mercoledì 4 novembre 2015

CIBI CONTRAFFATTI



Si chiama “Italian sounding” ed il fastidioso fenomeno dell’imitazione di prodotti italiani all’estero  ben conosciuti e apprezzati, per vendere a prezzi maggiorati prodotti di scarsa qualità. E l’Italia ogni anno perde qualcosa come 26 miliardi solo in Europa, ma se si riuscisse a combattere tale fenomeno in tutto il mondo potrebbe rientrare, ogni anno, di quasi 60 miliardi di euro.  E’ la fotografia che emerge dall’ultimo rapporto di Legambiente e  Movimento Difesa del Cittadino  sulla sicurezza alimentare realizzato grazie ai contributi dell’Agenzia delle Dogane, Carabinieri per la Tutela della Salute (Nas), Carabinieri per le Politiche Agricole e Alimentari (NAC), Capitanerie di Porto, Corpo Forestale dello Stato, Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi (Icqrf) e Ministero della Salute.

Uno sguardo su “contraffazioni, usurpazioni dei marchi, dell’origine italiana dei prodotti e di tutta la qualità che la nostra tradizione enogastronomica rappresenta – scrive Legambiente -. Già nel primo rapporto del 2004 raccontavamo dell’uso illecito della denominazione protetta da parte di prodotti non certificati, quali formaggi e oli extra vergini. Nel 2012, da nord a sud dello stivale, oggetto di sequestri e sanzioni sono stati oli deodorati, vini falsi venduti in nero, formaggi imitati, prodotti ittici anonimi e pomodoro cinese spacciato come italiano. Un caso eclatante è rappresentato dal settore del vitivinicolo, nel quale, ad esempio ICQFR ha registrato il maggior numero di sequestri (il 47%), pari ad un valore di  oltre  20 milioni di euro.  Non minori gli illeciti rilevati dalle indagini dei  NAC sulla filiera del pomodoro, con particolare riferimento alle produzioni Dop San Marzano e biologico: evocazione in etichetta e sui documenti di vendita di falsi marchi Dop, falsi disciplinari di qualità, assenza di tracciabilità”.

Dedicando il consueto spazio alla situazione nazionale, l’edizione 2013 del rapporto contiene anche un focus sui principali scandali alimentari avvenuti a livello europeo dal 2000 ad oggi. Una panoramica, il cui denominatore comune è rappresentato dalle emergenze sanitarie che hanno portato ad importanti cambiamenti a livello normativo, volti a tutelare il consumatore e la sicurezza degli alimenti.

“Il consumatore continua ad essere ancora vittima inconsapevole delle frodi alimentari  -  dichiara Antonio Longo, Presidente del Movimento Difesa del Cittadino -. Da quando si verificò l’epidemia della Bse, responsabile di ben 225 morti in Europa, il livello di attenzione istituzionale e sociale ha posto nuovi problemi da risolvere e sfide da raccogliere. Tanti i progressi, ma lunga ancora la strada per una vera tutela del consumatore e del Made in Italy.”.

Uno dei principali fattori che favoriscono questo tipo di situazioni è che  per i prodotti alimentari scambiati all’interno dell’Unione europea non esiste, ad oggi,  alcun tipo di restrizione.



La contraffazione alimentare è la sostituzione totale di una sostanza alimentare con un’altra il cui pregio è nettamente minore. Per fare un esempio pratico: la vendita di olio di semi spacciati per olio di oliva, oppure la vendita di margarina “mascherata” da burro. Può accadere, inoltre, che a sostanze sane si vadano a sostituire sostanze pericolose per la salute.
Diversamente si parla di adulterazione alimentare quando ci si riferisce a quelle operazioni che prevedono la modificazione di componenti di un prodotto alimentare per ricavarne un maggiore rientro economico, come ad esempio la vendita di latte parzialmente scremato come latte intero; in questo caso non si arrecano danni alla salute.
La sofisticazione alimentare è rappresentata dall’aggiunta fraudolenta di sostanze estranee per coprire eventuali difetti e migliorare l’aspetto estetico; in questo caso si può arrecare danno alla salute. Nel caso invece, di alterazione alimentare la variazione non è provocata dall’uomo in modo voluto, ma si tratta di modifiche di tipo degenerativo o spontaneo, legate ad esempio ai tempi di conservazione.

In Germania si beve il «Kresecco», in Argentina il «Bordolino»; in Spagna si mangia la «Mortadela Siciliana», in Argentina la «Provoleta». E poi c’è il «Parmesan» australiano, con la garanzia «perfect italiano» sulla confezione, mentre la tedesca «Zottarella» è accostata a basilico e pomodoro a evocare la nostra bandiera.
Sono solo alcuni dei paradossali prodotti «italian sounding» che la Coldiretti ha scelto di mostrare nel suo Padiglione a Expo: una galleria a prima vista esilarante, ma che nella realtà comporta una perdita che Roberto Moncalvo, presidente della maggiore associazione agricola italiana, quantifica in 60 miliardi di euro di fatturato e 300 mila posti di lavoro. Come risposta, all’assemblea nazionale di Coldiretti il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ha ricordato le 500 azioni di tutela del «made in Italy» agroalimentare in Europa e nel mondo: «Abbiamo sfruttato meglio di ogni stato membro dell’Ue la protezione prevista dalla normativa europea. Dobbiamo insistere per arrivare al consumatore, per aiutarlo a distinguere le nostre eccellenze dai falsi».

Una battaglia che vede Coldiretti e il governo nazionale in sostanziale convergenza di intenti, così come quella recente sul formaggio prodotto con latte in polvere, più volte evocata in assemblea. Anche qui, ha insistito Moncalvo, «non è solo un attacco a 36 mila stalle, ma all’identità italiana nel suo complesso».
Peraltro, i dati portati in assemblea parlano di un agricoltura in recupero, con un 7 per cento di aumento trainato da vari fattori: ripresa economica, tasso di cambio, ma anche l’effetto positivo dell’Expo, quantificato da Coldiretti per esempio in una crescita del 5,9 per cento delle presenze alberghiere, soprattutto straniere, nel primo mese dell’esposizione.
Positivi anche i dati sull’occupazione: il settore registra un aumento del 6,2 per cento, che sale al 12 per cento considerando i giovani con meno di 35 anni. Quest’estate si stima che quasi 200 mila giovani troveranno lavoro in ambito agroalimentare; già il settore dà opportunità di occupazione a circa 1,6 milioni di lavoratori, con il comparto ortofrutta leader con 374 mila unità lavorative, seguito da quello della carne (350 mila). Tali numeri annoverano 322 migranti regolari, senza i quali, ha rimarcato Moncalvo, «la qualità del nostro cibo non sarebbe possibile: vanno ringraziati per l’aiuto a dare dignità e futuro al nostro lavoro, e vanno tutelati contro sfruttamento e lavoro nero».

Parlando di sfruttamento, Rolando Manfredini, responsabile dell’Area Sicurezza Alimentare e Produttiva dell’associazione, segnala che la produzione di piatti e prodotti alimentari falsamente italiani, sui quali verte la mostra sul «made in Italy sfregiato», avviene in un Paese su quattro. «Al contrario di quel che si pensa, a taroccare i nostri prodotti non sono i Paesi poveri ma soprattutto i più ricchi o emergenti: Stati Uniti, Australia, Cina, Canada, Germania.
Basti pensare che il 99 per cento dei formaggi “italiani” venduti negli Usa è realizzato in California e Wisconsin. In Canada hanno registrato un loro finto San Daniele, così quello vero non si può vendere. Accanto ai nomi storpiati, alla descrizione del prodotto come italiano, ciò che irrita è l’appropriazione del territorio, con la quale c’è chi garantisce di vendere un “Parma Salami Genova” (rumeno), un Chianti bianco (svedese), un “Firenza Salami” (tedesco), un “Finocchiono” Milano (americano), un “Salame Toscana” (danese)».
Ci sono anche dei kit per farsi in casa «autentici» ricotta e mozzarella, oppure un barolo «invecchiato» per soli 28 giorni. Con il kit peraltro il vero falsario diventa il consumatore americano o canadese. Completano la mostra le immancabili allusioni: il «Caffé Mafiozzo», prodotto in Bulgaria, la «Salsa Maffia», prelibatezza belga, il «Fernet Mafiosi», tedesco così come la salsa «Palermo Mafia shooting». Al confronto, meglio gli immancabili paisà baffoni sui prodotti «made in Australia».




Gli italiani, secondo numerosi sondaggi, sentono molto il problema della sicurezza alimentare e vorrebbero avere maggiori certezze riguardo il cibo che acquistano e che consumano, soprattutto in relazione ai nuovi fenomeni come il cosiddetto “Italian Sounding”, la pratica imitativa che lede l’immagine del prodotto italiano.
Il concetto di “Italian Sounding” è legato a quello di agro pirateria, con una evidente connotazione negativa che spesso si associa a un inflazionato e non sempre accertato “made in Italy” in ambito alimentare. Con Italian Sounding si definisce un nome di un prodotto alimentare riconducibile alla tradizione agroalimentare italiana; un caso tipico è quello del “Parmesao”, il cui nome evoca immediatamente il “parmigiano” ma che invece è un formaggio che gli assomiglia per forma e sapore ma la cui origine non è quella del parmigiano originale.
Insomma, produttori e distributori utilizzano semplicemente un nome che “suona italiano” per tentare il consumatore, perlopiù straniero, all’acquisto di un prodotto che evoca le bontà gastronomiche italiane, ma che di fatto cela una vera e propria frode alimentare.
Si tratta, quindi, di un fenomeno che nella valutazione dei danni causati da vendita non conforme alle leggi vigenti, ha certamente un suo peso e che richiede un monitoraggio serio e puntale, tanto più necessario quanto in relazione ai maggiori e esponenziali sviluppi a livello globale dell’industria alimentare e dell’impatto economico che essa ha sulla società.
Vi è da tenere presente che la crescita del fenomeno della contraffazione alimentare avrà diverse ricadute negative, tra le quali:
- Minacce e danno sulla salute e sulla sicurezza dei consumatori;
- Contrazione fiscale;
- Contrazione del Pil dei paesi coinvolti;
- Diminuzione del fatturato delle aziende “oneste”;
- Calo della fiducia dei consumatori;
- Complessivo danno per l’economia e al “made in Italy”.

Tra i metodi più efficaci per contrastare il fenomeno della contraffazione alimentare vi sono:
- Obbligo normativo sul luogo di origine del prodotto;
- Maggiori controlli da parte degli organi di vigilanza;
- Sistemi di tracciatura automatica;
- Sanzioni più severe;
- Maggiori risorse umane dedicate allo smascheramento della contraffazione alimentare;
- Collaborazione tra organi pubblici e privati;
- Certificazioni di qualità;
- Brevetti;
- Marchi aziendali e collettivi;
- Riconoscimenti quali Dop, Igp ecc.

Ma come si può difendere, invece, il semplice consumatore? Prima di tutto utilizzando la sua conoscenza delle materie prime, la loro storia, la loro provenienza ecc. Poi prediligendo cibi sani, cucinati direttamente in cucina e, a fronte di situazioni sospette, rivolgersi prima al gestore del negozio nel quale è stato acquistato il prodotto e poi, se necessario, rivolgersi agli organi competenti.

La contraffazione è un reato penale e come tale va perseguito dalla legge, che in materia lo tratta seguendo i seguenti articoli:
Art. 473: “Chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell'ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire quattro milioni.”.
Art 474: "Chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti dall'articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire quattro milioni".

La merce contraffatta può essere venduta in circuiti e canali distributivi vari, ad esempio mercati, bancarelle, Internet ma anche negozi classici.
A questo proposito, la Guardia di Finanza offre diversi consigli per fare attenzione a non compiere acquisti che potrebbero frutto di contraffazione:
- Porre molta attenzione agli acquisti fatti tramite Internet.
- Diffidare delle vendite porta a porta.
- Valutare sempre attentamente il rapporto qualità/prezzo (se un olio extravergine di oliva è venduto a poco dovrebbe sempre far insospettire)
- Controllare sempre attentamente le etichette e la conformità della confezione, che non sia ammaccata, che l’etichetta sia chiara e ben leggibile e che l’inchiostro non sia cancellato.





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