domenica 16 ottobre 2016

OLIO DI PALMA



L'olio di palma è sempre stato molto usato nei paesi dell'Africa occidentale come olio alimentare. I mercanti europei che commerciavano in quei luoghi talvolta lo importavano in Europa, ma poiché l'olio era abbondante ed economico, l'olio di palma rimase raro fuori dall'Africa occidentale. Nella regione di Ashanti, schiavi di stato furono usati per impiantare vaste piantagioni di palme da olio, mentre nel vicino Dahomey (l'attuale Benin) re Ghezo, nel 1856, approvò una legge che vietava ai suoi sudditi di tagliare palme da olio.

L'olio di palma in seguito divenne un prodotto molto commerciato dai mercanti britannici per il suo uso come lubrificante per le macchine della rivoluzione industriale, e come materia prima per prodotti a base di sapone come il Sunlight della Lever Brothers (a partire dal 1884) e il sapone statunitense Palmolive.

La palma da olio fu introdotta nel 1848 dagli olandesi nell'isola di Giava, e nel 1910 in Malesia dallo scozzese William Sime e dal banchiere inglese Henry Darby. Le prime piantagioni furono istituite e gestite soprattutto da britannici come Sime Darby. A partire dagli anni sessanta il governo promosse un grande piano di coltivazione della palma da olio con lo scopo di combattere la povertà. A ciascun colono venivano assegnati circa 4 ettari di terra da coltivare con palma da olio o gomma, e 20 anni per ripagare il debito. Le grandi società di coltivazione rimasero quotate nella Borsa di Londra finché il governo malese non promosse la loro nazionalizzazione negli anni '60 e '70.

In Malesia, paese dove si produce il 39% della produzione mondiale di olio di palma, ha sede uno dei più importanti centri di ricerca sugli oli e grassi di palma al mondo, il Palm Oil Research Institute of Malaysia (Porim), fondato da B. C. Shekhar.

La palma è usata anche nella produzione di biodiesel, o come olio di palma poco raffinato miscelato con gasolio convenzionale, oppure lavorato mediante transesterificazione per produrre un estere di metile dell'olio di palma che rispetta le norme EN 14214, con glicerolo come sottoprodotto. Il procedimento usato varia a seconda della nazione e delle esigenze dei mercati di esportazione. Si stanno anche sperimentando, anche se in piccole quantità, processi produttivi di biocarburante di seconda generazione.

Pur essendo in teoria una fonte di energia rinnovabile, il carburante da olio di palma è osteggiato da diverse associazioni ambientaliste a causa degli effetti collaterali della sua produzione, che includono la necessità di convertire alla coltivazione di palme aree ecologicamente importanti come zone di foresta pluviale o aree precedentemente adibite alla produzione alimentare. Inoltre, la monocoltura di palme da olio può produrre considerevoli emissioni di carbonio; in Indonesia e Papua Nuova Guinea, per esempio, il terreno per la coltivazione è stato preparato spesso drenando e dando alle fiamme aree di foresta palustre e torbiera, con un conseguente rilevante danno ambientale, ed è stato valutato che anche in seguito a questi fenomeni l'Indonesia sia diventata il terzo emettitore mondiale di gas serra, inoltre la deforestazione minaccia d'estinzione gli orango, diffusi solo in quelle aree. Secondo il rapporto congiunto della Banca Mondiale e del Governo britannico, il solo settore forestale indonesiano sarebbe responsabile del rilascio in atmosfera di 2,563 MtCO2e (Metric Tonne (ton) Carbon Dioxide Equivalent). Secondo il Rapporto quinquennale FAO sulle foreste del 2007, la sola Indonesia perde un milione di ettari all'anno di foreste pluviali. La United States Environmental Protection Agency (EPA) ha escluso il biodiesel da olio di palma dai combustibili ecologici, proprio perché l'impronta di carbonio derivante dalla sua produzione non permette la riduzione del 20% richiesta per le emissioni dei biocarburanti: l'olio di palma ha costi ambientali elevatissimi alla produzione.
Anche in Africa la palma da olio inizia ad espandersi nelle regioni forestali, minacciando importanti ecosistemi; questo è il caso per esempio della Costa d'Avorio, dell'Uganda e del Camerun.

Gli oli di palma e di palmisto sono ingredienti alimentari molto comuni nelle regioni di produzione. In Europa e Nord America progressivamente dalla seconda metà del XX secolo, per motivi commerciali, si sono diffusi nell'industria alimentare come succedanei di altri ingredienti più costosi. La sostituzione è stata resa possibile da un analogo comportamento organolettico e produttivo, spesso a scapito delle caratteristiche nutrizionali.
Infatti, pur se comparabili ad altri grassi per alcuni parametri, come il grado di saturazione (analogo ad esempi al burro con circa il 50% di saturazione), sono differenti per altri, come la lunghezza delle catene degli acidi grassi (differente ad esempio dal burro, che è ricco di volatili a corta catena da cui il termine butirrico, C4), o la posizione sostituente sul glicerolo, parametri che ne modificano il percorso metabolico nell'uso alimentare. Gli acidi grassi a corta e media catena, solubili in acqua, si assorbono infatti a livello intestinale per proseguire nel fegato il processo metabolico, senza passare dalla fase di chilomicroni e dalle vie linfatiche dei grassi più pesanti.

Il grande uso dell'olio di palma nell'industria alimentare del resto del mondo si spiega quindi col suo basso costo, che lo rende uno degli oli vegetali o alimentari più economici sul mercato, e coi nuovi mercati emersi negli USA, stimolati da una ricerca di alternative agli acidi grassi trans dopo che la Food and Drug Administration ha imposto di mostrare la quantità di acidi grassi trans contenuti in ogni porzione servita.

Alcuni Paesi, come il Belgio, alla fine del 2013, hanno consigliato un uso limitato dell'olio di palma.

Con l'entrata in vigore del Regolamento UE 1169/2011, dal 2015 è obbligatorio indicare in chiaro, nelle etichette dei prodotti alimentari prodotti nell'Unione europea, la specifica origine di oli e grassi vegetale e, di conseguenza, dichiarare l'utilizzo anche dell'olio di palma.

Il 3 maggio 2016 si è pronunciatal’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa). E’ stato pubblicato un dossier che conferma i possibili rischi sulla salute connessi ad alcune sostanze potenzialmente cancerogene che si formano durante la raffinazione ad alte temperature (200°) degli oli vegetali, tra cui anche (ma non solo) l’olio di palma.

Stiamo parlando dei contaminanti da processo a base di glicerolo presenti nell’olio di palma, in altri oli vegetali, nelle margarine e in alcuni prodotti alimentari. Si tratta dei glicidil esteri degli acidi grassi (Ge), 3-monocloropropandiolo (3-mpcd), 2-monocloropropandiolo (2-mpcd) e relativi esteri degli acidi grassi.

Secondo il parere dell’Efsa queste sostanze «suscitano potenziali problemi di salute per il consumatore medio di tutte le fasce d’età giovane e per i forti consumatori di tutte le fasce d’età».

Il gruppo di esperti scientifici dell’Efsa sui contaminanti nella catena alimentare (Contam) ha esaminato le informazioni sulla tossicità del glicidolo per valutare il rischio dai Ge, ipotizzando una conversione completa degli esteri in glicidolo dopo l’ingestione.

Quest’ultimo è noto per avere potenziali effetti cancerogeni e genotossici;  con questo secondo termine si intende la capacità di danneggiare le informazioni genetiche all’interno delle cellule, un fenomeno all’origine di mutazioni che possono degenerare in cancro.

L’Efsa ha messo in relazione il rischio per la salute alle quantità di contaminanti consumate quotidianamente, concentrando soprattutto l’attenzione sui più giovani.

La questione riguarda gli oli vegetali nel loro complesso, le margarine e altri prodotti alimentari ma soprattutto l’olio di palma. Questo ultimo è finito nel mirino perché contiene quantità nettamente più elevate di queste sostanze potenzialmente nocive rispetto agli altri ingredienti citati.

I più elevati livelli di Ge, come pure di 3-mcpd e 2-mcpd (compresi gli esteri) sono stati infatti riscontrati in oli di palma e grassi di palma. Per i consumatori a partire dai tre anni di età, le principali fonti di esposizione a tutte le sostanze sono rappresentate da margarine, dolci e torte.

Nel valutare le sostanze genotossiche e cancerogene che sono presenti accidentalmente nella catena alimentare, l’Efsa calcola un cosiddetto “margine di esposizione” per i consumatori.

In generale, più tale margine è elevato più si può star sicuri. In merito al 3-mcpd e relativi esteri degli acidi grassi è stata stabilita una dose giornaliera tollerabile (Dgt) di 0,8 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno (µg/kg di peso corporeo/giorno), mentre per il 2 mcpd le informazioni tossicologiche sono ancora troppo limitate per stabilire un livello sicuro.

Le conclusioni del dossier sono chiare: la stima delle esposizioni medie ed elevate al 3-mcpd di entrambe le forme per le fasce di età più giovani, adolescenti compresi (fino ai 18 anni di età), supera la dose giornaliera tollerabile e costituisce un potenziale rischio per la salute.

L’olio di palma contribuisce in maniera rilevante all’esposizione a 3-mcpd e 2-mcpd nella maggior parte dei soggetti. Non c’è da star troppo tranquilli, perché l’Efsa ha rilevato che i livelli di 3-mcpd e dei suoi esteri degli acidi grassi negli oli vegetali sono rimasti sostanzialmente invariati negli ultimi cinque anni.

In conclusione, il gruppo di esperti sui contaminanti nella catena alimentare evidenzia che i Ge costituiscono un potenziale problema di salute per tutte le fasce d’età più giovani e mediamente esposte, nonché per i consumatori di tutte le età con esposizione elevata.

L’esposizione ai Ge dei neonati che consumino esclusivamente alimenti per lattanti costituisce motivo di particolare preoccupazione, in quanto è fino a dieci volte il livello considerato a basso rischio per la salute pubblica», ha affermato la dottoressa Helle Knutsen, presidente del gruppo Contam.

In questo quadro tutt’altro che rassicurante c’è per fortuna anche una buona notizia:

il dossier ha rilevato un dimezzamento dei livelli di Ge negli oli e grassi di palma tra il 2010 e il 2015, grazie a quelle misure adottate volontariamente dai produttori che hanno permesso una notevole diminuzione dell’esposizione dei consumatori a queste sostanze nocive.
Il gruppo scientifico ha espresso una serie di raccomandazioni affinché si conducano ulteriori ricerche per colmare le lacune nei dati e approfondire le conoscenze sulla tossicità di queste sostanze (in particolare di 2mcpd) e sull’esposizione dei consumatori.



L’olio di palma è un olio vegetale non idrogenato che si ricava dall’omonimo arbusto, Elaeis guineensis, una pianta originaria dell’ Africa e oggi ampiamente coltivata in Malesia e Indonesia.

Dopo la spremitura, l’olio di palma grezzo viene raffinato con processi industriali per ridurne anche il grado di acidità.

Subisce fasi industriali di deodorazione, decolorazione e neutralizzazione che ne fanno perdere le proprietà benefiche.

La maggior parte dell’olio di palma si ottiene al giorno d’oggi da una tipologia di palma.  La  Elaeis guineensis che pur essendo originaria del continente africano è ora molto diffusa in tutto il pianeta.
Per chiarezza l’olio di palma ottenuto dalla polpa del frutto della palma è rosso e non deve essere confuso con l’olio ottenuto dal nocciolo e dal seme della palma che si chiama Olio di palmisto ed ha proprietà e colore differenti.

L’olio di palma ha una percentuale di grassi saturi non idrogenati pari al 50%, fattore che lo rende quindi semi-solido a temperatura ambiente.

Queste qualità lo rendono perfetto per le condizioni ambientali della produzione industriale. I lunghi tempi di stoccaggio, il calore anche prolungato (sole, luce battente) in cui sono conservati i prodotti e la loro conservazione in contenitori non perfettamente chiusi (dadi, biscotti…) per mesi e spesso a temperatura ambiente.
L’olio di palma negli ultimi anni sta sostituendo gli oli vegetali parzialmente idrogenati (per ridurre gli acidi grassi trans) ritenuti dannosi, per cui ne è aumentato enormemente l’impiego:
l’olio di oliva e di semi, “rammolliscono “il prodotto finito, perché ricchi di acidi grassi mono e polinsaturi, e lo deteriorano rapidamente.
il grasso dell’olio di palma è così diffuso perché è l’unico che possa resistere senza deteriorarsi e irrancidire.
Basso costo e versatilità lo rendono uno degli ingredienti maggiormente diffusi, soprattutto nell’industria alimentare.

Viene utilizzato come stabilizzatore, conservante contro l’ossidazione  e ammorbidente della consistenza.

L’olio di palma è utilizzato nei prodotti dolciari, nelle creme, nei biscotti, e in molti piatti pronti, ma anche nei prodotti cosmetici, per la cura del corpo e la pulizia della persona, quali saponi, creme e shampoo.
Anche nei prodotti biologici ed equo-solidali lo si può spesso trovare tra gli ingredienti.
Dire semplicemente olio di palma, in realtà, vuol dire esprimere un concetto piuttosto vago, visto che esistono tre tipi diversi di oli che si diversificano tra loro a seconda dell’origine e della lavorazione a cui vengono sottoposti, quali: olio di palma grezzo, olio di palmisto, olio di palma raffinato. L’olio di palma grezzo si ricava dai frutti della palma dei quali mantiene il caratteristico colore arancio rosso, dovuto all’alta concentrazione di carotenoidi, precursori della vitamina A. A temperatura ambiente ha una consistenza semi-solida simile alla sugna (strutto), dovuta all’elevata quantità di acidi grassi saturi (normalmente presenti nelle carni e nei grassi animali) che, però, sono compensati dalla presenza di una buona dose di antiossidanti e di vitamina E. Gli acidi grassi costituiscono circa il 50% dei grassi totali presenti, e il più rappresentativo è l’acido palmitico, un acido saturo a lunga catena; la restante percentuale è formata dagli acidi grassi monoinsaturi (40%) e polinsaturi (10%). L’olio di palmisto si ricava, invece, dai semi della pianta. Ha anch’esso una consistenza semi-solida a temperatura ambiente, perché ricco di acidi grassi saturi, ma ha un colore bianco che ricorda il burro perché privo di carotenoidi. L’olio di palma raffinato (o olio di palma bifrazionato) è il risultato di “bifrazionamento” e di raffinazione, meccanismi che consentono di convertirlo in forma liquida. Durante tali processi, però, esso perde tutti gli antiossidanti presenti nella forma grezza, e quindi tutta la parte benefica a favore dei soli acidi grassi saturi.  L’olio di palma raffinato è molto utilizzato nelle industrie alimentari per la frittura dei cibi e per la preparazione dei prodotti confezionati come biscotti, merendine, gelati, cioccolato e cioccolato spalmabile, zuppe già pronte ecc, a cui sa conferire cremosità e croccantezza, fungendo da addensante. L’olio di palma è meno delicato rispetto ad altri oli i quali, deteriorandosi in fretta, formerebbero sostanze tossiche che sarebbero potenzialmente nocive. L’olio di palma possiede, invece, una forte resistenza alla temperatura e al sole, candidandosi come olio migliore per la corretta conservazione dei cibi confezionati. Raggiungendo il punto di fumo molto lentamente, è l’ideale per la cottura dei cibi. È incolore, insapore, altamente versatile e lavorabile ma, soprattutto, è molto economico. È facilmente digeribile per la presenza, tra gli altri, di acidi grassi a media catena che attraversano più facilmente la parete intestinale. Il valore nutrizionale reale e gli effettivi impatti negativi che l’olio di palma può avere sulla salute sono ancora fonte di studi controversi. C’è chi afferma nel modo più assoluto che l’olio di palma fa male e lo demonizza senza possibilità di appello vista l’elevata presenza di acidi grassi saturi, che innalzano il colesterolo ematico e favoriscono così l’insorgenza di disturbi cardiovascolari. Al contrario, c’è poi chi pone l’accento, esaltandolo positivamente, sull’alto contenuto di vitamina E e carotenoidi. In realtà, la controversia deriva dalla confusione e dalla non chiarezza su quale dei tre tipi di olio si stia parlando. L’olio di palma grezzo, per tutte le sue caratteristiche, non rappresenta di per sé un grosso rischio per la salute di cuore e arterie o per il problema di sovrappeso e obesità. Purtroppo, però, quello che viene usato dalle industrie alimentari non è questo, ma il suo equivalente raffinato che ha ormai perso tutte le sue sostanze benefiche. I grassi non vanno del tutto eliminati dalla dieta: in una corretta alimentazione dovrebbero apportare circa il 30% delle kcal totali, di cui il 7-10% rappresentati proprio da quelli saturi. Il punto principale è che spesso ne assumiamo più del necessario e in maniera anche inconsapevole, proprio perché l’olio di palma è contenuto in moltissimi prodotti di uso quotidiano.

L'olio di palma viene applicato, tra l'altro, sulle ferite per facilitare la guarigione, grazie alle caratteristiche dell'olio; inoltre, si ritiene che l'olio di palma non raffinato, come anche l'olio di cocco, possa avere effetti antimicrobici, ma le ricerche non lo confermano in modo chiaro.

Il CSPI (Center for Science in the Public Interest), citando ricerche e meta-analisi, afferma che l'olio di palma aumenta i fattori di rischio cardiovascolare. Da molti anni è stato accertato che i principali acidi grassi che alzano il livello di colesterolo, aumentando i rischi di coronaropatia, sono gli acidi grassi saturi con 12 atomi di carbonio (acido laurico), 14 atomi di carbonio (acido miristico) e 16 atomi di carbonio (acido palmitico). Ricerche statunitensi ed europee confermano lo studio dell'OMS; in particolare, l'associazione no-profit statunitense American Heart Association elenca l'olio di palma fra i grassi saturi dei quali consiglia di limitare l'uso a coloro che devono ridurre il livello di colesterolo.

Tra gli argomenti di parte, e in risposta allo studio dell'OMS, il Comitato di promozione dell'olio di palma malese (Malaysian Palm Oil Promotion Council) ha sostenuto che non ci sono prove scientifiche sufficienti per elaborare linee guida globali sul consumo di olio di palma e ha citato uno studio cinese che avendo comparato lardo, olio di palma, olio di soia e olio di arachidi, i primi due con un alto contenuto di grassi saturi e generalmente considerati poco salutari, sostenendo che l'olio di palma aumenta il livello di colesterolo "buono" (HDL) riducendo il colesterolo "cattivo" (LDL) e che l'olio di palma è meglio dei grassi trans, grassi che (nei paesi dove non sono regolamentati) sarebbero comunemente scelti come suoi sostituti in diverse produzioni alimentari; queste affermazioni sono sostenute da uno studio precedente su vari oli e salute cardiovascolare.

Tuttavia, uno studio del dipartimento di Scienza e Medicina agricola, alimentare e nutrizionale dell'Università dell'Alberta ha mostrato che sebbene l'acido palmitico non abbia effetti ipercolesterolemici qualora l'assunzione di acido linoleico sia superiore al 4,5 % dell'energia, se la dieta contiene acidi grassi trans allora il colesterolo "cattivo" (LDL) aumenta e quello "buono" (HDL) diminuisce; inoltre, gli studi a sostegno del Comitato di promozione dell'olio di palma malese considerano il problema degli effetti dell'olio di palma unicamente sulla colesterolemia, in parte sui trigliceridi e non i suoi effetti complessivi sulla salute.

L'industria dell'olio di palma sottolinea che gli oli di palma contengano grandi quantità di acido oleico (è il secondo, col 38,7%, nell'olio di oliva l'acido oleico è il 55-83%), acido grasso protettivo, e, in contrapposizione a quanto noto in medicina e dietetica, sostiene che l'acido palmitico influisce sui livelli di colesterolo in modo molto simile all'acido oleico; afferma, inoltre, che gli acidi monoinsaturi come l'acido oleico sono tanto efficaci quanto gli acidi grassi polinsaturi (come l'acido alfa-linoleico) nel ridurre il livello di colesterolo "cattivo".


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