domenica 3 aprile 2016

ALCOOL E RELIGIONI



La Bibbia contiene molti avvertimenti relativi all’assunzione gli alcolici. Tuttavia, la Scrittura non proibisce necessariamente a un cristiano di bere la birra, il vino o alcun’altra bevanda che contenga alcol. In effetti, alcune Scritture trattano le bevande alcoliche in termini positivi. Ecclesiaste 9:7 dice: “Bevi il tuo vino con cuore allegro”; Salmi 104:14-15 afferma che Dio dona “il vino che rallegra il cuore dell’uomo”; Amos 9:14 tratta il vino della propria vigna come un segno della benedizione di Dio; Isaia 55:11 c’incoraggia dicendo: “Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte!”

Ciò che Dio comanda ai cristiani riguardo alle bevande alcoliche è di non ubriacarsi (Efesini 5:18). La Bibbia condanna l’ubriachezza e i suoi effetti (Proverbi 23:29-35). Ai cristiani viene anche comandato di non permettere che i loro corpi siano “dominati” da nulla (1 Corinzi 6:12; 2 Pietro 2:19). Bere gli alcolici in modo eccessivo crea innegabilmente dipendenza. La Scrittura vieta anche a un cristiano di fare qualunque cosa possa offendere altri cristiani o incoraggiarli a peccare contro la loro coscienza (1 Corinzi 8:9-13). Alla luce di questi princìpi, sarebbe estremamente difficile per qualunque cristiano dire di stare assumendo alcolici alla gloria di Dio (1 Corinzi 10:31).

Gli alcolici, consumati in piccole quantità, non sono né nocivi né provocano dipendenza. In effetti, alcuni medici consigliano di assumere piccole quantità di vino rosso per i suoi effetti salutari, specialmente sul cuore. Per un cristiano, il consumo di piccole quantità di alcolici è una questione di libertà di coscienza. L’ubriachezza e la dipendenza sono peccato. Tuttavia, considerando gli avvertimenti biblici sull’alcol e sui suoi effetti, considerando la facile tentazione al consumo eccessivo degli alcolici e la possibilità di offendere e/o far cadere gli altri, solitamente è meglio che un cristiano si astenga del tutto dall’assumere alcolici.

Gli insegnamenti dell’Islam hanno una dimensione universale e sono in grado di garantire il bene dell’umanità. Questa nobile religione dimostra in modo argomentato la giustezza dei suoi propositi nei versetti del Sacro Corano.
L’Islam vuole che l’uomo, grazie alla sua innata intelligenza, progredisca verso l’obiettivo supremo della propria esistenza.
Questa religione indica la ragione quale responsabile dell’organizzazione della vita individuale e sociale dell’uomo, e accorda una grande importanza al ruolo di questa facoltà, la quale è considerata come guida e come prova del cuore. L’Islam respinge tutto quello che danneggia la ragione e la naturale attività di questo dono divino, poiché non permette nemmeno per un istante che il suo funzionamento sia perturbato.
L’alcool è una sostanza che influenza direttamente la ragione e che ha effetti nefasti sulla società umana a livello morale, igienico e psicologico. Niente è più disastroso per l’uomo del fatto che la sua ragione e la sua capacità di comprensione siano annichilite e deviate dalla retta via mediante il consumo di alcool.
La legge islamica vieta rigorosamente le bevande alcoliche che impediscono il normale funzionamento delle facoltà raziocinanti.
Già da quattordici secoli, il Profeta è venuto a mostrare il giusto cammino in una società ignorante, nella quale regnavano la miseria, la violenza e la perversione, come del resto in tutto il mondo in quell’epoca.
Prima dell’Islam, la cattiva abitudine di bere era molto diffusa fra gli Arabi.
Per disabituare la gente da questa nefasta abitudine, l’Islam ha proceduto con moderazione. E’ l’Islam che, per la prima volta, ha definito ciò un peccato, descrivendo altresì la corruzione individuale e sociale che ne risultava.
“Sì, Satana vuole diffondere fra voi, mediante il vino e il gioco d’azzardo, inimicizia e odio, per allontanarvi dal Richiamo di Dio e dagli uffici divini. E allora, voi vi asterrete?” (Corano, 1, 91).
Non appena il versetto della proibizione fu rivelato, quelli che bevevano distrussero le loro botti di vino e ne versarono il contenuto per strada.
Anas Ibni Màlik riferisce: 
“Allorché questo versetto fu rivelato, noi eravamo in procinto di bere a un ricevimento presso Abi Talhah. Fu allora che ascoltammo l’araldo del Profeta proclamare: “O musulmani, sappiate che il vino è d’ora in avanti proibito, e che esso deve essere versato nella strada. Abi Talhah chiese anche a me di buttare il vino. Fu ciò che io feci. Moltissimi rovesciarono i loro recipienti pieni di vino nella strada. Molti altri li lavarono e li purificarono con l’acqua. Molto tempo dopo questo avvenimento, quando a Medina pioveva, si poteva sentire l’odore delle grandi quantità di vino che erano state versate nella strada”
Questa legge ebbe una tale influenza sui musulmani che anche nei territori conquistati si cessò di bere. Benché oggi la corruzione, mascherata da civilizzazione, si sia ampiamente propagata, esistono tuttavia milioni di musulmani che, durante tutta la loro vita, non hanno mai avvicinato le loro labbra a questa bevanda.
Le bevande alcoliche in generale, e il vino in particolare, hanno trovato grande utilizzo in campo medico: da Ippocrate, il grande medico greco, a Galeno, alla Scuola Salernitana fino ai primi anni di questo secolo. Anche nella medicina araba il vino trova vari impieghi a scopo terapeutico, e questo uso permane in parte anche dopo la proibizione coranica. I primi studi effettuati alla fine del secolo scorso da fisiologi francesi a Parigi, dimostrarono che la tossicità dell'alcol dipendeva dalla quantità di questo nel sangue (alcolemia).

Le bevande alcoliche hanno avuto anche un importante ruolo nelle pratiche religiose di moltissimi popoli, dal Mescal utilizzato nelle civiltà precolombiane, al vino utilizzato in Grecia e a Roma con la mitologia di Dioniso e di Bacco cui erano dedicate apposite feste religiose. La vite e il vino hanno un ruolo centrale nella religione cristiana: la tradizione legata a Noe', il vino come sangue di Cristo, i membri della Chiesa come tralci di un'unica vite. Nella tradizione ebraica il vino è simbolo della festa e della gioia del Giorno fuori dal Tempo oltre che segno di alleanza fra Dio e il popolo eletto. L'uso di bevande alcoliche e' parte integrante di molte culture in cui il bere non e' soltanto tollerato, ma e' considerato utile e importante, pur se abbastanza regolamentato: le donne non possono bere, il vino e' riservato solo ad alcune autorità, si può bere solo in alcune circostanze, etc.
Nella cultura occidentale la presenza dell’uomo è sempre stata accompagnata da quella della vite.

Mosè si dimostrò un esperto viticoltore portando al mondo i tralci della vite da trapiantare e non i vinaccioli da seminare; da qui il vino diventa il filo conduttore della geologia della Bibbia. Lo si ritrova nei Vangeli, ma il suo culmine lo si ha nell’episodio dell’ultima cena dove Gesù offre il vino ai discepoli pronunciando le memorabili parole “bevete, questo è il mio sangue “, da qui il vino diventa simbolo di sacrificio e di momenti sacrificali.



Si può anche trovare corrispondenza tra il sangue dell’agnello e il pane non lievitato, simboli della Pasqua ebraica, e il vino assimilato al sangue e il pane tipici della Pasqua cristiana. Pane e vino diventano inseparabili tra loro: pane e vino esistono perché esiste l’uomo e diventano alimentazione terrestre ma anche dell’anima essendo alimenti divini.

Si può anche dire che il pane ci nutre mentre il vino ci dà la vita.

Il vino, preferibilmente rosso, assume particolare rilevanza per la celebrazione del sabato ebraico (o shabbat) pari almeno alla funzione che questo giorno sacro assume come divisione sacrale del tempo cosmico.

La simbologia del rito sacro di santificazione del Sabato con la beracah (benedizione) sul vino  affonda  in ogni caso nell'insegnamento tradizionale per eccellenza quale è quello tramandatoci dalla Bibbia.

Il "Kiddush" è il nome con il quale si indica appunto la benedizione e la speciale preghiera con cui la sera del venerdì ci si prepara al successivo giorno di  riposo da dedicare esclusivamente alle cose spirituali: esso  è stato codificato dai Maestri della Legge in ogni più minuto particolare. Il vino per tale speciale cerimonia e di cui si deve riempire sino all'orlo un bicchiere, di solito  un apposito elegante calice istoriato con caratteri ebraici, dovrebbe essere  rosso e di alta qualità. In casi eccezionali è permesso succo d'uva rosso non ancora fermentato. Quest'ultimo particolare induce a pensare che in epoca biblica l'uva più diffusa fosse quella nera; il sinonimo "sangue d'uva" usato fa infatti pensare  che la scelta dell’uva nera  sia legata alla simbologia del colore del mosto che se ne ricava.

La stessa simbologia del sangue  che occupa un posto rilevante nel cristianesimo  è un  segno inequivocabile della radice ebraica dei significati esoterici o cabalistici del vino.

I saggi maestri del giudaismo legarono dunque la benedizione del sabato al bicchiere di vino rosso, sabato ebraico che rappresenta l'architettura portante  e differenziatrice del monoteismo etico ebraico.

Il  Kiddush  per Shabbat che recita: "Bendetto sia Tu Signore nostro Dio, Re del mondo, creatore della vite. etc."... (Baruch attà Adonay Elohenu melek ha-olam borèi perì ha-gafen; etc.) è infatti la più nota delle  preghiere rituali del giudaismo, dopo la professione di fede o  Shemà.

Ma il bere sacro non è esclusiva del giudaismo e non si limita al rito del venerdì sera: la sua diffusione è ormai universale e le occasioni  solenni o meno in cui si deve bere del vino si sono moltiplicate in epoca moderna.

Il collegamento tra cibo, bere e sessualità quale elemento essenziale e dinamico  per la riproduzione della vita stessa è ancestrale. Come altre attività umane  che danno un senso alla vita, il bere una bevanda alcolica è anch'esso un atto con cui l'uomo cerca di entrare in contatto con la Divinità.

La speranza di una vita oltre la morte  nella cultura ebraica si esprime  spesso con la simbologia del "banchetto"  che, ovviamente, include la presenza di bevande.

"Preparerete (dice) il Signore... su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti  di cibi succulenti, di vini raffinati... (Isaia  25,6).

Metafora esistenziale e  religiosa, la coltura della vite  era diffusissima in tutta l'area siro-palestinese culla  del nostro monoteismo etico. Questa notizia è confermata da Sinueh, quell'ufficiale egiziano  esiliatosi in Asia, quando  afferma che "in Palestina il vino è più diffuso dell'acqua"! Probabilmente  Sinueh  intendeva dire che l'acqua era tanto scarsa  che il vino era più abbondante ma indirettamente conferma che la coltura della vite era molto diffusa.

Il termine più diffuso “ YAYIN” ricorre ben 141 volte nella Torà ed è un vocabolo probabilmente non semitico ma forse di origine caucasica: ha il significato letterale di "effervescente”.

Un'altra parola con cui nella Bibbia  si indica questa bevanda è  ASIS dalla radice  ebraica  "asas" che letteralmente ha il significato  di "pressare " o "schiacciare". L'uso di questo termine è specifico ed indica il succo dell'uva  schiacciata o pressata e, probabilmente, anche fermentata.

Tuttavia  non si è  certi che con asis venga indicato il succo fermentato in quanto nei testi aramaici della Bibbia il succo  d'uva fermentato  ha un suo vocabolo  ben preciso che è " chemer "dalla radice  "chamar " che indica appunto la fermentazione (così Deut. 32,14).  

Nelle cerimonie  più importanti come matrimoni, maggiore età religiosa (Bar mitzvah) etc. il vino veniva  mescolato con l'acqua e con aggiunta di miele e altri aromi. Ciò conferiva maggiore solennità agli avvenimenti ma c'è  il sospetto maligno che l'aggiunta di acqua servisse ad aumentare la quantità di vino per soddisfare, a poco prezzo, tutti gli invitati. Comunque anche in quei tempi l’annacquamento del vino era considerato negativamente se non proprio una truffa.

In epoca romana, invece, divenne uso comune aggiungere acqua e miele al vino  ma l'usanza era giustificata dal fatto che il vino  era molto fortemente  tannico e quindi poco bevibile senza diluizione ed aromatizzazione. Ciò non toglie che la pratica divenne di moda, mentre invece si trattava di aumentare i guadagni del commercio del vino. 

Il vino viene anche chiamato nella tradizione giudaica  sangue di uva; "<Egli lega alla vite il suo puledro ed alla vite pregiata il figlio della sua asina; lava il vestito nel vino ed i panni nel sangue d'uva.(Genesi 49,11)

Tale  metafora viene usata anche in  Deut. 32,14 e Siracide 39,26. Sembra superfluo sottolineare che in questi passi della Bibbia  ci si dovesse riferire all'uva nera anche perché sembra  che in periodo biblico l'uva bianca fosse sconosciuta.

Probabilmente l'uva bianca da vino  è frutto di innesti  successivi  mentre la vite  coltivata  nella Palestina  del tempo biblico doveva essere un vitigno piuttosto forte, resistente alla siccità e molto simile alla vite selvatica. Però il termine più generico usato nella Torà per indicare qualunque bevanda fermentata, (quindi anche birra, sia quella derivata dalla fermentazione  dell'orzo che quella dei datteri, del melograno, della palma delle  mele etc.) è shekar.

A partire dalla traduzione  della Bibbia in greco (quella dei settanta) viene usato il termine greco "oinos" per indicare tutti i tipi di vino  e "gleuokos " per indicare il mosto da fermentare o in fermentazione ed il vino dolce, novello.

La vendemmia aveva luogo nella Palestina a metà agosto-settembre, a seconda se ci si trovava  nelle zone collinari dell'alta Galilea oppure lungo le coste  mediterranee; ma il vino non era esclusivamente legato alla religione era  anche allora un elemento indispensabile per un buon pasto ed un dono ideale.

Accompagnato da altre offerte,  era uno degli elementi del rito sacrificale al Tempio."Uno degli agnelli offrirai al mattino ed un secondo al pomeriggio. Inoltre  un decimo di efà, 1 di fior di farina intrisa in olio vergine con un quarto di vino per questo primo agnello.2(Esodo: 29,40).

Il vino nelle offerte sacrificali  lo troviamo ancora in Lev.23,13, Num;15,7.10- Samuele 1,24.

Il vino come ricostituente appare nella Bibbia ebraica in 2 Sam.16 mentre  nel Nuovo testamento  viene citato come medicamento (prima lettera di Paolo a Timoteo, cap.5,23.)  

Naturalmente un libro come la Bibbia se da un lato apprezza molto il vino e lo fa assurgere  a simbolo della creazione  non poteva sottovalutare  gli effetti negativi e le insidie di un uso smodato di tale bevanda. Una vita benedetta da Dio e cioè colma di tutti i doni del Creatore comprende quindi abbondanza di vino di olio, di grano, tutti prodotti cui viene riconosciuta una funzione assolutamente vitale voluta  dal Signore  nel suo piano per gli uomini.

Salomone, nella sua saggezza, menziona  il vino tra i doni della creazione (Proverbi 104,15 ) "vino che rallegra il cuore degli uomini, seguito dall'olio  che fa risplendere il volto" (olio cosmetico, protettivo della pelle, ma di uso festivo).

L'abbondanza di vino è una benedizione e per contrasto, il venir meno della benedizione può comportare penuria di olio, vino e pane.

Nei proverbi offrire cibo e bevande è espressione di comunione  tra chi ha bisogno di aiuto e chi glielo presta. Così vi è anche un risvolto pratico: il nemico soccorso, cesserà di essere nemico. 

Il vino assume  sempre più importanza nei culti sacrificali  e segna  una via di mezzo tra l'offerta  cruenta dell'animale alla Divinità e l'offerta  delle preghiere.

Anche le preghiere  vengono però  offerte a Dio solennizzandole con  il bere  rituale di vino. Se a questa simbologia si aggiunge quella erotica ci si renderà conto come il vino è presente in tutti gli aspetti della vita.  

La creazione, come prodotto dell'opera di Dio nel giudaismo, va accettata senza escludere niente di quello che la natura  può darci e questo è un segno di rispetto e gratitudine per il Creatore: ecco perché nell'ebraismo non è accettata la fuga dal mondo, l'estraniarsi ascetico da esso.

Il godere di tutta la creazione divina è segno di riconoscenza.

Ecco dunque affiorare un altro concetto etico: il mangiare non è la misura di tutte le cose, vivere in pienezza la vita, il dono massimo di Dio, significa accettare di controllare e contenere il proprio desiderio in base alla legge, al comandamento, espressione  questa della libertà dell'uomo e  misura per la ricompensa divina.

La libertà di scegliere, di decidere  l'osservanza o meno dei comandamenti  è ciò che distingue  l'essere umano dagli animali.

Mentre quindi da un lato il comandamento di Dio non censura  il desiderio  di mangiare e bere e di godere di tutti i beni della creazione, dall'altro ci ricorda che  solo Dio provvede il mondo di questi beni e che il nostro agire va regolato  dalla Sua legge.

Questo concetto radicato nella tradizione religiosa ebraica è la conseguenza del fatto che  il commercio del vino è stato esercitato  spesso  in monopolio dai mercanti ebrei  di ogni latitudine.





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