domenica 23 dicembre 2012

Frutta secca


Frutta secca

scopriamo i suoi vantaggi


Tutti i medici e non solo gli specialisti della nutrizione rinnovano ogni giorno il consiglio di mangiare più frutta fresca, magari con una preferenza per i prodotti stagionali che possono vantare qualche merito salutistico in più, tra patrimonio vitaminico e meno trattamenti conservanti.
Poco o nulla si parla, invece, della frutta secca, salvo un temporaneo ritorno di popolarità nel periodo natalizio, quando l’orgia gastronomica travolge gli argini del buonsenso e le raccomandazioni nutrizionali.
Per prima cosa dobbiamo far chiarezza sulla terminologia. Non si può accomunare, dal punto di vista nutrizionale, la frutta secca a guscio (noci, mandorle, pinoli, arachidi, pistacchi) con la frutta polposa essiccata al sole o in forno. Scherzando, va poi ricordato ai bambini, incantati dalla sapienza delle imitazioni, che in nessun modo si può equivocare tra frutta essiccata e quella miniera di carboidrati rappresentata da certi dolci, tipicamente siciliani, a base di pasta di mandorle e con mascheramento esterno che rievoca la vera frutta.
La frutta secca a guscio è detta “oleosa”, perché ricca di pregevoli grassi polinsaturi, tra cui gli ormai famosi omega3, ma è dotata, inoltre, di una buona frazione proteica, vitamine B ed E, potassio, fosforo, ferro, calcio, come ben sanno i vegetariani più rigorosi.
La frutta secca polposa (uva passa, prugne, albicocche, ecc.), poco importa se disidratata al sole o in forno, si caratterizza, viceversa, per un alto contenuto di zuccheri e di fibre con una irrilevante presenza di grassi.
L’interesse nutrizionale della frutta secca a guscio deriva quindi dai benefici salutistici che il consumo abituale della frazione grassa può avere in particolare sulla patologia cardiovascolare e sulle dislipidemie.
Diversi studi scientifici, dell’ultimo decennio, hanno confermato le antiche supposizioni favorevoli, riconducibili a particolari gruppi di consumatori abituali (Adventish Health Study, 1992). Citerò, fra gli altri, lo Yowa Women’s Health Study (1996), durato 7 anni, su 34.486 donne con un consumo di 4 porzioni/settimana e riduzione del 40% delle morti per patologia coronarica; Harvard Nursey’s Health Study (1998) su 86.016 donne, durato 14 anni, con 5 o più porzioni/sett. e riduzione delle cardiovasculopatie; Phisycian’s Health Study (2002) su 21.454 soggetti, durato 12 mesi, dove l’assunzione regolare di frutta secca si associa a una riduzione del 30% del rischio di morte per patologia vascolare.
Sono ancora più numerose e concordi le risultanze su una lieve riduzione dei livelli di colesterolo totale e LDL, nonché dei trigliceridi e della insulino-resistenza. Insomma, la frutta secca non è un farmaco ma il consumo abituale sembra avere per chiunque più di un vantaggio, specialmente per chi è fisicamente attivo e non deve temerne il notevole contributo calorico.



Eugenio Del Toma


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