Le nutrie vengono mangiate da sempre in Sudamerica. La loro carne è infatti reputata talmente prelibata che la si associa spesso a quella di lepre e coniglio, tanto da spingere alcuni ad allevarle e commercializzarle.
Nella Germania in crisi dopo il primo conflitto mondiale era presente sulla tavola delle popolazioni rurali, tant’è che ancora oggi la carne di nutria è venduta nel centro Europa.
Pure l’Italia, in passato, non è stata estranea a questa discutibile pratica alimentare. Importata negli anni ’20 per allevarla e ricavarne materiale per pellicce, dell’animale che vive lungo le sponde e gli argini dei corsi d’acqua si sono cibati un po’ tutti durante il secondo conflitto mondiale.
Crollato successivamente il mercato delle pellicce, molti esemplari vennero poi rilasciati in natura, dove si sono riprodotti a velocità record causando (per alcuni) consistenti danni alla vegetazione.
Ultimamente se ne parla soprattutto in quanto specie alloctona: si pone il problema della sua gestione visto che, riproducendosi a tassi molto elevati, è in grado di modificare in maniera consistente gli equilibri degli ecosistemi e provoca anche danni ingenti alle coltivazioni agricole
In Germania e in Francia oggi la carne della nutria è commercializzata e infatti la normativa europea prevede un iter preciso per far sì che le carni arrivino al dettaglio con tutte le tutele sanitarie del caso. A proposito di questo in Italia esiste un grande pregiudizio, ha spiegato il dottor Ferri: la nutria è infatti assimilata, per il suo aspetto, ad un grande topo, e a questo si associa l’impressione che sia un possibile vettore di malattie pericolose per l’uomo.
In realtà, spiega il dottor Ferri, “le cose non stanno così in quanto i tanti studi epidemiologici e monitoraggi sanitari nell’area di origine della specie e nelle area di espansione, anche in Italia, illustrano una situazione che è analoga in tutte altre specie per il consumo umano che sono gestite in tutta sicurezza, grazie a norme precise a tutela dei consumatori. Pertanto da questo punto di vista si tratta di animali normalmente gestibili in una filiera di lavorazione per il consumo umano come la selvaggina minuta.” “Ricordo”, continua Ferri, “che nei paesi d’origine la nutria è considerata una specie dalla carne pregiata. La FAO la considera fra le specie più adatte per l’allevamento a scopo di integrazione alimentare delle famiglie rurali dei paesi poveri. Va detto anche che oggi in Italia la nutria viene abbattuta e poi smaltita da ditte specializzate nella distruzione delle carcasse animali con produzione di emissioni.” Per la destinazione alla lavorazione e al consumo, gli attuali piani di controllo dovrebbero essere integrati dislocando sul territorio delle celle frigorifere di sosta per l’invio successivo alla lavorazione. Inoltre il personale dovrebbe essere adeguatamente formato sulle misure adatte per garantire la sicurezza alimentare.
La possibilità di aprire una filiera del consumo di questo animale potrebbe rappresentare un modo conveniente per gestire la presenza di questa specie alloctona nel nostro paese aprendo di pari passo un’interessante prospettiva economica a fronte di una riduzione o annullamento delle spese di smaltimento, ha spiegato Ferri. Tanto più che secondo il veterinario ci sarebbe la possibilità che il consumo delle nutrie avvenga già in alcuni casi, ma per vie non legali. Dunque prima che il consumo di carne di nutria passi per vie non monitorate, sarebbe possibile cominciare a discutere negli ambiti opportuni della possibilità della messa in commercio delle carni di questo animale, già possibile per le norme vigente. Inoltre una quota di popolazione rappresentata da cittadini di origine sudamericana, sarebbe già un potenziale consumatore di questo tipo di prodotto. Ma non si esclude, secondo Ferri, che anche gli Italiani possano essere curiosi di assaggiare una carne simile a quella di altri roditori, come coniglio e lepre.
Con due Circolari, la n. 17 del 20 gennaio 1959 e la n. 144 del dicembre 1959, l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità Pubblica presso il Ministero degli Interni (il Ministero della Sanità non era ancora stato istituito) liberalizzò l’utilizzo delle carni di castorino, a patto che le stesse fossero «sottoposte a vigilanza veterinaria, messe in vendita ad animale intero e individuate con apposito bollino a cura dell’allevatore».
La nutria è un roditore prettamente vegetariano con una dieta che si basa su piante acquatiche, varie erbe, radici, tuberi e frutta. Ne sanno qualcosa gli agricoltori che ogni anno devono fare i conti con i danni arrecati alle coltivazioni. Proprio la sua dieta, ne fa un animale dalle carni con contenuti nutrizionali molto buoni. È assimilabile o migliore di tacchino, pollo e manzo in termini di contenuti di proteine (22.1%), di bassa percentuale di grasso (1.5%) e colesterolo. La carne rossa è molto magra e assomiglia a quella del coniglio, con un gusto accomunabile a quello del tacchino.
Lo stato della Louisiana, nel sud degli Usa, attraverso il proprio dipartimento della fauna selvatica e della pesca ne fa una raccolta per lanciare il consumo di questa carne.
La ricetta più semplice è quella di cucinarla in umido. Si toglie la pelle della nutria, poi la si disossa e la sua carne tagliata a spezzatino.I tranci vanno posti in una terrina e ricoperti completamente con una marinatura cruda di verdure, erbe aromatiche, aceto e vino bianco per almeno dodici ore. In una padella si mette poi olio e cipolla con sedano e carota, si fa soffriggere, si mette la carne con sale, peperoncino e spezie varie a piacimento, si aggiungono i pomodori e si lascia cucinare a fuoco lento. Né più né meno come un coniglio. Un'altra ricetta aggiunge peperoni verdi e rossi e fagioli rossi. E se negli Usa si trova anche nei supermercati, da noi ci vuole un bel coraggio ed uno stomaco di ferro per provarla.
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