Genti di stirpe mongola colonizzarono l’arcipelago circa 15 mila anni fa e cominciarono le coltivazioni di riso, il loro principale alimento. Poi vennero gli spagnoli, che portarono piatti come la caldereta, le empanadas e i tamales per arricchire la dieta molto basilare delle popolazioni locali. I britannici fecero una fugace apparizione nella seconda metà del Settecento, ma non lasciarono tracce “golose”. Infine gli Americani, che si stabilirono qui alla fine dell’Ottocento e rimasero fino alla Seconda Guerra Mondiale, lasciarono un “tatuaggio” culturale più evidente: qui quasi tutti parlano inglese (con accento yankee), e non sono affatto rari i fast food.
Ma a livello gastronomico, ben più interessante e profonda è stata l’influenza cinese, vista anche la cospicua immigrazione da quel Paese. La gastronomia pinoy (termine col quale i filippini definiscono colloquialmente se stessi) può contare su un gran numero di ingredienti freschissimi (pesce, frutti di mare, riso, cocco, frutta esotica, usata anche in preparazioni salate) e anche di metodi di cottura mutuati dai diversi Paesi dell’area, che si fondono e si integrano per dare emozioni inconsuete al palato. Le salse all’aglio e pomodoro provengono dalla Spagna, i curry e l’uso del latte di cocco dalla Malesia, la salsa di soia, gli agrodolci e le combinazioni a base di zenzero sono invece proprie della cucina cinese. La paella è una delle pietanze più diffuse, come tanti altri piatti a base di arroz (riso), come l’arroz valenciana (un’altra paella di pesce) e il bringhe (un piatto di riso colloso con latte di cocco). La salsa di soya è onnipresente in cucina e qui serve a condire soprattutto le carni. La preparazione più popolare ovunque è però l’adobo, uno stufato di maiale con aglio, salsa di soia, foglie di alloro e aceto (ogni provincia delle Filippine ha il suo tipo peculiare) per creare un intingolo agrodolce che si cucina però con metodo spagnolo.
Dalla Madrepatria sono arrivati anche i chorizos, le salsicce alla paprika. Il pesce freschissimo (dai gamberi alle cernie, dalle seppie ai granchi) è portato in tavola sotto forma di seviche (crudo e marinato nell’aceto), o kilawin, quando alla seviche si aggiunge abbondante chili affettato e crema di cocco. Esiste una variazione sui tagliolini cinesi detta pancit (addirittura vengono serviti in locali “dedicati”, le panciterias e conditi con un’infinita varietà di salse, dalle ostriche a una salsa di gamberi e uova di anatra). In ogni festa popolare non manca mai il lechon, maialino di latte stufato con foglie aromatiche. I dessert a base di riso e latte di cocco sono di derivazione malese, come il bibingka, una torta di riso cotta in un forno portatile di terracotta e insaporita da foglie di banana e clay. Si trova anche sottoforma di street food. L’halo-halo, però, è forse il dessert più famoso: si tratta di una coppa di vetro riempita con fagioli e ceci sottoconserva e dolcificati, polpa di cocco (macapuno), langka (jackfruit), riso, radice di igname, ghiaccio tritato, flan de leche (tipo budino di latte), banane dolcificate, latte. E per finire, una guarnizione di gelato.
I filippini mangiano (almeno) cinque volte al giorno e, a metà mattinata e a metà pomeriggio, fanno sempre merenda. Il breakfast (almusál) consiste in riso fritto con uova e pan de sal (dei panini dolci) mangiati caldi e caffè forte. Per il tanghalían (pranzo) o la hapúnan (cena) vengono serviti (tutti insieme, nello stesso momento) tanti piatti diversi: riso, zuppe, stufati, verdure soffritte, condimenti. Le pietanze vengono chiamate a seconda del metodo di cottura, piuttosto che riferendosi all’ingrediente principale: così, ad esempio, il kare kare è un curry leggero cucinato in una sublime e “setosa” salsa di arachidi. Per la merenda, i filippini che stanno fuori casa, in viaggio o al lavoro, hanno a disposizione un “eden” di street food.
Ovunque, nelle caotiche strade di Manila, come nei mercati dei villaggi più piccoli, si trovano bancarelle con ogni leccornia locale. Fra gli street food più popolari: banana cue (banane infilzate su uno stecco di legno, rotolate in zucchero di canna e poi fritte); betamax (cubetti di “sangue di pollo essiccato” e arrostito); kamote (una patata dolce pelata, passata nello zucchero di canna e poi fritta); chicharon (ciccioli). Poi le polpette di pesce o di calamari, messe su uno spiedino e poi condite con una salsa agrodolce ; gli isaw (intestini di pollo); le kwek-kwek (uova di quaglia bollite, intinte nel burro e poi fritte); le tokneneng (simili alle kwek-kwek ma preparate con uova di gallina).
La cucina filippina è un insieme armonico delle varie cucine cinesi, giapponesi, malesi,americane e spagnole. La base dell'alimentazione è il riso bollito seguito dalla frutta quale il mango, la papaia e la banana. La cottura della carne si effettua arrosto o nel latte di cocco. Naturalmente è una cucina molto legata alle attività ed alle risorse marittime: le grandi quantità di pesce che sono portate a riva, in bilancieri di legno, vengono cucinate in pentole di argilla. Nell'antichità il sopraggiungere di mercanti cinesi e di colonizzatori spagnoli su queste isole ha portato alla diffusione di nuove abitudini alimentari.
Gli "involtini primavera" e la pasta glutinata furono introdotti dai mercanti cinesi, mentre i colonizzatori spagnoli importarono le "empanadas" e lo "chorizo", una sorta di salsiccia piccante di maiale ed aglio. Nella cucina filippina si utilizza spesso la soia o il succo di agrumi per marinare i cibi, rendendoli così particolarmente agri.
Il dolce più tipico delle Filippine è l'halo halo, fatto con riso insaporito con caramelle, frutta e latte, mentre insieme alle bevande alcoliche vengono serviti i pulutan (stuzzichini). L'halo halo talvolta viene fatto con uno zucchero particolare che viene coltivato e usato proprio nelle Filippine, che si chiama Mascobado. Lo zucchero Mascobado è uno zucchero integrale estratto dalla canna, di colore scuro, che viene prodotto con un metodo semplice e artigianale, che gli permette di conservare tutti i suoi principali principi nutritivi. Quando si assaggia questo zucchero lo si può riconoscere perché in bocca lascia un retrogusto di liquirizia
La maggior parte della popolazione è di cultura cristiana, ma non si può trascurare la presenza di cultura islamica sull’isola di Mindanao, dalla quale provengono molti immigrati. Sopravvivono inoltre credenze ancestrali che, sia pure solo per “tradizione”, sono ancora rispettate.
Tra queste, ad esempio, il non nutrirsi di quelle parti dell’animale che nel soggetto che le assume presentano una patologia: non si mangia il fegato se si è affetti da un’epatopatia o il cervello se si soffre di emicrania. Così pure vengono spesso evitati quei cibi (in genere di origine vegetale) il cui “comportamento” è simile a quello della malattia da cui si è affetti: ad esempio piante rampicanti se si hanno patologie cutanee che si “diffondono” sulla pelle. In modo particolare, per ciò che riguarda i bambini si ritiene che questi non debbano mangiare i frutti di vari tipi di palma qualora soffrano di convulsioni (lamen) perché le fronde delle palme oscillano e “tremano” al vento. Per il pericolo di cadere a testa in giù o sottosopra sono pure proibiti i pipistrelli e le tartarughe. Numerosi sono i tabù alimentari relativi alla gravidanza, molti dei quali tendono a porre una corrispondenza tra umanità e animalità, oppure tra la vita dell’animale e i possibili danni alla madre: mangiando un determinato animale il bambino ne assumerà i comportamenti, oppure, ingerendo il polipo, questo rischierebbe di trattenere il bambino all’interno dell’addome. Particolare attenzione viene posta all’allattamento e in modo particolare, agli alimenti che possono favorirlo. Tra questi ci sono le patate dolci e i frutti di mare univalvi. Particolarmente interessante sul piano culturale, è la proibizione di alcuni alimenti per semplice “assonanza linguistica” come ad esempio un tipo di fagiolo detto kadièsche ricorda il suono di adiòs (arrivederci) e quindi indurrebbe l’abbandono delle forze o una particolare zucca detta kalubay,che potrebbe indurre stanchezza (malubay).
La cucina presenta caratteristiche piuttosto acidognole: quasi tutto è cotto con aceto e spremute di agrumi. Una cucina poco conosciuta all’estero, che però si propone come crocevia gastronomico tra Asia e Spagna, con influenze dal Messico - la colonia di Madrid che per secoli è stata il ponte tra la madrepatria e le isole asiatiche - e dalla Cina. Certo, i novanta milioni di Filippini sono asiatici molto particolari in tutte le loro manifestazioni, non solo nell’arte culinaria.
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