che fosse un "recchiotto amaro", scrive G. B. Peres nel 1900, opinione coincidente con quella del Panvinio, che nell’Acinàtico di Cassiodoro riconosce il Rètico di Augusto e del Sarayna (1543) che parla dei vini della Valpolicella "neri, dolci, racenti e maturi".
Tracce della predilezione per questo vino e per le uve che lo producono si ritrova anche nell'Editto di Rotari che stabiliva pene molto severe per chi arrecava danno alle viti e multe salate per chi rubava i grappoli. Per gli anni successivi al 1000 d.C. vi è traccia di alcuni atti d'acquisto e vendita di vigneti nella zona di produzione di "Amarone della Valpolicella", anzi il vino è considerato al pari del denaro per pagare i diritti feudali. Nei secoli successivi prosegue la presenza di "Amarone della Valpolicella" nei documenti ufficiali e negli scritti degli umanisti. Un estimo del 1503 attesta che la zona di produzione di "Amarone della Valpolicella" era una valle ricca e famosa grazie ai suoi vini. Fama che è continuata sino all'epoca illuministica quando Scipione Maffei in un importante testo ha proposto la dizione "amaro" per indicare il vino «d'una grazia particolare prodotto in Valpolicella».
Ma forse più di ogni altro vale il giudizio emesso da assaggiatori francesi a Parigi nel 1845 su una partita di vino "Rosso Austero Costa Calda" di San Vito di Negrar vecchio di 11 anni: "Supremo vino d’Italia... preferibile a diversi Bordeaux ed Hermitage".
Molti altri scrittori e studiosi si sono interessati a questo vino nei secoli successivi per arrivare alle prime analisi organolettiche su questo vino riportate nel bollettino della stazione agraria sperimentale di Verona della fine del 1800. I primi esemplari di bottiglie di "Amarone" senza etichetta arrivarono solo nei primi anni del Novecento per un uso familiare o destinati agli amici.
Per trovare la prima etichetta e il primo documento di vendita dobbiamo arrivare al 1938, ma venne ufficialmente commercializzato a partire dal 1953 da parte della cantina Bolla, anno di messa in commercio dell'Amarone fatto per scelta e non per fortuna. Ottenne subito un grande successo, anche se presso un pubblico contenuto di appassionati come era e rimane la produzione di questo vino, che copre il 10% di tutta la produzione dei vini del territorio, dominati dal Valpolicella e dal Valpolicella Superiore, rossi giovani e profumati, spesso da bere subito, freschi e gustosi.
Nel 1968 si è giunti all'approvazione ufficiale del primo disciplinare di produzione e al riconoscimento della DOC. Allo scopo di tutelare l'identità delle diverse tipologie inserite nella denominazione "Valpolicella", "Valpolicella Ripasso", "Recioto della Valpolicella" e "Amarone della Valpolicella", il 24 marzo 2010 sono stati adottati appositi decreti ministeriali con i quali le quattro tipologie sono state rese autonome. Il successo di "Amarone della Valpolicella" ha attraversato indenne i secoli, arrivando fino ad oggi come testimoniato dall'attenzione che continuano a tributargli giornalisti ed esperti di vino, che ne riconoscono la peculiarità inserendolo nelle più importanti guide enologiche come Buoni Vini d'Italia Touring Club, Vini d'Italia Gambero Rosso, Veronelli, Luca Maroni, Espresso, Enogea, Wine Enthusiast.
Prodotto con le medesime uve del Valpolicella: corvina, molinara e rondinella, esse vengono però lasciate appassire su graticci dette 'arelle' così da aumentarne grado zuccherino e aromi. I grappoli utilizzati per l'Amarone, raccolti per primi all'inizio della vendemmia, dovendo subire un processo di appassimento, saranno il più possibile integri, con gli acini non troppo serrati tra loro, spargoli, per permettere il passaggio d'aria, privi di ammaccature. Il processo di selezione dei grappoli viene fatto rigorosamente a mano e necessita di una certa esperienza e di un occhio attento. Purtroppo, come per tante attività artigianali tradizionali, anche per la selezionatura dei grappoli per l'Amarone, le persone con esperienza, spesso donne, vanno via via scomparendo e i produttori fanno sempre più fatica a trovare manodopera specializzata.
I grappoli vanno stesi tutti nel medesimo verso, in un unico strato sul graticcio, senza accavallamenti, e anche durante l'essiccamento hanno bisogno di cura costante e certosina. Vanno infatti meticolosamente eliminati tutti gli acini ammuffiti o marci. Alcuni produttori usano ancora i graticci di canna di bambù, allineati in antichi sottotetti e che una volta venivano utilizzati in primavera e in estate per la bachicoltura, diffusa nella zona, e in autunno per l'appassimento delle uve. La canna di bambù garantisce un maggior assorbimento dell'umidità, il vero nemico delle uve per l'Amarone. Altri produttori preferiscono utilizzare più moderne cassette in legno o materiale plastico, che possono essere riempite direttamente in vigna e trasportate nei centri di appassimento così da maneggiare i grappoli il meno possibile per evitare sfregamenti e ammaccature. Il profumo che si respira nei grandi sottotetti adibiti all'appassimento, tipici di molte aziende vitivinicole della Valpolicella tra settembre e gennaio, è qualcosa di indescrivibile.
L'appassimento, secondo il disciplinare, deve durare almeno fino al gennaio dell'anno successivo a quello della vendemmia, ma alcuni produttori qualora le uve lo permettano, preferiscono prolungare l'appassimento per far sviluppare ed esaltare alcuni aromi.
La pigiatura avviene quindi a gennaio. Il mosto, molto concentrato per il lungo appassimento delle uve, a causa della temperatura, fermenta lentamente. L'Amarone può raggiungere i 16 gradi alcolici.
Terminata la fermentazione, l'Amarone viene quindi messo in botti per la stagionatura. L'uso della barrique è consentito dal disciplinare, e alcuni produttori, con l'uso di questo strumento, hanno ottenuto risultati d'eccellenza. Tuttavia, il metodo tradizionale utilizza grandi botti di rovere da 80 o 100 ettolitri, dove l'affinamento dell'Amarone avviene più lentamente, con una minore superficie di contatto tra vino e legno i cui sentori risultano così meno aggressivi e meglio amalgamati al sapore del vino. Sebbene il disciplinare fissi in tre anni circa il tempo minimo che deve intercorrere tra la vendemmia e la commercializzazione, molte cantine che seguono il metodo tradizionale, lasciano il vino nelle botti per quattro o, per alcune grandi annate, cinque anni. Questo oltre a dare un gusto più morbido e rotondo all'Amarone, ne prolunga la vita. Esistono bottiglie di oltre trent'anni ancora eccellenti e, secondo gli esperti, con ancora qualche possibilità di miglioramento.
Le caratteristiche dell'Amarone sono il gusto rotondo e ricco, gli aromi di frutta matura e secca, liquirizia, per le annate più stagionate, pelle, tabacco, caffé.
Nel libro il Silenzio degli Innocenti, il raffinato Hannibal Lecter beveva Amarone, anche se nella versione cinematografica gli fanno bere un più conosciuto Chianti.
Per quanto sia eccellente per accompagnare piatti ricchi e saporiti, cacciagione e formaggi stagionati, il miglior modo per gustare l'Amarone è da solo, a fine pasto, magari di fronte a un caminetto scoppiettante, da soli o con la compagnia di vecchi amici.
La cucina veronese propone anche un raffinato piatto preparato con il più famoso vino della zona: il risotto all'Amarone.
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