sabato 3 ottobre 2015

IL SUSHI



Le origini del sushi sono molto incerte quanto all'epoca. L'opinione più diffusa è che sia stato portato dai monaci buddisti tornati dalla Cina nel VII secolo.

Molto simile al sushi fu una preparazione che comparve in Giappone già con l'introduzione della coltivazione del riso, intorno al IV secolo a.C., variante di un antico metodo per conservare il pesce molto diffuso in Asia sud-orientale e in Cina: il pesce crudo veniva disposto a strati con il sale alternato al riso e tenuto pressato per qualche settimana; in seguito veniva lasciato fermentare per mesi. Questo tipo di sushi si chiama narezushi, ancora molto apprezzato nella zona di Tokyo. Nel XVII secolo si cominciò ad aggiungere aceto di riso per abbreviare i tempi di fermentazione del riso e il pesce veniva marinato o cotto.

Fu soltanto intorno al 1820 che comparve ad Edo (l'odierna Tokyo) la ricetta più vicina al sushi. Hanaya Yohei è l’ideatore del nigirizushi; fu il primo a servire sul suo banco bocconcini di riso aromatizzati all'aceto con sopra fettine di pesce crudo. Da allora la vendita del sushi per strada diventò un uso diffuso. Una cosa curiosa era la tenda bianca fissata alle bancarelle sulla quale i clienti si pulivano le mani dopo aver consumato il sushi. Un sistema infallibile per individuare il miglior rivenditore era quello di guardare la tenda: più era sporca, più il posto era frequentato e quindi, probabilmente, migliore il sushi.

Da allora, il sushi si è diffuso in tutto il Giappone e in tutto il mondo dando vita a tantissime varianti. Numerose anche le iniziative e gli eventi, come il "Decouverte du Sushi", il Campionato Europeo per la preparazione del sushi fondato nel 2003.

Durante i primi due anni, un apprendista può soltanto osservare il proprio Shokunin e inoltre svolgere mansioni di lavapiatti o pulizia di pavimenti. In seguito imparerà la tecnica di cottura del riso e solo dopo quattro anni potrà apprendere l'arte del taglio del pesce e della composizione del sushi. In questo stesso periodo imparerà anche ad acquistare il pesce al mercato, cosa che richiede molta esperienza.

Quello dello chef di sushi è un mestiere originariamente precluso alle donne: si riteneva infatti che le mani femminili avessero una temperatura più alta di quelle maschili, e che quindi potessero rovinare il pesce durante la manipolazione.

Sedendosi al bancone si può ammirare, disposti in bella mostra, varietà di pesce e di verdure per verificarne la freschezza.

Vi sono principalmente due tipi diversi di sushi bar: quelli in cui si ha un classico menu con il quale ordinare di volta in volta le portate che vengono preparate al momento dallo chef. Vi sono poi i kaiten-zushi, dove su un nastro trasportatore passano tutti i piatti già preparati pochi minuti prima e si possono prendere direttamente senza chiedere allo chef. In molti kaiten-zushi il costo è identico per ogni piattino, mentre in altri, soprattutto quelli situati fuori dal Giappone, il colore del piattino indica il relativo costo.



Il sushi è un piatto tipico della cucina giapponese a base di riso insieme ad altri ingredienti come pesce, alghe, vegetali o uova. Il ripieno può essere crudo, cotto o marinato e può essere servito appoggiato sul riso, arrotolato in una striscia di alga, disposto in rotoli di riso o inserito in una piccola tasca di tofu.

In Giappone la parola sushi significa letteralmente "aspro" e si riferisce ad una vasta gamma di cibi preparati con riso. Al di fuori del Giappone viene spesso inteso come pesce crudo o come riferimento ad un ristretto genere di cibi giapponesi, come il maki o anche il nigiri e il sashimi (che in Giappone non è considerato sushi perché composto di solo pesce fresco).

La varietà del piatto nasce dalla scelta dei ripieni e guarnizioni, nella scelta degli altri condimenti e nella maniera in cui vengono combinati. Gli stessi ingredienti possono essere assemblati in maniere completamente differenti per ottenere effetti differenti.

Come altri piatti anche il Sushi ha dovuto adattarsi ai gusti alimentari dei paesi in cui si è diffuso, per cui oggi si trovano, in giro per il mondo, tipi di sushi sconosciuti in Giappone, composti con "scallops" (capasanta), tonno piccante, carne di manzo o di pollo, verdure varie, ocra (Abelmoschus esculentus) ed anche formaggi. Ad esempio, il California Roll, nato negli Stati Uniti per far accettare l'idea del pesce crudo; si tratta di un maki con avocado, surimi e cetriolo nel quale lo strato esterno di riso è cosparso di semi di sesamo tostati oppure tobiko (uova di pesce volante, di colore rosso-arancione, molto croccanti).
Il riso sushi (sushi-meshi / Sumeshi) viene preparato con un riso bianco, dolce a grano corto, viene lavato e cotto seguendo una particolare tecnica e successivamente bagnato con aceto di riso nel quale vengono disciolti zucchero e sale e leggermente scaldato, kombu e sake. Viene raffreddato alla temperatura del corpo prima di essere usato.

Il riso usato è la qualità Japonica che ha una consistenza diversa da quelle normalmente mangiate al di fuori del Giappone. Il requisito essenziale è la coesione dei chicchi. Se è troppo appiccicoso il gusto è eccessivamente dolciastro, ma se non lo è sufficientemente ha un gusto secco. Il riso raccolto di fresco (shinmai) contiene normalmente troppa acqua e richiede del tempo ulteriore per essere asciugato dopo esser stato lavato.

Ci sono varianti regionali nel riso sushi e naturalmente chef individuali hanno i propri loro metodi. La maggior parte delle varianti sono nel condimento di aceto: la versione di Tokyo usa tipicamente più sale, quella di Osaka ha più zucchero.

Il riso sushi deve tipicamente essere mangiato poco dopo esser stato preparato.

L'avvolgimento vegetale usato nel maki e nel temaki è detto nori. È un'alga commestibile tradizionalmente coltivata nei porti del Giappone. Originariamente le piante venivano raschiate dai pali del porto, pressate in fogli e seccate al sole, con un procedimento simile a quello usato per la carta. Il Nori viene tostato prima di essere usato nei cibi.

Oggi il prodotto commerciale viene coltivato, prodotto, tostato, impacchettato e venduto in fogli di dimensioni standard: circa 18 cm per 21 cm. Il nori di qualità migliore è spesso, liscio, luminoso e privo di buchi.

Per produrre il fukusazushi, viene usata come avvolgimento una frittatina spessa come un foglio al posto del nori. La frittata viene tradizionalmente preparata con una padella rettangolare (makiyakinabe), ed usata per formare una tasca per il riso ed il ripieno.

Per ripieni e guarnizionion si può utilizzare pesce fresco crudo. I pesci di acqua dolce sono tra quelli consumati cotti. I pesci comunemente usati sono tonno, salmone, snapper, sarde e sugarello. L'ingrediente considerato di miglior qualità è detto toro (in Giappone spesso chiamato anche o-toro), un taglio grasso e marmorizzato della parte più grassa del tonno, la ventresca.
Crostacei, molluschi e frutti di mare
Altri ingredienti marini sono polpo, gamberetti, anguilla, uova di pesce, riccio di mare, e vari tipi di conchiglie.
Verdura, frutta e ortaggi
Rafano, semi di soia fermentati (natto), avocado, cetrioli, tofu, prugne sottaceto.
Carne rossa
Manzo e prosciutto.
Altri ingredienti
Uova (nella forma di sottili frittate dolci), uova di quaglia.

Alcune forme di sushi, specialmente quelle contenenti il pesce palla fugu e certi tipi di molluschi possono causare avvelenamento da tossine nel caso la preparazione non sia adeguata. In particolare il fugu possiede, all'interno dei propri organi, una dose letale di tetrodotossina; per questo, in Giappone, deve essere preparato da chef provvisti di una licenza rilasciata dal governo dopo il superamento di un esame specifico.



Le parassitosi da pesce crudo coinvolgono soprattutto tre parassiti:

Anisakis, un nematode responsabile dell'anisakiasi;
Diphyllobothrium o botriocefalo, un cestode responsabile dela difillobotriasi;
Clonorchis sinensis, un trematode responsabile della clonorchiasi.
Le infezioni vengono prevenute mediante cottura e congelamento del pesce a determinate temperature per un'adeguata quantità di tempo; la marinatura, la salatura e l'affumicatura possono ridurne il rischio, tuttavia non lo eliminano.

L’anisakidosi è una parassitosi che può colpire l’uomo, causata da vermi tondi (nematodi), appartenenti alla famiglia degli Anisakidae, composta da quattro generi: Anisakis, Pseudoteranova, Contracaecum e Hysterothylacium. Di questi, i primi tre generi sono responsabili di zoonosi mentre il genere Hysterothylacium non è patogeno, data la termolabilità del parassita (muore alla temperatura di 30°C).
Il genere Anisakis, il più diffuso, è il principale responsabile di parassitosi, in quanto è  in grado di sopravvivere a trattamenti di affumicatura a freddo, a trattamenti di marinatura con basso tenore di sale ed alle temperature di refrigerazione. Viene ucciso con temperature superiori a 60°C per 10 minuti e dal congelamento (almeno 24 ore a – 20°C).
Nei pesci le larve, che misurano circa 4 mm, si localizzano sulle sierose di fegato, ovaio, stomaco e intestino, dove tendono a incistarsi e assumere una caratteristica forma a spirale.
I prodotti ittici dei mari italiani più frequentemente parassitati sono: sardine, aringhe, acciughe, sgombri, gadidi, sparidi, lophidi, pesci S. Pietro, pesci sciabola (quasi sempre infestati), totani, calamari.
Il rischio è legato al consumo dei prodotti ittici crudi, marinati o affumicati a freddo, sushi e sashimi, ultime tendenze provenienti dall’Oriente, semiconserve domestiche a base di pesce azzurro.
Il parassita adulto vive nello stomaco di vari cetacei (balene, delfini). Questi eliminano attraverso le feci le uova da cui si sviluppano le larve, dette di secondo stadio, che infestano piccoli crostacei marini, divenendo larve di terzo stadio. Quando questi crostacei vengono ingeriti dall’ospite definitivo, la larva diventa di quarto stadio e il ciclo ricomincia.
Pesci e cefalopodi che si cibano di questi crostacei possono fungere da ospiti intermedi, dove la larva rimane di terzo stadio e tende a migrare in cavità celomatica. Se il pesce parassitato viene ingerito dall’ospite definitivo, il ciclo si chiude.

L’uomo può comportarsi da ospite accidentale contraendo l’infezione cibandosi degli ospiti intermedi naturali (pesci e cefalopodi: come acciughe, sardine, sgombri, totani e calamari). Sono a rischio le popolazioni che maggiormente si cibano di pesce crudo (Paesi Scandinavi, Giappone).
Nella migliore delle ipotesi, una volta ingerita, la larva muore o non dà sintomi.
In alcuni casi, soprattutto quando vengono ingerite più larve, in seguito all’assunzione di pesce infetto crudo, non completamente cotto o in salamoia, le larve possono impiantarsi sulla parete dell’apparato gastrointestinale, dallo stomaco fino al colon.
Per difendersi dai succhi gastrici, attaccano le mucose con grande capacità perforante, determinando una parassitosi acuta o cronica.



La parassitosi acuta da Anisakis insorge già dopo poche ore dall’ingestione di pesce crudo e si manifesta con intenso dolore addominale, nausea, vomito ed occasionalmente febbre.
Le forme croniche sono diverse, possono mimare svariate malattie infiammatorie e ulcerose del tratto intestinale oppure coinvolgere altri organi come fegato, milza, pancreas, vasi ematici e miocardio.
Da alcuni anni, Anisakis è stato riconosciuto anche come possibile causa di allergia. I soggetti sensibili possono avere reazioni allergiche non solo ingerendo il pesce infetto ma anche manipolandolo o respirando allergeni diffusi nell’aria.
Si tratta di un rischio prevalentemente legato alla lavorazione del pesce (malattia professionale che riguarda i lavoratori nel settore della trasformazione dei prodotti ittici).
Sono state osservate in questi casi reazioni che vanno dall’orticaria,  all’angioedema, alla rinite o congiuntivite, all’asma, allo shock anafilattico.
L’allergia all’Anisakis compare immediatamente dopo esserne venuti a contatto, o dopo aver consumato il pesce contaminato a causa della sensibilizzazione alle proteine antigeniche termoresistenti del parassita.
La diagnosi di sospetto di Anisakidosi si basa sull’osservazione dei sintomi e sul riscontro dell’ingestione di prodotti ittici a rischio. La diagnosi di certezza è molto difficoltosa e può essere emessa solo previa identificazione del parassita nei tessuti prelevati durante biopsie o endoscopie. Non esistono, infatti, test sierologici affidabili. Per quanto concerne invece le forme allergiche si possono utilizzare alcune prove di laboratorio e lo skin test che consente di vedere la reazione del paziente dopo contatto con gli antigeni del parassita.
La cura dell’anisakidosi richiede molto spesso l’intervento chirurgico, per asportare la parte dello stomaco o dell’intestino invasa dai parassiti. Una volta contratta la malattia, infatti, la rimozione endoscopica della larva sembra essere la terapia di scelta, considerando che i comuni antielmintici non sono stati ritenuti fino ad ora efficaci.
Pertanto è importante osservare attentamente i prodotti della pesca ed eviscerarli il prima possibile dopo la cattura per evitare la migrazione delle larve nella carne.
Risulta altresì fondamentale l’impiego di adeguati processi di preparazione del cibo. E’ noto infatti che le forme gastroenteriche della malattia sono riconducibili all’assunzione di prodotti ittici contenenti larve vive. Per questa ragione durante la lavorazione dell’alimento si dovrebbero utilizzare tutti gli accorgimenti necessari ad assicurare la morte delle stesse.
Le larve dei parassiti appartenenti alla famiglia Anisakidae sono devitalizzate se il prodotto ittico viene congelato (-20°C per 24 ore) o cotto (almeno 60°C a cuore per 10 minuti).
Una circolare del ministero di sanità del 1992, ancora in vigore, obbliga chi somministra pesce crudo o in salamoia ad utilizzare pesce congelato (il limone e l’aceto non hanno alcun effetto sul parassita) o a sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare crudo.
La salagione secca, se il sale è in grado di raggiungere tutte le parti del muscolo ed è impiegato alle giuste concentrazioni, devitalizza il parassita.
L’affumicatura e la marinatura non sono in grado di uccidere con sicurezza le larve di anisakidi.
La marinatura riesce ad uccidere le larve dopo circa 4 settimane nei casi in cui si proceda utilizzando il  6% di sale ed il 4% di acido acetico.
Nel caso dell’ affumicatura, invece, l’87% delle larve di Anisakis presenti nel cibo resistono se la temperatura impiegata è di 28°C, mentre la devitalizzazione è completa se il procedimento prevede l’uso di una temperatura di 53 – 60°C.



In Giappone, dato l’elevato consumo di sushi, i rischi alimentari e problemi sanitari dovuti a questo parassita sono di rilevanza tutt’altro che marginale, e rappresentano una vera e propria gatta da pelare per chi si occupa di salute pubblica. Ogni anno in Giappone sono circa 3000 le operazioni d’urgenza effettuate su persone infettate dall’Anisakis, e purtroppo si registrano diverse decine di morti all’anno. In Italia, parallelamente alla diffusione del consumo di pesce crudo, i casi di Anisakis sono cresciuti esponenzialmente; le statistiche, tuttavia, sono frammentarie poiché non esiste, al momento, un sistema di raccolta obbligatorio dei dati relativi a queste contaminazioni.

Purtroppo l’Anisakis è in buona compagnia: questo non è il solo parassita potenzialmente presente nel pesce crudo, ma si rischiano anche infezioni dal verme trematode Clonorchis e dal cestode (verme piatto) Diphyllobothrium. Anche nel caso di infezione da questi parassiti, i sintomi sono perlopiù a carico dell’apparato gastrointestinale.


Esistono almeno due problemi sui quali però vale la pena soffermarsi: il primo è che, spesso, i ristoratori sfuggono ai controlli e non rispettano il periodo di congelamento previsto sancito dalla legge. Questo può accadere, ad esempio, per negligenza oppure per ridurre i tempi di permanenza del prodotto (e velocizzarne la vendita). Il secondo problema è che, in alcuni casi, attraverso il processo di congelamento e scongelamento alcune delle caratteristiche organolettiche del pesce (colore, sapore, texture) si alterano irreversibilmente, e alcuni ristoranti scelgono di non congelare il pesce proprio per offrire un prodotto di qualità superiore. Una maggior qualità che si può, però, anche pagare cara.

Attenzione, però: anche se il pesce viene sottoposto al congelamento (eliminando, perciò, i parassiti animali), rimangono seri rischi per la salute rappresentati dalla presenza di microorganismi. Batteri e vibrioni di vario tipo, infatti, sono immuni al processo di congelamento. L’unico modo di eliminarli è l’accurata cottura del cibo: ovviamente, però, non si tratterebbe più di sashimi.

Il congelamento distrugge i parassiti, l’accurata cottura annienta i microorganismi; esiste tuttavia un altro rischio per la nostra salute, che né cottura né congelamento possono debellare: il problema dei metalli pesanti (soprattutto il famigerato mercurio) nei tessuti animali. Il mercurio, in particolare, è presente negli oceani a causa di fenomeni di inquinamento atmosferico, e vi arriva mediante le precipitazioni. Il livello di contaminazione degli organismi è proporzionale alla loro taglia ed alla posizione nella catena alimentare: i pesci predatori di grandi dimensioni, come il tonno, presentano generalmente le concentrazioni più alte di metalli pesanti. Queste specie ittiche di grandi dimensioni rientrano spesso all’interno delle preparazioni a base di sushi; ovviamente, non si incorre nei problemi legati ai metalli pesanti esclusivamente cibandosi di questa specialità gastronomica, ma anche acquistando la classica scatoletta al supermercato.

Ad esempio, il tonno tende ad accumulare mercurio all’interno dei suoi tessuti poiché si trova al vertice della catena alimentare marina. Se consumato in grandi quantità, il problema del mercurio può interessare anche l’uomo: sono stati registrati casi di intossicazione anche gravi dovuti a questo metallo pesante. E non c’è affatto da scherzare sugli effetti dell’accumulo di mercurio nell’organismo: si va dalle patologie delle mucose (asma, congiuntiviti, riniti allergiche) a quelle di fegato, pancreas e reni; fra gli effetti più gravi, oltre al cancro, ci sono anche alterazioni a carico del sistema nervoso centrale che causano epilessie, sclerosi e distrofie.

Se pensate che il problema sia marginale, i risultati di una ricerca condotta su 100 campioni di sushi (tonno) venduti nei ristoranti e nei supermercati di New York ha dato risultati agghiaccianti: la concentrazione media di mercurio superava la concentrazione stabilita per legge oltre la quale sono comprovati i rischi per la salute umana.

E non è tutto: anche il consumo di pesci ‘grassi’ come il salmone nasconde un’insidia, dovuta all’accumulo di diossina. Il salmone ha infatti carni particolarmente ricche in lipidi, e la diossina è una molecola liposolubile (cioè affine alle sostanze grasse ed in grado di rimanere legata ad esse). Accade che, quindi, sempre per via della loro posizione dominante nella catena alimentare, in zone contaminate da diossina questi pesci presentano elevate concentrazioni della pericolosa molecola, riconosciuta come tossica e cancerogena. Addirittura, una ricerca di qualche anno fa svolta sui salmoni in vendita nei negozi dell’America settentrionale mirava ad identificare la quantità ‘tollerabile’ di salmone che un uomo poteva consumare annualmente, senza correre il rischio di danni gravi da diossina.

Naturalmente, questo problema non è circoscritto al sushi in sé, ma è relativo ad un’ottica più ampia, ovvero al consumo di pesci predatori di grandi dimensioni. Sarebbe buona norma, indipendentemente dalla modalità di consumazione, cercare di non mangiare troppo frequentemente salmone, tonno o pesce spada.

Un consiglio che può sembrare banale, ma è bene diffidare dei costi eccessivamente bassi del sushi. Il pesce freschissimo, essendo un prodotto di qualità, necessariamente ha il suo prezzo. Soprattutto i take-away offrono spesso piatti sospettosamente economici: quando sono troppo bassi, diffidatene.

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