venerdì 25 settembre 2015

Leggiamo Le ETICHETTE ALIMENTARI



Sapere esattamente dove e chi fa ciò che mangiamo. E' il senso della battaglia sul mantenimento nelle etichette alimentari dell'obbligo di indicare lo stabilimento di produzione. Obbligo prima sancito dalla legge italiana (lo prevedeva il D. Lgs 109/92). Ma che è stato abrogato dalle norme europee, ossia dall'entrata in vigore il 13 dicembre 2014 del Regolamento Ue 1169/2011 sulla nuova etichettatura dei cibi. La normativa europea, infatti, si limita a imporre l'obbligo di indicare solo il responsabile legale del marchio, che non serve a identificare esattamente la fabbrica nella quale è stato elaborato il prodotto. Per intenderci: una sede legale a uno stesso indirizzo e numero civico può rappresentare legalmente marchi e prodotti che vengono fatti in stabilimenti diversi e anche all'estero. L'indicazione della fabbrica, adesso, è facoltativa. Ma è facilmente intuibile che le grandi multinazionali europee della distribuzione, non più costrette a fornire questa indicazione e quindi non passibili di alcuna sanzione, tenderanno a eliminarla dai prodotti commercializzati con il loro marchio (detti anche 'private label'). Come del resto sta già accadendo.

Perché l'Europa ha deciso di eliminare questa importante indicazione? Secondo Brogna il vero scopo è quello di "nascondere  i copacker, ossia le aziende che realizzano e forniscono prodotti per le catene europee della grande distribuzione, in modo da poter creare nuove marche senza dire ai consumatori chi le produce. Insomma, l'ennesimo favore alle multinazionali del cibo".

La sede dello stabilimento in etichetta non è un'informazione di poco conto, ma di fondamentale importanza, per almeno cinque motivi:
1. Permette di difendere il vero made in Italy e garantisce un maggior controllo sulla tracciabilità e la sicurezza dei prodotti. Ad esempio, se lo stabilimento trasloca all'estero, il cibo perde completamente la sua identità di "fatto in Italia". Ma il consumatore non ne sa nulla, a meno che qualcuno si prenda la briga di informarlo.

2. I marchi italiani nelle mani di gruppi stranieri e multinazionali del cibo sono parecchi, nell’alimentare come in altri settori. "Il vero problema – spiega Dario Dongo, avvocato esperto di diritto alimentare, fondatore di Great Italian Food Trade - è costituito dai gruppi che con un marchio italiano in tasca, magari pure una sede legale in Italia riescono a mandare tutti a casa e delocalizzare la produzione all’estero, continuando a vendere i prodotti con marchi italiani storici nel nostro Paese e nel mondo".

3.L'indicazione dello stabilimento di produzione serve a facilitare e abbreviare i tempi di gestione delle crisi di sicurezza alimentare, poiché è più semplice risalire all’origine del problema quando si può facilmente identificare la fabbrica da cui il prodotto proviene.

4. Garantisce al consumatore una scelta informata di acquisto, che ragionevolmente può tendere a favorire gli alimenti realizzati in un determinato luogo da uno specifico produttore. Non solo per "campanilismo", ma anche come riconoscimento del valore delle tradizioni e della cultura materiale dei singoli territori.

5. L'indicazione dello stabilimento, infine, consente di capire se due prodotti anche se di marca diversa vengono fatti dallo stesso produttore. Quindi il consumatore conoscendo il produttore può risparmiare facendo la scelta più conveniente in rapporto qualità-prezzo, scoprendo ad esempio che un prodotto del discount o del supermercato può essere a volte uguale a quello di marca.

Le petizioni, le interrogazioni a Bruxelles, le interpellanze urgenti dei parlamentari del M5s (con i deputati Paolo Parentela e Giuseppe L'Abbate in prima linea), hanno ottenuto come primo risultato l'attenzione del ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina che, sia pure tardivamente rispetto alla data di applicazione del regolamento Ue 1169/2011, ha saputo raccogliere questa istanza diffusa, dichiarando la propria volontà a notificare alla Commissione europea la norma nazionale. Ma l’onere della notifica ricade anche su un altro dicastero, quello dello Sviluppo Economico. La titolare, Federica Guidi, ha risposto convocando i rappresentati della filiera produttiva attorno a un tavolo. Al termine della riunione tenutasi l'11 febbraio, le parti hanno deciso di attivare immediatamente a Bruxelles tutte le "verifiche necessarie" per ripristinare l'obbligo. "I canali con Bruxelles sono stati aperti", ci assicurano dal Mise. Ma per gli attivisti non è abbastanza: "Da qualche parte ci deve essere qualcuno che frena - conclude Brogna - rimaniamo in attesa di vedere progressi e azioni concrete a livello legislativo in Italia e in Europa e anche nel futuro TTIP".



L'articolo 39 del Regolamento europeo sull'etichetta prevede che gli Stati membri possano introdurre obblighi aggiuntivi ma solo per categorie specifiche di alimenti purché siano giustificati da uno dei seguenti motivi: protezione della salute pubblica e dei consumatori, prevenzione delle frodi, protezione dei marchi, delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni di origine controllata e per la repressione della concorrenza sleale. Proprio questo articolo ci permetterebbe di reintrodurre nella legislazione italiana l'indicazione della sede di produzione in una forma tale da non poter essere censurata da Bruxelles.

In realtà, alcune informazioni sono obbligatorie e regolamentate per legge, mentre altre sono facoltative o complementari.

Per legge, l'etichetta alimentare è definita come "l'insieme delle menzioni, delle indicazioni e dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono ad un prodotto alimentare e che figura direttamente sull'imballaggio o sulla confezione o su una etichetta appostavi o sui documenti di trasporto".
Il requisito principale dell'etichetta alimentare è quello di INFORMARE il consumatore sulle reali caratteristiche del prodotto, al fine di orientarne al meglio la scelta commerciale. Ciò prevede, quantomeno, una totale chiarezza e il divieto verso qualunque tipo di illusione qualitativa e nutrizionale.
I requisiti da garantire tramite l'etichetta alimentare sono:
Chiarezza
Leggibilità (tipografia e dimensioni) e Facilità di lettura (grafica)
Indelebilità
Secondo questi criteri, il produttore è tenuto a citare con attenzione soprattutto le seguenti specifiche:
Marca
Denominazione
Peso sgocciolato (privo delle porzioni non eduli come, ad esempio, il liquido di governo)
Quantità netta (priva di tara)

Il 25 ottobre 2011, il Parlamento Europeo e il Consiglio dei Ministri hanno adottato il Reg. UE 1169/2011, con il quale vengono abrogate le direttive 2000/13/CE e 90/496/CE, proponendo alcune variazioni al fine di appianare le divergenze presenti tra i vari paesi membri.
Tali discrepanze (logica conseguenza di specifici interessi industriali, agricoli ecc.) interferivano col libero scambio delle merci, poiché regolamentato da: tracciabilità in condizioni di emergenza sanitaria e tutela della salute dei consumatori.
Tale Regolamento, pubblicato in GUE il 22.11.2011, diverrà operativo dal 13 dicembre 2014 (eccetto l'obbligatorietà della dichiarazione nutrizionale che avverrà dal dicembre 2016) e interessa ESCLUSIVAMENTE i prodotti pre-confezionati o pre-imballati; nel caso in cui il prodotto venga proposto senza confezione o venga pre-imballato sul punto vendita, le indicazioni da apporre obbligatoriamente sono a discrezione dello Stato membro (art. 44).
Il campo di applicazione delle etichette è rappresentato dai prodotti alimentari stessi, che possono essere venduti nelle seguenti forme:
Sfusi: senza alcuna confezione (frutta, ortaggi, gastronomia ecc.); le indicazioni vanno affisse sul recipiente di vendita: denominazione, elenco ingredienti, eventuali allergeni e, se previste, data di scadenza e modalità di conservazione
Preincartati: confezionati sul luogo di vendita al momento o poco prima dell'acquisto (pane, carne fresca, formaggi, salumi ecc.). Devono presentare obbligatoriamente qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico che provochi allergie o intolleranze ancora presente nel prodotto.
Preconfezionati: venduti in confezioni già applicate dal produttore e in cui l'alimento rimane fino al momento del consumo senza subire alterazioni. Sono quelli più diffusi e anche i più soggetti a restrizioni normative.



Nel complesso, l'etichetta alimentare completa di un prodotto preconfezionato deve citare obbligatoriamente (art. 3 D.lgs 109/92):
Denominazione di vendita
Elenco degli ingredienti
Termine minimo di conservazione o data di scadenza
Nome, ragione sociale o marchio depositato, e la sede del fabbricante o del confezionatore o di un venditore residente nella UE
Sede dello stabilimento
Quantità netta o quantità nominale di produzione o confezionamento
Titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande aventi un contenuto alcolico >1,2%
Lotto di appartenenza
Modalità di conservazione ed eventualmente utilizzo
Quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti oppure se ne è presente uno caratterizzante.
Inoltre, secondo l'art. 9 del Reg. UE 1169/2011, devono essere riportati obbligatoriamente anche:
Qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico ancora presente nel prodotto (come nei preincartati) che provochi allergie o intolleranze
Paese di origine e luogo di provenienza
La dichiarazione nutrizionale, che deve riportare le seguenti diciture:
il valore energetico;
la quantità di determinati nutrienti che rientrano nella composizione, i lipidi, i grassi saturi, nonché una dicitura specifica per zucchero e sale.
Il regolamento stabilisce anche che non è obbligatorio l'inserimento del'etichetta nutrizionale nei prodotti confezionati in maniera artigianale o forniti dal fabbricante in piccole quantità, oppure preparati nei locali che forniscono direttamente il prodotto al dettaglio.

Tante più indicazioni sono presenti sull'etichetta e tanto migliore sarà il giudizio alimentare su quel determinato prodotto.
Generalmente, un prodotto di qualità viene valorizzato elencando le sue proprietà nutrizionali e pubblicizzando la natura e l'origine dei suoi ingredienti.
Per esempio la dicitura "olio extra vergine di oliva di prima spremitura " anziché "olio di oliva" valorizza il prodotto, perché specifica una caratteristica ben precisa di un suo ingrediente.
Il produttore è obbligato, per legge, a rispettare la veridicità delle informazioni riportate in etichetta, per cui il termine "extravergine di prima spremitura" deve essere per forza di cose veritiero.
La descrizione del metodo di produzione, certificazioni di qualità, ricette e numero verde di assistenza clienti contribuiscono ad elevare ulteriormente la qualità del prodotto.

L'ordine con cui gli ingredienti appaiono in etichetta non è casuale, ma è regolato per legge. In particolare i vari componenti devono comparire in ordine decrescente di quantità. Significa che il primo ingrediente dell'elenco è più abbondante del secondo, che a sua volta è più abbondante del terzo e così via.
Pertanto, controllando l'ordine degli ingredienti di due prodotti simili possiamo farci un'idea su quale dei due sia qualitativamente migliore. Se per esempio nell'etichetta alimentare di due biscotti l'ordine di olio extra vergine di oliva e margarina è invertito è meglio scegliere quel prodotto in cui l'olio extra vergine di oliva compare per primo.
ATTENZIONE ALLE TRUFFE: Poiché gli ingredienti appaiono in ordine di quantità, alcune etichette alimentari possono trarre in inganno il consumatore. Se per esempio vengono utilizzati due tipi diversi di grassi (margarina e strutto), questi compaiono in etichetta come due ingredienti distinti. In realtà appartengono entrambi alla categoria dei grassi e nel loro insieme possono rappresentare un quantitativo superiore (ad es. 25 + 25 = 50%) a quello impiegato per la produzione di un secondo prodotto in cui il termine strutto compare prima tra gli ingredienti (40%) ma che non viene associato ad altri grassi. In questo caso il contenuto lipidico del secondo prodotto è inferiore.

Accade spesso che il consumatore sia tratto in inganno dalle dimensioni delle confezioni.
Prendiamo per esempio due tavolette di cioccolato delle stesse dimensioni. La prima costa 1 euro ed è spessa 1 cm (100 grammi), mentre la seconda costa 0,90 € ed è spessa 0,6 cm (60 grammi). Se il consumatore sceglie il cioccolato in base alla dimensione della confezione sarà portato ad acquistare il secondo prodotto, ignaro della differenza di peso dei due alimenti.

Come riportato (anche se con il vecchio trucco dei caratteri minuscoli) sull'etichetta alimentare, l'immagine illustrativa sulla confezione ha il solo scopo di richiamare l'attenzione del consumatore e non è necessariamente legata all'aspetto reale del prodotto.
Allo stesso tempo è bene verificare l'integrità della confezione accertandosi che non presenti segni di danno o rigonfiamenti.
ATTENZIONE ALLE TRUFFE: non fidatevi della scritta promozionale "senza zucchero" ma leggete attentamente le etichette. Se tra gli ingredienti compare una delle seguenti diciture "sciroppo di glucosio" "sciroppo di fruttosio" "maltosio" "amido di mais" "sciroppo di cereali" l'alimento contiene indirettamente dello zucchero. Queste sostanze infatti hanno un alto indice glicemico che le rende del tutto simili al saccarosio.

A parità di qualità e prezzo è buona regola preferire alimenti confezionati con materiale riciclato/riciclabile.







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